I TAROCCHI DEI VISCONTI: GIOCO E SIMBOLO

I TAROCCHI DEI VISCONTI: GIOCO E SIMBOLO –
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In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC, risaliamo alle origini incerte dei giochi carte e alla nascita nella corte viscontea dei Trionfi, poi Tarocchi. Una storia affascinante e ancora oggi da approfondire e studiare.
I TAROCCHI DEI VISCONTI: GIOCO E SIMBOLO
L’incerta origine delle carte da gioco
L’origine delle carte da gioco è ancora dubbia e discussa. Le prime testimonianze si possono rintracciare in Cina, nel X secolo, poco dopo l’invenzione della carta. I tre semi che componevano i mazzi cinesi facevano tutti riferimento al denaro: di qui l’ipotesi che le carte fossero allo stesso tempo lo strumento del gioco e la posta scommessa. Incerta anche l’introduzione in Europa: non ne parlano Francesco Petrarca nel suo De remediis utriusque fortunae (1278), né Giovanni Boccaccio né Geoffrey Chaucer, tutti autori che documentano invece altri tipi di gioco. Sembra probabile che le carte siano arrivate in Europa attraverso i contatti con i Mamelucchi egiziani alla fine del XIV secolo. Il mazzo dei Mamelucchi aveva 52 carte divise in quattro semi: bastoni (da polo), denari, spade e coppe. Ogni seme conteneva dieci carte numerate da 1 a 10 e tre figure (o carte di corte): il Re, il Viceré e il Secondo Viceré. Poiché la legge islamica proibiva di riprodurre la figura umana, le carte di corte erano illustrate con motivi astratti e riportavano una scritta con il nome del dignitario corrispondente. Secondo una teoria meno accreditata, le carte da gioco deriverebbero da lingotti romani in rame o bronzo, chiamati aes signatum: tra le immagini incise su queste tavolette rettangolari ci sono anche la spada, il bastone, la coppa e l’aquila. Di queste antiche monete sono noti pochissimi esemplari, ma i fautori di questa interpretazione portano come prova anche il fatto che la parola “asso” derivi, appunto, dal latino aes (“denaro”, ma anche “rame” o “bronzo”).

Passatempi cortigiani: carte che mimano la caccia
Le carte figurate, Re, Regina, Cavaliere e Fante, dette anche “onori”, sono tipicamente europee: alcuni antichi mazzi sono illustrati con scene di caccia e possiamo immaginare che con il gioco si volesse mimare uno dei passatempi preferiti della corte. Le figure, legate al seme che rappresentavano (per esempio “il Re dei Falconi” o “la Regina dei Cervi”) evocavano uno scenario fiabesco. Il Landesmuseum di Stoccarda conserva un mazzo di 49 carte (in origine 52) appartenuto ai duchi di Baviera, datato circa 1430. Le carte numerali (da 1 a 9) sono divise in Anatre, Falconi, Cani e Cervi e le carte di corte hanno figure maschili per i semi relativi agli uccelli e femminili per i quadrupedi. Un altro mazzo simile, appartenuto al ramo di Innsbruck degli Asburgo intorno al 1440-45 (oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna) ha per semi Aironi, Falconi, Cani e Piumagli (oggetti per l’addestramento dei falconi). È plausibile che il gioco si svolgesse con la presa e si può presumere che il Falcone fosse il nemico delle Anatre e che il Cane fosse il predatore dei Cervi. Esiste anche un mazzo francese del 1470 circa, scoperto di recente, nel quale i semi sono quattro oggetti molto concreti derivati dalla caccia: il corno, il collare per cani, il doppio cappio e la matassa di corda. Si tratta di un’iconografia insolita, perché il ricco committente di questo lussuoso mazzo, evidentemente un appassionato cacciatore, non scelse simboli appariscenti per le sue carte, ma pratici e indispensabili strumenti di uso quotidiano. Un’altra particolarità è che, dei quattro fanti, tre sono rappresentati come cacciatori, mentre il quarto è un buffone, forse un omaggio speciale di questo signore al suo buffone personale, una figura importante nelle corti (il joker dei mazzi moderni fu introdotto solo nel XIX secolo in America). Fuorviante invece ipotizzare un legame con il Matto dei tarocchi, data la composizione classica di questo mazzo.

