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UN NEGOZIO-MUSEO. I TESORI DI CAMPANIA 30

UN NEGOZIO-MUSEO. I TESORI DI CAMPANIA 30 – L’esposizione selezionatissima che si offre al collezionista, o semplicemente al curioso, nelle due salette di Campania 30 – una dedicata ai bijoux, l’altra alle ceramiche – non è solo un piacere estetico: è un viaggio nel tempo, alla scoperta di oggetti che nelle diverse epoche hanno rappresentato il gusto del bello. In questo percorso insolito potrete contare su una guida sicura e impeccabile: quella di Denis, l’elegante proprietario. Solo se glielo chiederete voi, però, perché, se desiderate entrare a dare un’occhiata, state pur tranquilli: non sarete disturbati dalla sua presenza garbata e discreta.

Trifari, Coro, Miriam Haskell, Elsa Schiaparelli, Kenneth Jay Lane: sono i grandi nomi della bigiotteria americana vintage, accanto ai quali ne esistono altri ‒ HAR, Tortolani ‒ meno noti e per questo anche più ricercati, come ci racconta Denis in questa intervista. Alcuni oggetti descritti nella nostra conversazione potete ammirarli nella galleria di immagini in fondo all’articolo, o sul sito di Campania 30. Oppure, naturalmente, andando di persona proprio in viale Campania al numero 30. 

Apprezzo moltissimo lo stile armonioso del tuo negozio: hai disposto tutto con ordine e gusto, separando i bijoux dalle ceramiche, come nelle sale di un piccolo museo.

Sì, non mi piaceva mescolarli: alle ceramiche – ­per la maggior parte di produzione italiana: Laveno, Ginori, Cacciapuoti, Fornasetti – ho dedicato un ambiente separato. L’insegna che vedi sopra lo stipite, con scritto “La saletta del collezionista”, è a sua volta un pezzo di antiquariato: è perfetta, vero? Prima di cominciare a interessarmi ai bijoux, collezionavo ceramiche, e prima ancora cristalli. Pensa che all’inizio quasi li snobbavo, i bijoux. Poi ho cominciato a conoscerli e a studiarli: mi piace capire quando, e perché, è stato realizzato un oggetto, e qual è la sua storia, tanto che a volte vado a cercare le riviste di moda dell’epoca per approfondire alcune collezioni. Questo lavoro, per farlo bene, devi farlo per passione.

Quando hai iniziato questa attività?

Nel 2000, quando pezzi come questi non si trovavano facilmente: li potevi vedere su alcune bancarelle in Brera, o da qualche gioielliere che li vendeva a prezzi folli. L’esplosione del vintage è abbastanza recente ed è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi dieci anni. Ormai in questo settore si sono buttati un po’ tutti, e sui mercatini, ma anche nelle fiere dedicate, capita di vedere una mescolanza di cose buttate lì senza la minima cura: la spilla di valore confusa con la paccottiglia, insieme a scarpe, borse, accessori vari. Anch’io tengo oggetti con prezzi per tutte le tasche ‒ la spilla di Trifari con le perle e quelle con i segni zodiacali hanno un costo modestissimo, per esempio ‒ però li tengo separati dai pezzi di valore. E non tratto né abbigliamento né accessori – raramente qualche piccola borsa; ho dei cappelli, ma li tengo per ornamento – perché ho scelto di specializzarmi e sono convinto che paghi.

Il tuo sito rispecchia la precisione e l’ordine del negozio: c’è anche un piccolo glossario, da ‘Aurora Boreale’ («finitura iridescente applicabile su quasi ogni colore») a ‘Watermelon’…

Al mio sito tengo molto, anche perché è la mia vetrina principale: vengo contattato soprattutto attraverso questo canale. L’accessibilità è fondamentale per un collezionista che cerca qualcosa di specifico. Lo tengo quotidianamente aggiornato e inserisco tutte le foto, con una breve storia dell’oggetto. Riguardo al dizionarietto, sai, me l’hanno copiato in  molti! A me piace raccontare, spiegare. La mia lista dei bijoutiers, anche quella costantemente aggiornata, credo che sia un punto di riferimento. Ci sono dei bijoutiers che ‘diventano’ vintage perché, purtroppo, muoiono, come la Taylor o Joan Rivers, scomparse di recente…

Già, che cos’è ‘vintage’? Quali sono – se ci sono – i criteri?

Alcuni criteri ci sono, ma non sono assoluti, perché esistono molte eccezioni. Rientrano nel vintage le creazioni di bijoutiers scomparsi, appunto, ma i pezzi vintage di Kenneth Jay Lane, che è ancora vivo e vegeto, sono molto quotati. Ovviamente un altro criterio è quello cronologico. Ma un pezzo di quattro o cinque anni fa può diventare vintage se l’azienda ha chiuso i battenti o interrotto la produzione. Viceversa, ci sono aziende che producono ancora, come Sharra Pagano, i cui pezzi di un certo periodo rientrano nel vintage. Anche Chanel appartiene a questa categoria… Io, per scelta, non tratto Chanel.

