Il verdicchio: l’anima bianca delle Marche

Il verdicchio: l’anima bianca delle Marche –
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Con questo primo articolo, Milano Platinum inaugura una nuova collaborazione con la prestigiosa Associazione Italiana Sommelier di Milano, AIS Milano: ogni settimana, un nuovo articolo di approfondimento enologico. Questa settimana presentiamo il Verdicchio.
Il verdicchio: l’anima bianca delle Marche
Il verdicchio è un vitigno autoctono italiano, diffuso soprattutto nell’Italia centrale e in particolare nelle Marche, della cui viticoltura è diventato l’emblema. Il nome sembra derivare dal caratteristico colore della buccia dei suoi acini che, anche a completa maturazione, conserva riflessi verdolini, che poi trasferisce al vino.
L’indicazione Verdicchio compare per la prima volta in un documento risalente al 1569. Pochi anni più tardi un atto notarile lo definisce come l’uva tipica della città di Matelica.
Recenti studi di genetica lo riconducono a una coincidenza con il Trebbiano di Soave detto anche Trebbiano di Lugana, area da cui sembra provenire, trasportato nel Quattrocento da immigrati veneti.
Ai primi del Novecento, successivamente alla grande crisi del vigneto causata dalla fillossera, il Verdicchio viene allevato nelle Marche come coltura di diversificazione, ovvero la vite insieme a cereali e altre essenze senza alcuna specializzazione.
La storia
La storia recente del Verdicchio inizia nel 1930, quando a Cupramontana si tiene la prima festa dell’uva. Nel 1954 Fazi Battaglia indice un concorso per la realizzazione di una bottiglia che consenta al consumatore di identificare facilmente il prodotto. L’architetto Antonio Maiocchi lo vince con la bottiglia ad anfora Titulus, che è ormai divenuta segno distintivo del prodotto.
Purtroppo negli anni la qualità del Verdicchio commercializzato va sempre più decadendo, tanto che anche Mario Soldati nei suoi scritti se ne lamenta rimpiangendo i vini di prima della guerra.
La rinascita qualitativa inizia negli anni Settanta, guidata dal produttore Angelo Bucci che, con l’enologo Giorgio Grai, scommette su un Verdicchio di qualità. Da allora tanti produttori si sono uniti a loro e stanno percorrendo la via che porta verso l’eccellenza. Grazie alla loro determinazione, è sempre più facile trovare in commercio ottimi vini che rispecchiano le potenzialità del vitigno.
Sebbene sia coltivato in diverse regioni d’Italia, le aree più importanti per il Verdicchio si trovano in due zone limitrofe delle Marche, quella di Matelica, nell’entroterra, che conta 300 ettari vitati, e quella dei Castelli di Jesi, sulla costa, che ha un’estensione di circa 2800 ettari.
In entrambe le zone vi è la presenza congiunta di una Denominazione di Origine Controllata e Garantita e di una Denominazione di Origine Controllata: rispettivamente Verdicchio di Matelica Riserva DOCG e Verdicchio di Matelica DOC, Castelli di Jesi Verdicchio Riserva DOCG e Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC.
Le caratteristiche principali che differenziano le DOCG rispetto alle DOC sono, oltre a una più bassa resa in uva per ettaro, la possibilità di indicare le Menzioni Geografiche Aggiuntive e il periodo di affinamento di almeno 18 mesi per i vini DOCG.
I vini di Matelica hanno una maggiore uniformità di caratteristiche organolettiche mentre quelli di Jesi mostrano un’ampia varietà di stili, resi possibili anche grazie alla versatilità del vitigno. Versatilità che si esprime attraverso la possibilità di differenti vinificazioni: dallo spumante, prodotto fin dalla metà dell’Ottocento, al vino dolce, passando per i vini secchi, che indubitabilmente rappresentano l’apice della curva qualitativa.
Sebbene il metodo tradizionale di vinificazione preveda l’uso di acciaio e vini di pronta beva, dagli inizi degli anni Novanta gli affinamenti in legno, sia grande che piccolo, e l’uso di uve vendemmiate tardivamente hanno portato all’apprezzamento delle potenzialità evolutive del vitigno.
Il verdicchio presenta caratteristiche olfattive di grande finezza, profumi floreali e fruttati con note che arrivano fino al minerale passando per l’agrume. Un’ottima acidità, una buona struttura e un finale tendente all’ammandorlato ne identificano il gusto.
Nelle annate migliori, nell’ultimo periodo la 2004, la 2006, la 2010 e la 2013, il Verdicchio esprime un significativo potenziale d’invecchiamento.
di Paolo Valente.
GALLERY Il verdicchio: l’anima bianca delle Marche
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In collaborazione con AIS Milano.