STORIA

SIBILLA, PIERINA E LA SIGNORA DEL GIOCO

SIBILLA, PIERINA E LA SIGNORA DEL GIOCO 

MilanoPlatinum Storica National Geographic

In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC, un episodio fondamentale avvenuto a Milano alla fine del Trecento: due processi tenutisi a pochi anni di distanza mostrano un panorama culturale in trasformazione, nel quale il confine tra fantasia e realtà si assottiglia fino a scomparire. La condanna al rogo di Sibilla e Pierina anticipa la vera e propria caccia alle streghe.


SIBILLA, PIERINA E LA SIGNORA DEL GIOCO

I vescovi e i loro ministri vedano di applicarsi con tutte le loro energie per sradicare interamente dalle proprie parrocchie la pratica perniciosa della divinazione e della magia, che furono inventate dal diavolo […]. Né bisogna dimenticare che certe donne depravate, le quali si sono volte a Satana e si sono lasciate sviare da illusioni e seduzioni diaboliche, credono e affermano di cavalcare la notte certune bestie al seguito di Diana, dea dei pagani, e di una moltitudine di donne; di attraversare larghi spazi di terre grazie al silenzio della notte e ubbidire ai suoi ordini e di essere chiamate alcune notti al suo servizio. Ma volesse il cielo che soltanto loro fossero perite nella loro falsa credenza e non avessero trascinato parecchi altri nella perdizione dell’anima. Moltissimi, infatti, si sono lasciati illudere da questi inganni e credono che tutto ciò sia vero, e in tal modo si allontanano dalla vera fede e cadono nell’errore dei pagani, credendo che vi siano altri dèi o divinità oltre all’unico Dio.

Le streghe volano veramente? Solo con la fantasia: il Canon Episcopi

L’estratto è contenuto nel Canon Episcopi, un breve testo destinato ai vescovi sull’atteggiamento da tenere nei confronti della stregoneria. Riconosciuto oggi come la più antica fonte su questo argomento e considerato prestigioso e autorevole dalla Chiesa fino al XIII secolo, per tutto il Medioevo fu attribuito al concilio di Ancira del 314, mentre è successivo e databile al 906. Il dato interessante è che il Canon, pur demonizzando le pratiche magiche e condannando la superstizione di derivazione pagana legata al culto di Diana, esprime scetticismo sulla reale possibilità che il volo delle streghe e altre manifestazioni ugualmente fantastiche si verifichino realmente: Sono cose del tutto false, fantasie instillate nelle menti dei fedeli non dallo spirito divino ma da quello maligno. Siamo ancora lontani, infatti, dalla vera e propria “caccia alle streghe”, fenomeno tipico non dei “secoli bui” medievali, come a volte erroneamente si pensa, ma dei secoli XIV e XV, cioè dell’epoca dell’Umanesimo e del Rinascimento.

Luis Ricardo Falero, Musa della notte, 1896 ca. (public domain, via Wikimedia Commons).
Luis Ricardo Falero, Musa della notte, 1896 ca. (public domain, via Wikimedia Commons).

Dalla repressione alla persecuzione: verso lo Stato moderno

Il Canon, più “illuminato” del successivo e famigerato Malleus Maleficarum (1487), recepisce un modo di pensare per il quale i confini tra realtà e fantasia sono ben definiti; con la caccia alle streghe, invece, questi confini crollano e dalla (tutto sommato) innocua repressione di credenze considerate pericolose si passa alla persecuzione legale di uomini e donne (soprattutto donne), con l’accusa di incredibili delitti che prima le autorità avrebbero considerato solo morbose fantasie ispirate dal demonio. La caccia alle streghe è legata al passaggio all’età moderna e l’intolleranza verso le oscillazioni tra fantasia e realtà, tipica di questo particolare momento della civiltà occidentale, è il rovescio della medaglia della nascita di fenomeni come l’economia capitalistica, la fisica matematica, lo Stato di diritto, ovvero i cosiddetti progressi della modernità. Come scrive Luisa Muraro:

La mia tesi è che, per capire la caccia alle streghe, bisogna tener conto che, alle soglie della modernità, si aprì un conflitto, oltre che culturale e sociale, anche simbolico (e come tale interno a noi e permanente) fra ciò che noi sappiamo esser vero in forza di una mediazione vivente, e ciò che ci risulta esser vero in forza di una mediazione codificata (con i dogmi religiosi, con il credo scientifico, con il diritto…). In questo conflitto le donne si presentarono come portatrici di una superiore capacità di praticare la mediazione vivente, dovuta al loro rapporto abissalmente più intimo con il corpo della madre, un rapporto non gravato dal tabù del contatto. Ma questo di più femminile, antichissima risorsa della nostra cultura religiosa e popolare, fu visto come una minaccia all’ordine che si andava costituendo, fatto di mediazioni più complesse e potenti (o, semplicemente, più macchinose e pretenziose).

