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Pietro Leemann, intervista allo chef “padre” del vegetarianismo

Stellato dal 1996, il Joia di Milano è stato fino allo scorso anno l’unico ristorante vegetariano insignito della stella Michelin fino al 2014, quando nel firmamento è entrato anche il ristorante Tian di Vienna.

Ma la stella non sembra essere la vera ambizione di Pietro Leemann, mente e anima spirituale del Joia.

 

La dimensione spirituale non può e non deve essere disgiunta dalla vita che si vive. La ricerca della “giusta alimentazione” è andata per me di pari passo alla ricerca della “giusta religione”. Da quando questi due mondi si sono uniti la mia vita è più completa. Mi sento coerente sotto tutti i punti di vista. Vivo esattamente come penso.

Leggendo la sua biografia si evince che il suo percorso spirituale è nato, in maniera consapevole, già dalla sua prima infanzia. Nella Chiesa Cattolica, nella parrocchia del paese, per poi avvicinarsi alla filosofie orientali, attraverso viaggi in Oriente e la scoperta di diverse discipline. Dove ha trovato il compimento di questo percorso, e perché?

Seguo una corrente induista perché è quella che più mi corrisponde. L’Induismo richiede un’assiduità nella pratica spirituale e l’aderenza ad alcuni principi. L’induista è vegetariano, non beve alcol e non gioca d’azzardo. Tutti principi che già mi appartenevano e che fanno parte del mio modello di vita. In questo senso la religione non è un obbligo, ma al contrario libertà.

Niente a che vedere, quindi, con i principi della rinuncia…

La rinuncia esiste, ma come liberazione, come allontanamento di quello che complica e peggiora la nostra vita. La rinuncia è una gioia.

In questa ricerca così profonda, l’alimentazione è una scelta imprescindibile.

L’alimentazione è certamente un buon indicatore. Ciò che mangiamo racconta molto di come siamo. Quello che è interessante è capire se è ciò che davvero ci corrisponde. Cambiare abitudini non sempre è facile, anche perché sono legate spesso ad aspetti emotivi, culturali, relazionali e molto altro.

Il cibo è in tutte le culture e in tutte le religioni, ma anche nella vita laica. Ha significati molto profondi e radicati.

Da sempre ha mostrato una grande sensibilità verso il mondo animale, diciamo una naturale protezione e una rifiuto dell’aggressione. È diventato poi vegetariano a 25 anni, in un certo senso “tardi” rispetto a queste spinte che già vivevano in lei. Come mai ha atteso così tanto?

Desideravo essere vegetariano da molto tempo in effetti, ma il percorso non è stato così semplice. Ci sono dei cibo che sono profondamente radicati nella nostra cultura alimentare, carne la carne e lo zucchero ad esempio. Ho dovuto sradicare molte rigidità dentro di me prima di arrivare al vegetarianismo esclusivo.

Aprire un ristorante di sola cucina vegetariana nel 1989 non deve essere stato facile. Quali sono state le maggiori difficoltà?

Sfatare i luoghi comuni innanzitutto. La cucina vegetariana era vista come una cucina di serie B. Lo stesso Gualtiero Marchesi sostiene che non riuscirebbe a non cucinare carne! I maggiori piatti sono composti almeno da una proteina animale. Per questo ho dovuto lavorare con grande impegno e ricerca per ricreare piatti che avessero un potere evocativo altrettanto importante come quello delle carni o del pesce. Da questa ricerca sono nati piatti-icona come “sotto una coltre colorata”, che evoca un luogo in maniera forte e comunicativa. Non si parla più di ingredienti ma di idee, anche da un punto di vista linguistico e poetico.

Deve essere stato bellissimo dare vita a qualcosa che prima non esisteva.

Bellissimo e faticoso. Prima il Joia era un luogo fuori dal coro, oggi è crocevia di un cambiamento. Ho avuto l’opportunità di creare qualcosa che prima non c’era, e questo per me è bellissimo.

 

www.joia.it

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Pietro Leemann_Volontà PH. Brambilla Serrani