Rosé, un accento che fa la differenza

Rosé, un accento che fa la differenza
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In collaborazione con AIS Milano.
Agosto è l’estate: giornate accecate dal sole e notti di lacrime luminose, le stelle lasciate dalle Perseidi.
Serate di feste, con brindisi, sorrisi, allegria e un tocco femminile di eleganza: quando i calici si tingono di rosa ci vuole qualcosa di speciale e, non ce ne voglia Edmond Rostand se per questa volta, Cyrano de Bergerac ci porgerà lo spumante sussurrando la parola rosé.
Se è vero, come cantava Fiorella Mannoia, che noi donne siamo “dolcemente complicate”, le affinità con questo tipologia di spumante sono molteplici: fare spumante metodo classico rosé è difficile.
In primis i metodi, così diversi tra loro: dall’impiego di uve grigie alla breve macerazione di uve rosse, fino alla miscela di vino bianco e rosso, come si usa in Champagne.
E poi il colore, che è una sfida soprattutto in chiave evolutiva: così mutevole per effetto della perdita che avviene durante la fermentazione in bottiglia, con i lieviti che, nel tempo, tendono ad assorbirne una parte. Di vendemmia in vendemmia il colore potrebbe non essere mai lo stesso.
Velo di cipolla, ciclamino, salmone, rosato, viola acceso, ramato: quante sfumature, brillanti ed emozionanti, accompagnate da un perlaceo a grana fine e persistente, da profumi ricchi e intensi con note avvolgenti e piacevolmente fresche.
Mutevoli nell’aspetto, mutevoli nell’essenza: lambrusco, ribolla, nebbiolo, chardonnay, montepulciano, pinot nero, bombino, aglianico, nerello mascalese, sangiovese. Molte sono le sperimentazioni, quasi ad indicare un percorso in costante divenire: tutti i grandi vitigni sono stati spumantizzati in rosé.
Molte denominazioni lo prevedono: le DOCG Alta Langa, Franciacorta, Oltrepò Pavese metodo classico, Recioto della Valpolicella, solo per fare qualche nome. E le DOC più note, Trento, Lambrusco, Aglianico del Vulture, Bardolino Chiaretto, Alto Adige Sekt.
Percorso lunghissimo, se pensiamo che già nel 1662 l’inglese Christopher Merret scriveva di vini sparkling con l’aggiunta di zuccheri, strappando a Dom Pérignon la paternità dell’idea di vini “mousseux”.
Percorso geograficamente ampio, che ci porta in Spagna, nella regione del Cava, dove nel 1872 vennero prodotte le prime bottiglie: oggi il Cava rosé è solo da pinot nero, trepat, garnacha tinta e monastrell.
Il primo rosé italiano nasce ufficialmente nel 1962, in Franciacorta, grazie ad un’intuizione di Franco Ziliani dell’azienda Guido Berlucchi: il rosé metodo classico è oggi pari a circa il 9% della produzione totale.
In Oltrepò pavese, per gli spumanti rosé da pinot nero, si parla di Cruasé, blend lessicale tra “cru” e “rosé”.
Al naso un profumo avvolgente, sempre dotato di buona mineralità abbinata alla dolcezza del frutto, per un aroma elegante e fine. Al palato ci accoglie un gradevole sapore di frutta, dove talvolta riconosciamo un frutto rosso forte con note vegetali e muschiate, abbinato ad una dolcezza dovuta ad un dosaggio di zuccheri che può essere importante: oppure possiamo scoprire un vino un po’ tannico, a volte maschio, ruvido, pieno di energia, con note di tostatura e di pasticceria, e sentori di spezie che testimoniano un’uva rossa più ricca all’origine. Alcuni rosé ci sorprendono con aromi di spezie legnose, profumi di corteccia che ci ricordano le radici di china e rabarbaro. Qui il frutto è più alcolico, più spiritato, quasi piccante.
Lasciatevi incantare e sedurre dal colore e dall’intensità aromatica dei vini rosé: con le feste d’agosto si rivelerà un sodalizio incantevole.
di Sara Missaglia
In collaborazione con AIS Milano.
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