Vito Mollica, Chef stellato al Four Seasons

Vito Mollica, Chef stellato al Four Seasons – Dice di essere “slow”, non solo in cucina ma nella vita. Team affiatati, prodotti di eccellenza e valorizzazione delle materie prime sono i suoi punti forti. Ora affronta una nuova esaltante avventura al Four Seasons di Milano. Con un occhio attento, oltre che sui fornelli, anche al mondo.
Come è nato il suo amore per la cucina?
Da ragazzino ho preso la decisione di frequentare l’istituto alberghiero per diverse ragioni: sentivo la necessità di cambiare aria e di fare qualcosa per aiutare la mia famiglia. Mi sono trasferito a 70 chilometri di distanza da casa e a partire da quel momento ho iniziato a innamorarmi, più che della cucina, del linguaggio adottato, della disciplina e delle norme che dovevo seguire e che tutt’oggi continuo a rispettare, le cosiddette “regole comuni”. La passione per la cucina in sé mi ha travolto successivamente, tra i 20 e i 22 anni, grazie alla stretta vicinanza con i prodotti, ovvero la materia prima, e alle relazioni che stavo iniziando a sviluppare. La cucina non è solo pentole, olio e aglio, la cucina è tutto il mondo attorno.
Guardando programmi come “Masterchef” siamo venuti tutti a conoscenza del termine “brigata”. Lei come valuta, e poi sceglie, i componenti della sua brigata?
La brigata è l’ingrediente segreto di ogni successo e quindi quello principale della cucina. Per uno chef è importante potersi fidare ciecamente delle persone che si selezionano e con cui si lavora. È perciò necessario conoscere tutti individualmente: io desidero che i componenti della mia brigata mi confidino sia ciò che amano sia ciò che non amano fare in cucina, in modo da poterli motivare a dare il loro meglio. Anche i migliori prodotti verrebbero rovinati e sprecati senza un’effettiva collaborazione tra colleghi. La brigata, pertanto, è la chiave della buona riuscita di un piatto.
A Milano ho trovato tanti colleghi e amici che erano qui già da tempo e ho anche portato con me il mio “numero due” del Four Seasons di Firenze, Mauro Veneruso. È la persona con la quale ho maggiore confidenza è sarà il responsabile del ristorante Veranda, che diventerà, con il tempo, il punto di riferimento della nostra cucina di Milano.
Ci dà una definizione di “slow food” e ci spiega per quale motivo ne è un grande sostenitore?
Lo sviluppo dello Slow Food avvenuto negli anni ’90 è stato per me un segnale della strada che la ristorazione avrebbe dovuto intraprendere da quel momento. Io sono “slow” fin dalla nascita, infatti vengo da una famiglia di contadini e sono abituato ai lunghi tempi di attesa che intercorrono tra la semina, il raccolto e, infine, la preparazione dei piatti. “Accelerare” è quindi un termine a me estraneo. Una delle mie frasi preferite è quella del cantante Leonard Cohen: “It’s not because I’m old, it’s not the life I led, I always liked it slow” (“Non è perché sono vecchio, non è per via della vita che ho condotto, mi è sempre piaciuto rallentare”). Io non sono vecchio, ma sono comunque “slow” in quasi tutto ciò che faccio, spesso anche nel prendere decisioni.
Perché in un primo momento ha lasciato Milano e ora ha deciso di ritornare?
Ho lasciato e sono tornato a Milano diverse volte, anche prima di lavorare per il Four Seasons. Quando mi è stata offerta la grande opportunità di iniziare un’attività qui l’ho colta immediatamente, ma mi si è poi presentata la possibilità di salire di livello gerarchico altrove. Mi è stato infatti richiesto di assumere il ruolo di “Executive Chef” al Four Seasons di Praga, la cui apertura era imminente. Sono stato il primo “Executive Chef” dell’hotel e me ne sono innamorato subito, così come della città. Tuttavia, nel momento in cui è stato costruito il grandioso Four Seasons di Firenze e mi è stato offerto di aprirne il ristorante, ho subito accettato. Avevo voglia di mettermi in gioco e di raggiungere lo stesso successo ottenuto a Praga. Il nostro è stato infatti il primo grande ristorante della Repubblica Ceca e il primo di tutto il centro-est europeo a ricevere una stella Michelin.
Ora sono tornato a Milano, ancora una volta per via di un’eccezionale opportunità: sono il primo chef della Four Seasons a gestire due cucine di così grande importanza come quelle di Milano e Firenze.
Come ha ritrovato Milano oggi? E cosa conta di portare di nuovo al Four Seasons rispetto alle precedenti esperienze?
L’energia portata dall’Expo mi ha fatto trovare una città più internazionale rispetto al passato, con caratteristiche simili a metropoli quali Vienna, Berlino o Copenaghen e, per alcuni aspetti, Londra. Tuttavia ci sono ancora dei progressi da fare: non parlo della ristorazione, ma, per esempio, del sistema del trasporto pubblico. In ogni caso Milano continua di certo ad avere fascino ed eleganza.
Al Four Seasons voglio portare l’esperienza che ho maturato negli anni, sistemare ciò che non funziona e valorizzare ciò che invece sta già andando bene.
Secondo lei che cosa porterà in più Expo in Italia dal punto di vista gastronomico?
Credo che sia stata una cosa pazzesca e ben riuscita quella di legare l’Expo in Italia al tema del cibo, spero che questo evento internazionale possa apportare novità e miglioramenti non solo all’ambiente della ristorazione, ma soprattutto a quelle nazioni che vengono pesantemente sfruttate per la produzione di caffè, cioccolato e altri beni alimentari, e che dovrebbero invece venire valorizzate. Mi auguro inoltre, anche se ritengo sia un obiettivo più difficilmente raggiungibile, che si inizi a combattere contro l’eccessiva potenza delle multinazionali. Vorrei che venissero emanate delle leggi a favore di contadini, artigiani e produttori, poiché è da essi che proviene la ricchezza del nostro Paese in ambito gastronomico. Spero quindi che l’Expo riesca a mettere in luce l’importanza di queste figure: se l’Italia è una delle nazioni più visitate al mondo, lo deve anche al cibo.
Può darci qualche anticipazione sui piatti che saranno nel suo menù prossimamente?
Non posso ancora svelarvi molto. Sicuramente valorizzeremo i prodotti e i piatti della cucina tipica milanese e continueremo a presentare quelli della tradizione italiana. Inoltre verrà proposta quella che è la mia cucina. Innanzitutto devo però conoscere bene i ragazzi che lavoreranno con me.
Cosa mi dice delle intolleranze alimentari e la grande cucina?
Io lavoro in albergo ormai da tanti anni e il mio obiettivo è sempre stato quello di regalare esperienze gastronomiche di valore agli ospiti, anche a chi è intollerante a un determinato ingrediente o semplicemente non lo ama. Nel mio settore è importantissimo seguire le esigenze dei clienti, in quanto sappiamo che non vengono al ristorante soltanto per riempirsi la pancia, ma per portare via con sé il ricordo di sapori unici.
Il sito del Ristorante Il Palagio, Four Seasons Hotel Firenze: http://www.ilpalagioristorante.it/it/
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