Piero Figura, un eclettico Peter Pan

Piero Figura, un eclettico Peter Pan – Designer, set designer, pittore e scenografo, Piero Figura é un artista a 360 gradi e si racconta a MilanoPlatinum.
Chi è Piero Figura?
Sicuramente un designer. Lavoro da diversi anni, e continuo a farlo, come designer per aziende a livello internazionale come il gruppo Atena e lo storico marchio Seguso di Murano. Con il gruppo Atena sono stato distribuito nei negozi più famosi del mondo come Saks, Bergdorf Goodman, Neiman Marcus, che è stato quello che mi ha portato più visibilità, e nel 2000 Harrod’s mi ha dedicato la vetrina per il nuovo secolo. Ho lavorato anche con il gruppo Camerin, che si occupa di mobili di lusso. Ho lavorato anche come set designer con grosse agenzie e fotografi internazionali, oltre che set designer pubblicitario per Bottega Verde, Todd’s, Carpisa e molti altri. Mi occupo anche di pittura e di illustrazione, e come illustratore sono stato pubblicato su Glamour, per alcuni lavori che ho fatto per Chanel, Dior, Marc Jacobs, Prada, Tod’s, Vuitton e Guerlain. Sempre come illustratore, alcuni anni fa ho realizzato la copertina di Vogue Gioiello, l’unica volta in cui Vogue ha messo in copertina un disegno e non una foto. Sono stato il vincitore del premio Designer dell’Anno. Mi sono anche occupato di scenografie, come quella per i 10 anni del Four Seasons Hotel di Milano. Ho visto i miei oggetti in giro per il mondo, dall’America alla Russia fino ai Paesi arabi, in grandi showroom e grandi case, e pur essendo io una persona piuttosto semplice e umile mi sono sentito molto gratificato.
Milanese di adozione, ma spirito pugliese. Le tue creazioni hanno un tocco del sud: quanto sono importanti le proprie origini?
Sono nato a Brindisi, e poi sono arrivato a Milano. Agli inizi ho viaggiato tantissimo, dall’America (che ho visitato moltissime volte, perché sono affascinato da questo mondo) all’Europa. Le proprie origini sono molto importanti perché, come ha scritto una volta un giornalista, è rimasto in me il sole del Mediterraneo e lo porto in tutti i miei oggetti; in effetti, anche il mio showroom è caldo e colorato.
Antiquariato e modernariato, nelle tue opere, paiono fondersi. Come avviene questo connubio?
Oggi creo i miei prototipi e pezzi unici in un laboratorio-showroom, ma in passato ho avuto tre negozi, di cui uno era di antiquariato e modernariato. Per questo nei miei oggetti si riconosce la mano di chi è stato in questo ambiente, e spesso i miei oggetti sono un misto tra Pop Art e Barocco, anche perché la mia cultura di base mi fa utilizzare e mescolare vari stili.
Le tue opere possono racchiudere ciò che da bambini si sogna e la realtà che viene percepita da adulti. Spesso sei stato definito un Peter Pan moderno: concordi con questo appellativo?
Mi diverto sempre a realizzare oggetti che ricordano il mondo infantile, tanto che anni fa Panorama mi aveva appunto dato il nome di Peter Pan: nome che mi si addice moltissimo, perché ho sempre puntato al mondo delle favole; evito di inserire elementi aggressivi o macabri, e ho sempre puntato sulla favola, tanto che i miei personaggi cui mi ispiro sono in genere Humpty Dumpty, Alice, Topolino o tutto quello che riguarda l’infanzia. Forse proprio perché in realtà sono rimasto una sorta di Peter Pan.
Oltre a essere stato definito Peter Pan, sono stato avvicinato anche alla figura di Salvador Dalí, per il fatto di condividere la stessa “pazzia” e perché ho sempre creato cose controcorrente, abbastanza insolite e a volte surrealistiche.
Come nascono le tue opere, per esempio i cornetti portafortuna, e cosa vogliono trasmettere?
I cornetti portafortuna sono nati 25 anni fa perché nel mio negozio, già di suo abbastanza strano, avevo deciso di inserire un oggetto scaramantico, costituito da 100 cornetti infilati in una vecchia corda. Non so se i cornetti che faccio io portino fortuna anche agli altri, ma a me certamente sì, perché sono 25 anni che li vendo. Sono venuti anche numerosi personaggi famosi, molti del mondo della moda, per farsene realizzare qualcuno.
Le mie opere nascono da uno spunto preso per caso, per esempio da un vestito, da una vetrina o da uno spettacolo teatrale. Comunque, nasce come un pensiero, che diventa poi un’idea e viene infine messa su carta; poi da lì creo tutta la storia. Quasi sempre mi innamoro di cose un po’ oniriche, che posso mischiare, quasi volessi restare sospeso tra la realtà, il sogno e la fantasia. Ecco perché le mie creazioni hanno sempre queste forme un po’ insolite e, ripeto, infantili.
Come cavoli a merenda: come mai la scelta di questo nome?
Come cavoli a merenda è il nome di quello che è stato il mio terzo negozio, e lo chiamai così perché si trovava in una via dove c’erano solo ristoranti maghrebini o algerini, e nulla invece di artistico. Sentivo tuttavia che questo posto era giusto per me, anche se in questa via c’entravo “come un cavolo a merenda”. Ho tenuto il nome e l’ho portato con me anche in seguito, perché mi ha portato fortuna.
Progetti futuri?
Al momento sto facendo diverse cose: per esempio, sono tornato al mio primo amore, la pittura, anche grazie a un viaggio in Brasile che mi ha dato nuovi input e nuove idee da mettere sulla tela. Come molti, ho iniziato proprio dipingendo, perché la prima forma artistica alla quale un bambino si avvicina è appunto il dipingere e il disegnare. In Italia purtroppo siamo legati al fatto che quando ci si dedica alla pittura, per essere un pittore “vero” si deve fare solo quello, mentre per gli artisti di altre parti del mondo è diverso, tanto che il dipingere non esclude anche creare, per esempio, una maglietta oppure altri oggetti; la creatività non deve essere chiusa nell’immagine stereotipata del pittore che si deve dedicare solo alla pittura, altrimenti deprezza la sua arte. Io penso che l’arte debba essere fluida e che debba essere usata per creare in generale, e che non debba essere soggetta ad alcun tipo di limitazione.
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