Rappresentazione di un Sabba nelle cronache di Johann Jakob Wick, 1560-1587 (public domain, via Wikimedia Commons).
Rappresentazione di un Sabba nelle Cronache di Johann Jakob Wick, 1560-1587 (public domain, via Wikimedia Commons).

Sibilla Zanni e Pierina Bugatis

C’è un episodio, successo a Milano verso la fine del Trecento, che testimonia in modo emblematico questo passaggio epocale. Nei due processi a Sibilla Zanni e Pierina Bugatis, tenutisi ad alcuni anni di distanza, si manifesta uno sgretolamento del confine tra realtà e fantasia nel giudizio di uomini dotati di sapere e autorità, posti di fronte a una trasgressione femminile: trasgressione fantasticata oppure reale? La storia di Sibilla e Pierina, due donne che nessuno chiamò effettivamente streghe, rappresenta in un certo senso l’atto di nascita della caccia alle streghe.

Riti notturni

Nel 1384, Sibilla e Pierina furono convocate a comparire, in momenti diversi, davanti all’inquisitore della Lombardia, il domenicano Ruggero da Casale. Entrambe dichiararono di essere affiliate fin da ragazzine a un gruppo segreto composto di uomini e donne, vivi e morti. Chi voleva passare dai vivi ai morti doveva trovare una nuova adepta che prendesse il suo posto tra i vivi: Pierina, a sedici anni, era entrata nella “società” per permettere a una sua zia di morire. In questo modo, il numero dei vivi restava costante e quello dei morti aumentava. Le riunioni si svolgevano una volta alla settimana, nella notte tra giovedì e venerdì. Vi si portavano anche animali: una coppia per ogni specie, come nell’arca di Noè, tranne gli asini. Nella tradizione pagana, infatti, gli asini erano associati al cristianesimo, come testimoniato anche dal “graffito di Alessameno”, databile probabilmente al III secolo e ritrovato sul muro di una scuola sul Palatino: secondo l’interpretazione degli archeologi, un disegno con il quale gli studenti prendevano in giro i cristiani.

Graffito di Alessameno. La scritta in greco significa: “Alessameno venera il suo dio”, cioè un crocifisso con la testa d’asino (public domain, via Wikimedia Commons).
Graffito di Alessameno. La scritta in greco significa: “Alessameno venera il suo dio”, cioè un crocifisso con la testa d’asino (public domain, via Wikimedia Commons). Tra le diverse calunnie circolanti nei confronti dei cristiani c’erano quelle di praticare sacrifici umani e di adorare, appunto, un dio-asino.

Il Gioco di Madonna Oriente

A guidare il gruppo era una “Signora Oriente” o “Signora del Gioco”: sapiente e potente, padroneggiava i segreti delle erbe, conosceva il futuro e rispondeva a domande su malattie, furti e malefici. Sibilla e Pierina non pensavano che fosse peccato frequentare le riunioni di Madonna Oriente e perciò non ne avevano mai parlato con il confessore, anche se la Signora stessa pretendeva che si mantenesse il segreto. A questi convegni si mangiava carne: gli animali uccisi venivano poi resuscitati dalla Signora Oriente, ma non erano più adatti a lavorare. La compagnia andava per le case dei cristiani addormentati, dove si mangiava e si beveva: se venivano trovate pulite e in ordine, la Signora del Gioco lasciava la sua benedizione. Il racconto di Sibilla e Pierina lasciò perplesso frate Ruggero, che si consultò con altri due inquisitori e con l’arcivescovo di Milano, Antonio da Saluzzo. Alla fine, nonostante la gravità dei fatti raccontati, i quattro decisero per una blanda condanna e una buona penitenza: erano convinti, infatti, che si trattasse di fantasie, allucinazioni dovute magari all’assunzione, consapevole o meno, di sostanze psicotrope.

Hans Baldung Grien, Tre streghe, 1514 ca. (public domain, via Wikimedia Commons).
Hans Baldung Grien, Tre streghe, 1514 ca. (public domain, via Wikimedia Commons).

Il rogo del 1390

Pochi anni dopo lo scenario è cambiato. Sibilla Zanni e Pierina Bugatis vengono bruciate sul rogo in piazza Vetra (per altri in piazza Sant’Eustorgio) nel 1390, la prima a maggio e la seconda a luglio, con sentenza del Podestà di Milano, in quanto giudicate dall’Inquisizione eretiche “relapse”, ovvero recidive. Frate Beltramino da Cernuscullo, infatti, richiamò le due donne in tribunale sei anni dopo il primo interrogatorio. Ormai trentenni, Sibilla e Pierina ammisero candidamente di aver ripreso a frequentare il “Gioco”, fornendo dovizia di particolari. Pierina aggiunse di essersi unita carnalmente a uno spirito di nome Lucifello, di avergli dato un po’ del proprio sangue per sigillare un patto e quindi di essersi fatta condurre da lui al Gioco. In queste breve arco di tempo e in questo cambio d’inquisitori si assiste a quel cedimento dell’antico confine tra fantasia e realtà da cui ebbe inizio la caccia alle streghe. Il primo inquisitore condanna le due donne per aver “creduto” nella Signora Oriente: credidisti… credidisti, ripete frate Ruggero nella sentenza del 1384, rivolgendosi a Sibilla. Frate Beltramino, sei anni dopo, le condanna per aver “realmente” frequentato il “Gioco”.