Il “Mazzo degli Dèi”, precursore dei tarocchi
Alla corte di Gian Galeazzo Visconti erano molto praticati i giochi di carte. La figlia Valentina, quando nel 1389 sposò Luigi di Turenna, fratello del re di Francia Carlo VI, portò con sé un mazzo di “carte di Lombardia”. Il figlio minore Filippo Maria, fin da piccolo, era più attratto dai giochi di carte che dai dadi e non imparò mai a giocare a scacchi. La Vita di Filippo Maria Visconti, duca di Milano dal 1412 al 1447 di Pier Candido Decembrio, cortigiano e diplomatico, ci informa di come a corte si inventassero sempre nuovi giochi e di come, in un anno tra il 1415 e il 1420, il duca commissionò a Marziano da Tortona un mazzo particolare, diverso da tutti gli altri. Marziano Rampini di S. Aloisio, detto da Tortona, era un ecclesiastico, erudito cultore dei classici e dell’astrologia, in tempi in cui astronomia e astrologia erano tutt’uno. Precettore di Filippo Maria, ne divenne poi il fidato segretario e consigliere e progettò il nuovo mazzo secondo i gusti del principe, che dovevano essere anche i suoi. Marziano affidò il lavoro al pittore lombardo Michelino da Besozzo e scrisse un saggio di accompagnamento, di fatto il primo “manuale” di istruzioni per un gioco di carte, che contiene spiegazioni dettagliatissime sulle icone, sul loro significato e sulla posizione dei vari simboli. Il mazzo purtroppo è andato perduto, ma il manuale è conservato alla Bibliothèque Nationale di Parigi. In questo mazzo, le carte numerali erano divise in quattro semi: aquile, falconi (o fenici), colombe e tortore. Ogni seme era capeggiato da quattro carte superiori allo stesso Re, rappresentanti divinità classiche. Le aquile erano comandate da quattro virtù: Giove, Apollo, Mercurio, Ercole. I falconi (o fenici) da quattro ricchezze: Giunone, Nettuno, Marte, Eolo. Le tortore da quattro castità: Diana, Vesta, Pallade, Dafne. Le colombe da quattro piaceri: Venere, Bacco, Cerere, Cupido. Era quindi un mazzo allegorico: in esso si scontravano gli eroi della Virtù contro quelli della Ricchezza, quelli della Castità contro quelli del Piacere. Per questo Marziano sentì la necessità di spiegarlo, soffermandosi sulle allegorie delle divinità: non tutti erano così ferrati in cultura classica come il suo allievo. Il costo esorbitante, forse esagerato, riportato da Decembrio (150.000 fiorini) fa supporre che non fosse un vero mazzo da gioco, ma una serie organizzata di miniature dal contenuto filosofico e morale. Alla morte di Filippo Maria (1447) seguì un triennio difficile, in cui Milano fu colpita da disordini, saccheggi e distruzioni. Il bel mazzo miniato venne comprato da un capitano veneziano, Jacopo Antonio Marcello, che nel 1449 ne fece dono a Isabella di Lorena, moglie di Renato d’Angiò. Nella lettera di accompagnamento, Marcello definisce il mazzo novum quoddam et exquisitum triumphorum genus: un mazzo “trionfale”. Il Mazzo degli Dèi è l’antecedente dei tarocchi per vari motivi: la presenza di figure allegoriche e il fatto che tali figure sono preposte alle carte ordinarie; l’uso a fini celebrativi e didascalici.

