Matteo Torretta, chef d’avanguardia con la tradizione nel cuore

Matteo Torretta chef d’avanguardia con la tradizione nel cuore – Matteo Torretta chef del Ristorante Asola-Cucina Sartoriale. A Milano è nato e ha studiato, passando da cucine blasonate come quelle di Gualtiero Marchesi, Giancarlo Perbellini, Carlo Cracco e Antonino Cannavacciuolo. Classe 1980 Matteo Torretta chef di Asola – Cucina sartoriale, dove sperimenta una cucina d’avanguardia, senza dimenticare risotto e cotoletta: la cucina tradizionale, in Italia, è imprescindibile.
La sua carriera in cucina comincia presto, con gli studi alla scuola alberghiera. Ha sempre pensato che avrebbe lavorato come chef?
All’inizio non era il lavoro che avevo pensato per me, poi alla scuola alberghiera mi sono convinto e ho trovato la mia strada.
Dopo gli studi è approdato in cucina con Gualtiero Marchesi; cosa ha significato per lei lavorare con un Maestro di quel calibro?
Gualtiero Marchesi è stato un grande Maestro. È proprio lui che mi ha insegnato la differenza tra la cucina di casa familiare e tradizionale e il mondo della nouvelle cuisine, una cucina d’avanguardia dove era concesso sperimentare e trovare nuove idee.
Com’è cambiata la cucina rispetto a quegli anni?
La cucina è cambiata completamente negli anni. In primis nella ricerca delle materie prime e nell’attenzione ai prodotti. Ora c’è un occhio di riguardo nei confronti delle calorie e la cucina è diventata più minimalista e d’avanguardia, è un continuo cercare cose nuove, un continuo cercare di superare i propri limiti in cucina.
Parigi, la Spagna… nel tempo ha viaggiato lavorando in cucine di ristoranti in Europa… C’è qualcosa che rende unico il modo di lavorare dietro alla quinte di un ristorante in Italia? E che cosa, invece, ha trovato “uguale” ovunque si sia spostato?
C’è una certa differenza. In Europa i clienti dei ristoranti sono pronti a tutto, sperimentano e sono curiosi. In Italia, invece, c’è ancora una filosofia gastronomica legata alla tradizione e alla familiarità, le cucine delle nonne e delle mamme sono ancora il fulcro della gastronomia italiana.
A Milano è nato, ha cominciato, ed è ritornato. Se domani dovesse ripartire per un’altra città, che cosa porterebbe con sé di Milano?
Mia moglie.
C’è qualcosa nella sua cucina che riflette un’identità milanese?
Certo. Per me un risotto o una cotoletta sono piatti imprescindibili che devono essere sempre presenti.
So che recentemente, da Asola, ha avuto l’opportunità di dividere la cucina con tre top chef giapponesi. Come riescono a convivere due cucine così differenti?
Sì, ho collaborato con gli chef Kataoka, Yamane e Hidaka per l’evento “Shoku no Wa: L’Armonia del Cibo”, che si è tenuto da Asola il 9 e il 10 luglio. La cucina italiana e la cucina giapponese sembrano differenti, ma in realtà lavorare con questi tre chef è stato divertente e semplice. Sono due cucine che si sono contaminate a vicenda da entrambe le parti.
In ultimo, al di là degli aspetti propriamente legati alla cucina, quale qualità crede sia stata indispensabile per lei per avere successo?
Sicuramente una buona dose di fortuna e tanta perseveranza.