Luigi Zago, piazza della Vetra, 1930 (public domain, via Wikimedia Commons).
Luigi Zago, Piazza della Vetra, 1930 (public domain, via Wikimedia Commons).

Nella cultura di Pierina e Sibilla, la frontiera tra sogno e realtà non era rigida e poteva essere attraversata da una parte all’altra. Le loro esistenze si svolgevano normalmente su due piani, quello del sogno e quello della vita ordinaria, con un’alternanza simile a quella fra la notte e il giorno. Ma tra i due mondi c’era un nesso fortissimo: la cura domestica, per esempio, compito diurno delle donne e criterio di valore nel mondo di Madonna Oriente; la preoccupazione di mantenere un equilibrio demografico, suggerita dalla regola di farsi sostituire prima di morire; l’arte medica e divinatoria, praticata nella realtà ma con le fondamenta nell’universo del “Gioco”.

Le dee dell’ombra

La Signora del Gioco (o Madonna Oriente, o Diana) è una figura dai molti nomi (anche Erodiade o Berchta, divinità delle tradizioni alpine precristiane). Nel mondo pagano, Diana presiedeva alle nascite e alla fertilità ed era associata alla Luna, simbolo femminile per la ciclicità del suo manifestarsi. Allo stesso tempo, Diana era una delle forme della triplice Ecate, dea della magia adorata con riti misterici, che incarnava gli spettri e i fantasmi della terra e appariva di notte insieme alle sue seguaci, anime insepolte o morte troppo presto. La Diana italica, fusasi con Ecate, sopravvisse nel mondo cristianizzato del Medioevo, come attestano fonti storiche e letterarie (oltre al già citato Canon Episcopi). Queste dee dell’ombra, benché bandite dalla Chiesa, erano considerate dal popolo esseri buoni, come le fate; agli occhi della Chiesa medievale, le loro seguaci erano soltanto vittime di illusioni diaboliche, che in nessun modo potevano giustificare una severa persecuzione. Il carattere sostanzialmente benefico della “Società di Diana” andò offuscandosi a partire dal XII secolo, quando la credenza nelle streghe malefiche cominciò lentamente a prevalere. Saranno i demonologi del XV secolo, per lo più teologi e inquisitori domenicani, a voler dimostrare a tutti i costi la reale presenza diabolica nell’antico rito e la consapevole complicità delle donne coinvolte.

Guercino, la dea Diana associata alla Luna, 1658 (public domain, via Wikimedia Commons).
Guercino, La dea Diana associata alla Luna, 1658 (public domain, via Wikimedia Commons).

La Dòna del Zöc a spasso per le valli

La Signora del Gioco (Dòna del Zöc in dialetto camuno) si ritrova nel folklore di diverse regioni. I comportamenti attribuiti a questa fantasiosa creatura variano secondo le zone, ma alcuni aspetti sono comuni a tutte le tradizioni, come l’essere dispettosa ed evanescente. Spesso viene rappresentata come alta e allampanata, con i capelli arruffati, vestita di lunghe gonne nere e di uno scialle a larghe frange. Può essere bellissima o ripugnante. Talvolta è accompagnata da quaranta cani bianchi o da sette gatti, ciascuno con appeso al collo un sonaglio. Uno dei tanti racconti diffusi nelle valli bergamasche parla di un tale di Serina che la incontrò su un ponticello alle prime luci dell’alba: ritemprata dalla notte, la Donna del Gioco era splendida, seducente nel suo vestito di pizzo e di veli trasparenti. Il malcapitato, ammaliato, corse ad abbracciarla, ma, appena si fu avvicinato, la strana creatura cominciò a crescere a dismisura, allungando le gambe fino al cielo e dissolvendosi al vento.

Maschera di Berchta, Klagenfurt, Austria (public domain, via Wikimedia Commons).
Maschera di Berchta, Klagenfurt, Austria (public domain, via Wikimedia Commons).

PER APPROFONDIRE – SIBILLA, PIERINA E LA SIGNORA DEL GIOCO

  • Antonio Emanuele Piedimonte, Milano Esoterica. Storie, misteri e leggende alla scoperta della città segreta, Intra Moenia, Napoli, 2013.
  • Luisa Muraro, La signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe, Feltrinelli, Milano, 1976.
  • Luisa Muraro, Andare liberamente tra sogno e realtà, leggibile qui.