La potenza evocativa e simbolica dei Trionfi
L’idea alla base del mazzo di Marziano, la passione del duca per i giochi di carte e altri indizi permettono di individuare nella corte viscontea la nascita del mazzo dei trionfi. Le charte da trionfi erano una variante di mazzo da gioco nella quale si concretizzava l’allora nuova e rivoluzionaria dinamica del taglio (secondo la quale c’è un seme che prevale, “trionfa”, sugli altri). Ai normali mazzi venne aggiunto un seme inventato, le cui figure evocavano la sua superiorità e la sua appartenenza a un mondo diverso da quello dei semi ordinari. La forza evocativa delle figure dei trionfi ne garantirà la sopravvivenza, l’utilizzo anche oltre il gioco e la diffusione in tutto il mondo. La più antica lista conosciuta dei ventidue trionfi che diventeranno classici si trova in una lunga predica quattrocentesca contro i giochi di taverna, il Sermo perutilis de ludo cum aliis, datata tra il 1470 e il 1500. Primus dicitur El bagatella. 2, Imperatrix. 3, Imperator. 4, La papessa. 5, El papa. 6, La temperantia. 7, L’amore. 8, Lo caro triumphale. 9, La forteza. 10, La rotta. 11, El gobbo. 12, Lo impichato. 13, La morte. 14, El diavolo. 15, La sagitta. 16, La stella. 17, La luna. 18, El sole. 19, Lo angelo. 20, La justicia. 21, El mondo. 0, El matto sie nulla. L’origine popolare di questo documento attesta che all’epoca il mazzo con i ventidue trionfi era già diffuso e prodotto in serie a prezzi accessibili alla gente comune. La definizione del mazzo nella struttura classica dei trionfi-tarocchi avvenne quindi nei decenni a partire dal 1442, anno presumibile del più antico mazzo di trionfi pervenutici, quello celebrativo detto Visconti di Modrone.

Il mazzo trionfale Visconti di Modrone (Cary-Yale)
Il mazzo Visconti di Modrone prende il nome dal ramo cadetto della famiglia Visconti a cui appartenne ed è detto anche Cary-Yale perché fece parte della collezione di carte da gioco storiche della famiglia Cary, confluita nel 1967 nella Biblioteca Beinecke dell’Università di Yale. Secondo alcune ipotesi fu commissionato da Filippo Maria Visconti e Giordano Berti lo data al periodo 1442-1447, in quanto il seme di denari mostra ora il recto ora il verso del fiorino d’oro fatto coniare dal duca nel 1442 e rimasto in uso fino al 1447, anno della sua morte. Di questo mazzo sono rimasti 67 soggetti (11 trionfi, 17 figure e 39 carte non figurate). Nemmeno sulla composizione originaria del mazzo vi è accordo: secondo alcuni in origine le carte erano 70, secondo altri 86, in quanto si tratta dell’unico mazzo di carte occidentale in cui le figure sono 6 e non le tradizionali 4. Al Fante, Cavallo, Re e Regina si aggiungono la Donzella e la Dama a cavallo. Tutti i trionfi e le figure hanno uno sfondo in oro, mentre le carte non figurate hanno sfondo argentato. Data la parziale conservazione del mazzo, non sappiamo quante fossero in origine le carte allegoriche, delle quali sono rimaste: Mago, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Fede, Speranza, Carità, Fortezza, Ruota del Destino, Morte, Giudizio, Mondo. Queste carte, di lì a breve, sarebbero state identificate come “trionfi”. Che cosa volevano rappresentare? Erano forse un dono di Filippo Maria alla sua sposa: è in questo mazzo che per la prima volta compare questa particolare serie di carte. La carta del Matrimonio potrebbe riferirsi alle nozze celebrate il 2 ottobre 1428 a Robecco sul Naviglio tra Filippo Maria e Maria di Savoia. Il padiglione per la cerimonia all’aperto porta gli stemmi dei Visconti e dei Savoia. La cerimonia avviene con l’unione delle destre e sul cappello dello sposo compare il motto A BON DROYT. Il Carro è trionfale, una Vittoria, così come la carta del Mondo è una Gloria, quindi pertinenti a un’occasione di festa come un matrimonio e bene auguranti. Fede, Speranza, Carità e Fortezza sono virtù scelte per accompagnare la coppia. Il mazzo dei trionfi, infatti, aveva spesso fini celebrativi e didascalici in occasione di anniversari, ricorrenze, matrimoni, insediamenti del signore, visite importanti. I Visconti lo fecero conoscere agli Estensi di Ferrara, che lo utilizzarono sia come mazzo celebrativo che come mazzo da gioco. Nel febbraio del 1442, la corte estense fece miniare alcuni mazzi sontuosi, probabilmente per celebrare l’ascesa al trono di Leonello, mentre un mazzo a buon mercato fu acquistato per i giochi di Sigismondo ed Ercole, allora ragazzini. I mazzi celebrativi potevano essere composti con figure e icone adeguate all’occasione specifica, mentre i mazzi da gioco dovevano essere definiti, con un numero convenzionale di pezzi. Purtroppo i mazzi da gioco, una volta deteriorati, venivano buttati via.