Perché?

Per i prezzi esagerati e perché girano moltissimi pezzi falsi, ma soprattutto per una questione di gusto personale. Io amo il vintage americano anche per l’eccezionale lavoro di costruzione che sta dietro a questi oggetti ‒ opere d’arte, gioielli veri, pregiati, anche se non di materiali preziosi: non si può dire lo stesso di Chanel. Guarda il livello di dettaglio di questa spilla: è di Coro, del 1948, e raffigura la Carnegie Hall. È uno dei pezzi più belli che io abbia mai visto. Io amo le spille dove ci sono delle scene complesse e dei personaggi, rappresentazioni vive e reali, e questa la volevo da sempre. Finalmente sono riuscito a comprarla, e per ora non la vendo! Ho la scusa di tenere alcuni pezzi in esposizione, come richiamo per i collezionisti: li metto in questa vetrinetta all’ingresso. La raffinatezza nella progettazione si vede bene anche in quest’altro pezzo rarissimo di Coro, una duette, cioè una spilla che si smonta per ottenere due spille più piccole da mettere, per esempio, sui due lati della scollatura dell’abito. Questi pezzi sono quasi tutti pubblicati.

Proprio come le opere d’arte, che se pubblicate acquistano valore…

Sì, ci sono diversi libri di riferimento, ma la Bibbia del collezionista è opera di due italiani, i Brunialti, marito e moglie. Di Trifari esistono anche molti disegni originali, i pat. pend.: se posso, li fornisco in accompagnamento all’oggetto. Depositare il disegno era un’operazione molto costosa, ma serviva a tutelarsi dalle imitazioni: fino agli anni Sessanta, Trifari poteva permettersi di farlo ‒ e di proporre delle confezioni da gioielleria, anche quelle assai costose.

Che cos’è quest’oggetto a forma di disco del telefono?

È il famoso portacipria di Elsa Schiaparelli: è stato disegnato nel 1939 con Salvador Dalí. La Schiaparelli era una creativa eccezionale e i suoi vestiti, per l’epoca, erano scioccanti… Lo skeleton dress, con le ossa disegnate in rilievo sull’abito, è pazzesco: era la Lady Gaga della moda degli anni Trenta! Anche i suoi accessori sono incredibili: cappelli a forma di scarpa, guanti con le unghie… Al Metropolitan Museum di New York, qualche anno fa, le hanno dedicato una mostra.

Schiaparelli, Trifari… italiani emigrati…

Come Tortolani: la sua azienda esiste ancora, ma oggi fanno oggetti per ufficio. Li ho contattati tempo fa e mi ha risposto il figlio, spiegandomi che hanno interrotto la produzione di bijoux perché era troppo onerosa: facevano tutto con stampi di cera, come fossero piccole sculture, e da uno stampo si potevano produrre solo pochi pezzi.

Tortolani è un nome meno noto…

Alcuni nomi sono meno famosi, più di nicchia, e per questo ancora più preziosi: quello, per esempio, è un anello di HAR, un marchio molto ricercato dai collezionisti perché questa azienda ha all’attivo solo dodici anni di produzione, dal 1955 al 1967.

Questo ciondolo è un portafoto?

Sì, un portafoto di Trifari del 1939, in argento. Si apre e si possono inserire minuscole foto. C’è anche l’anello fatto allo stesso modo. Sono delle vere chicche. Anche quegli accendini sono di Trifari: molti non sanno che faceva anche accendini, e occhiali. Quest’altro è un ciondolo a forma di lampione: all’interno contiene uno stick portaprofumo. La versione da sera era smaltata di nero con gli strass.

La chiacchierata continua… c’è una spilla con un poliziotto nascosto dentro un bidone, del 1930, con una levetta meccanica che lo fa muovere su e giù. Un’altra raffigura Charlie McCarthy, un pupazzo da ventriloquo di gran moda negli anni Trenta. Poi i bijoux ispirati a Josephine Baker e Carmen Miranda, quelli cinematografici del Ladro di Baghdad, una parure disegnata per Elizabeth Taylor in Cleopatra… pezzi di storia, testimonianze di un immaginario collettivo ancora intatto e di storie private ormai svanite ‒ chi li avrà regalati? chi li avrà indossati?

Perché questi oggetti sono carichi di fascino anche ‒ soprattutto ‒ perché qualcuno di cui si sono perse le tracce li ha vissuti prima di noi.