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Querceto di Castellina, intervista a Jacopo Di Battista

Querceto di Castellina è un’azienda biologica certificata a conduzione familiare, che si estende per cinquanta ettari in totale, di cui circa undici virgola venti vitati nel cuore della DOCG Chianti Classico.

Il Sangiovese occupa circa l’80% dei vigneti, il Merlot, che costituisce la maggior parte della restante superficie, il Cabernet Franc e i vitigni Viognier e Roussanne (2.000 viti in totale, in una piccola parcella separata).

L’azienda è stata fondata nel 1945 da Guido Masini, nonno dell’attuale proprietario Jacopo Di Battista. In origine questa era la casa di campagna della famiglia, che viveva a Firenze. La tenuta comprendeva anche dei vigneti, dei quali solo una piccola parte delle uve era destinata alla produzione di vino ad uso poco più che personale.

Alla fine degli anni Ottanta la figlia di Guido, Laura, con l’aiuto del marito Giorgio Di Battista, decise di ristrutturare gli edifici del Quattrocento e trasformarli in agriturismo.

Alla fine degli anni Novanta è il figlio maggiore Jacopo ha comprendere le enormi potenzialità dell’uva che cresceva nella zona e ha decidere di reimpiantare le vigne e di ristrutturare.

Nel 1998, quindi, viene inaugurata la cantina e imbottigliata la prima annata con il marchio Querceto di Castellina.

Ascoltando il suo racconto della tenuta, della casa del nonno, si percepisce l’amore che ha per questa terra e per il territorio. Ma come ha deciso di riprendere in mano l’azienda di famiglia, in particolare riprendere la gestione totale dei vigneti?

“Tutto è iniziato da mia mamma che nel 1988 decise di riprendere in mano Querceto, creando l’agriturismo. Ma per svolgere l’attività è necessaria anche la parte agricola, così decise di occuparsi nuovamente dei vigneti, che mio nonno aveva dato in gestione agli inizi degli anni 70.

Dopo il liceo ho vissuto per un anno vicino Londra, poi ho cominciato a lavorare per I Viaggi del Ventaglio in giro per il mondo. Mi occupavo della parte di ricezione e gestione dei clienti da un punto di vista organizzativo. Alla fine del ’97, sentivo l’esigenza di fare qualcosa per conto mio. Così rientrai in Italia con la speranza di poter gestire l’agriturismo, vista la mia esperienza nel settore turistico. Mia mamma però non era d’accordo di lasciarmi la sua “creatura”, così mi propose di iniziare a gestire la parte vigneti e di cominciare a produrre vino. Già all’epoca collaboravamo con Gioia Cresti (nostro enologo da sempre) che supportava mia mamma. All’epoca di vino sapevo poco o niente, ma con il supporto della mia famiglia e l’aiuto di Gioia, iniziai questa avventura. Per fortuna mi sono subito appassionato, questo è un lavoro che devi amare e dove devi dedicare te stesso al 100%”.

É stato difficile convertire l’intera azienda all’agricoltura biologica? Perchè il rispetto del territorio e della natura sono così importanti?

“Non lo è stato assolutamente. Anche perché, quasi subito dopo che abbiamo cominciato a produrre, nel 1998, abbiamo cercato di adottare pratiche sostenibili. All’inizio del 2009, quando il reimpianto di tutti i vigneti è terminato, abbiamo iniziato la conversione a bio. Siamo certificati da Gennaio 2012.

Credo che il rispetto dell’ambiente che ci circonda e dove viviamo sia fondamentale. Sono sempre attento ai prodotti che consumo e cerco di evitare cose troppe manipolate chimicamente. Credo che produrre vini biologici sia anche un segno di rispetto e di garanzia per tutte le persone che li consumano. Sono molto felice che una grossa percentuale dei produttori del Chianti Classico, lo siano già o lo stanno per diventare”.

Quali sono, secondo lei, i vini prodotti che rappresentano meglio e in toto l’azienda? E perchè?

“Sicuramente il Chianti Classico L’aura. È stata la prima etichetta prodotta, è un vino elegante, di ottima freschezza e che si sposa bene con diversi piatti. Anche se è il Chianti Classico di annata, quindi da bere abbastanza giovane, invecchia molto bene. Diciamo che è un vino che si fa bere, un bicchiere tira l’altro”.

A quale vino della sua produzione è particolarmente legato?

“Senza dubbio alla Gran Selezione Sei. È un vino in cui ho creduto fin da subito. Appena è stata approvata la Gran Selezione dal Consorzio, ho smesso la Riserva e puntato tutto su questo prodotto. È un vino che mi da grandi soddisfazioni”.

La scelta dei nomi dei vini come è avvenuta?

“È molto difficile trovare un nome per un vino. Quando pensi di aver trovato quello giusto, poi scopri che c’è ne uno con lo stesso nome in California o c’è già un trademark. Alcuni nomi sono nati con il grafico, altri quasi per caso. Ad esempio Sei. Non riuscendo a trovare il nome ho cominciato a pensare qualcosa legato alla vigna. Casualmente, vigneto Belvedere – dove in una piccola parte selezioniamo le uve per il Sei – misura 6.6 ha con una densità di piante ad ettaro di 6.666. A quel punto ho pensato a Sei, visto anche che mia mamma è nata il 6.6.1946. In seguito mi sono anche reso conto che i Tonneaux da 500 lt che usiamo per affinare il Sangiovese di questo vino contengono 666,66 bottiglie”.

Livia per esempio è il nome della prima nipote, nata due giorni prima della prima vendemmia. Sull’etichetta c’è il piedino della bimba di quando aveva sei mesi.

Quali sono i piani per il futuro?

Quest’anno reimpiantiamo una nuova vigna e alla fine dell’anno usciremo con un nuovo vino. Dobbiamo ampliare la cantina, ristrutturare la sala degustazione, vendita diretta e alcuni appartamenti dell’agriturismo. I piani e le idee sono molti, vediamo quanto tempo ci vorrà per metterli in atto.

 

www.quercetodicastellina.com