Una trasformazione simbolica: il mazzo Pierpont-Morgan
Il mazzo Pierpont-Morgan Bergamo, detto anche Colleoni-Baglioni e di Francesco Sforza, risale al 1451 circa. In origine era composto da 78 carte, delle quali ne sono rimaste 74: 35 si trovano nella biblioteca Pierpont-Morgan a New York, 26 presso l’Accademia Carrara di Bergamo e 13 fanno parte della collezione privata della famiglia Colleoni. Tutti i trionfi e le figure hanno uno sfondo in oro, mentre le carte numerali hanno uno sfondo color crema con un motivo floreale colorato. I due trionfi mancanti sono il diavolo e la torre. Di questo mazzo s’ignora il committente, che potrebbe essere stato o Filippo Maria Visconti per il matrimonio della figlia Bianca Maria con Francesco Sforza, o direttamente Bianca Maria. Oggi è il mazzo più conosciuto e riprodotto con il nome di “Tarocchi dei Visconti”, anche perché è il più completo. Dei 20 trionfi, alcuni furono aggiunti da un miniatore identificato in Antonio da Cicognara (Sole, Luna, Stelle, Mondo, Fortezza e Temperanza). Il Diavolo è un’aggiunta moderna, perché la carta del XV secolo è andata persa, ma restano comunque 14 carte dell’epoca: Matto, Mago, Papa, Papessa, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Ruota, Eremita, Traditore, Morte, Giustizia, Giudizio. Rispetto alle carte del mazzo Visconti di Modrone è intervenuto un cambiamento radicale nella valenza simbolica. Sono state aggiunte cinque carte a sfondo religioso: Matto, Papa, Papessa, Eremita, più una serie di altre tre carte dedicate dalla rappresentazione dell’Inferno: Appeso o Idolatra, Diavolo, Casa del Diavolo (Torre che crolla). Sono sette carte che trasformano profondamente la valenza festosa del corteo nuziale in una riflessione religiosa. Scompaiono le virtù teologali di Fede, Speranza, Carità, ma viene introdotta la Temperanza ad affiancare le preesistenti Fortezza e forse Giustizia. La serie diventa quindi composta da: Matto, Mago, Papa, Papessa, Imperatore, Imperatrice, Matrimonio, Carro, Ruota, Eremita, Temperanza, Fortezza, Giustizia, Morte, Appeso, Diavolo, Casa del Diavolo, Giudizio, Mondo. Dall’ambito ferrarese deriveranno altre tre carte: Luna, Sole, Stelle, che porteranno il numero finale e fisso dei Trionfi a 22.

Fermenti religiosi ed ereticali
Nella nuova serie di carte a carattere religioso ci sono alcune figure che suscitano qualche riflessione. Il Matto, in questa sua prima versione iconografica, è un povero demente gozzuto che gira seminudo con una mazza in spalla e delle piume in testa. Se la carta viene osservata singolarmente, ci si deve fermare a questa interpretazione, ma invece è stata inserita insieme ad altre carte a sfondo religioso-ereticale, come la Papessa: è quindi probabile che voglia rappresentare quei movimenti pauperistici di ribellione, soprattutto contadina, che agitavano allora i paesi europei e che sfoceranno di lì a breve nella riforma protestante. La Papessa, vestita con il saio, potrebbe simboleggiare l’auspicata Chiesa francescana, ispirata alla povertà (secondo un’ipotesi ardita, dietro questa figura si celerebbe quella di suor Maifreda, protagonista intorno al 1300 dell’eresia “femminista” guglielmita, forse imparentata con i Visconti). Il Mago (poi prenderà il nome di Bagatto) è un’altra carta interessante: il personaggio indossa un abito rosso foderato di ermellino ed esibisce un tricorno orlato di pelliccia. Un tale abbigliamento lo connota come un medico o un alchimista, in grado di trasmutare con la sua “bacchetta” la polvere bianca ammucchiata su un lato del suo desco nei pezzi d’oro che si vedono lì accanto.

Tarocco: ipotesi etimologiche
Verso l’inizio del Cinquecento le charte da trionfi cambiarono nome, diventando tarocchi. Da dove venga questo nome, non è chiaro. Il primo documento conosciuto in cui appare il termine Tarochi in riferimento al gioco è un registro di conti della corte estense relativo al secondo semestre 1505, in una annotazione datata al 30 giugno. Nella Frotula de le dòne (“Frottola delle donne”), una poesia datata al 1494, viene citata la parola Taroch con significato di “matto, sciocco”. Il termine tarochus era infatti già in uso nel XV secolo con il significato di “matto, idiota, imbecille”. E il vento scirocco, che si credeva conducesse alla pazzia, nel Rinascimento veniva chiamato Vento Theroco. In base alle varianti storiche di “tarrocco” o “tarroco” bisogna però valutare il termine anche sotto l’aspetto ludico, attribuendogli in questo caso il significato di attacco con carte di presa più forti rispetto a quelle calate dagli avversari: con l’espressione “ti arrocco, t’arrocco, ti arroco” si intendeva dichiarare agli avversari che si erano messe in campo carte di vittoria che li costringevano a una posizione difensiva.
Le regole del gioco
Le prime descrizioni sufficientemente complete delle regole di gioco risalgono al XVI secolo e non divennero comuni prima del XVII. I giochi erano giochi di presa, come la briscola, giocati in una sequenza di mani in cui i trionfi comandavano sulle carte numerali, sulle figure e sui trionfi di valore inferiore. Il Matto era generalmente usato per evitare di dover giocare una carta dello stesso seme o uno dei trionfi quando non lo si desiderava. Il punteggio veniva calcolato a fine partita in base alle carte ottenute, ma il metodo esatto di conteggio variava da gioco a gioco. Nei primi secoli non ci sono testimonianze che attestino l’uso dei tarocchi per scopi esoterici o di divinazione: l’unico riferimento ai tarocchi come mezzo di lettura del carattere delle persone è in un’opera di narrativa, il Caos del tri per uno, pubblicata da Teofilo Folengo con lo pseudonimo di Merlin Cocai, in cui uno dei personaggi compone dei sonetti che descrivono il carattere di altri personaggi basandosi sulle carte dei Trionfi.
L’uso dei tarocchi per pratiche divinatorie ed esoteriche risale alla fine del XVIII secolo, quando cominciarono a essere associati alla cabala. Ma questa è un’altra storia.

PER APPROFONDIRE – I TAROCCHI DEI VISCONTI: GIOCO E SIMBOLO
- Stuart R. Kaplan, I Tarocchi, Milano, Mondadori, 1981.
- Giordano Berti e Marina Chiesa, Antichi Tarocchi Lombardi, Torino, Lo Scarabeo, 1995.
- Maria Grazia Tolfo, Carte da gioco: trionfi e tarocchi
- T. Varekamp, Un mazzo di carte da gioco francesi del XV secolo dipinto con un tema di caccia
- Marcos Mendez Filesi, La Papessa Maifreda
- Andrea Vitali, Il significato della parola “Tarocco”
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In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC