Piano Tales. Enrico Zanisi si racconta in piano solo

Piano Tales. Enrico Zanisi si racconta in piano solo –
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In collaborazione con il portale Pianosolo.
Piano Tales. Enrico Zanisi si racconta in piano solo
La recente uscita discografica del pianista e compositore Enrico Zanisi si intitola “Piano Tales” ed esce per i tipi della Cam Jazz. Questa registrazione rappresenta l’esordio discografico in piano solo di Zanisi, quel luogo ideale che prima o poi un pianista deve affrontare, quella prova di coraggio e quell’estrema emozione che sono inalienabili nella formazione e nell’evoluzione di un pianista. “Piano Tales” contiene undici tracce, per lo più improvvisate in studio, che si connotano proprio come undici momenti di un’unica narrazione variegata e densa di colori, in cui la vulgata jazzistica convive con un retaggio formativo di stampo classico e trova una cifra stilistica unica.
Della genesi del disco e delle sue caratteristiche ce ne parla Enrico Zanisi in questa intervista.
Qualche anno fa in occasione di un tuo concerto ci hai detto che il piano solo è “la più grande sfida che un pianista possa affrontare”, come “un gioco che mette a repentaglio tutte quelle certezze che un musicista ha quando si esibisce con altri…”, ma anche come “l’esperienza più divertente, più bella, più entusiasmante”. Oggi ci regali un disco in piano solo: “Piano Tales”. A distanza di qualche anno hai cambiato idea o hai la stessa percezione di questa esperienza artistica?
Enrico Zanisi: Non ho cambiato molto idea in realtà. Diciamo che se idealmente si ambisce a raggiungere la perfezione è chiaro che ci vuole più tempo di quello che uno si aspetta, soprattutto per realizzare un disco in completa solitudine. Keith Jarrett, che reputiamo come uno di coloro che hanno esplorato nella maniera migliore il piano solo, incise il suo primo disco solistico, che si intitolava “Facing You”, verso i 27 anni, ma fu precoce. Chi si cimenta nel piano solo in genere lo fa quando è un po’ più in là con l’età. Anche Bollani ha prodotto il suo primo disco solista dopo i 30 anni. Tre anni fa io avevo 23 anni e quindi poteva essere effettivamente una sfida troppo grande. Devo dire che in questi anni ho colmato molto questo divario tra ciò che pensavo e ciò che è stato, perché ho avuto molte più possibilità di suonare in piano solo. L’ho cercata questa situazione, mi sono proposto, ma mi è anche stata proposta. Ho avuto quindi modo di approfondire e condurre una ricerca personale sullo strumento.
Partiamo dal titolo: “Piano Tales”. Effettivamente ascoltando le 11 tracce di questa registrazione ognuna ci dà la sensazione di una narrazione articolata, di una storia che ci stai raccontando. Sono storie diverse, musicalmente parlando, ma ritieni che ci sia un principio ispiratore unico? Un’idea portante che ti ha guidato?
Nei live, così come in questo disco in studio, io faccio largo uso di improvvisazioni totali. Mi appassiona poter partire da pochi elementi e costruirci sopra un brano. Questa cosa mi piace molto e spesso funziona. Partire con poco e costruire qualcosa progressivamente mi ha dato un po’ l’idea proprio di una narrazione che comincia da pochi elementi che il lettore deve mettere insieme, per arrivare poi, dopo essere passati in un climax, a una conclusione. In “Piano Tales” i brani nati in studio sono per la maggior parte improvvisati, tranne alcuni pezzi di repertorio, quali ad esempio “Uma Historia”, che eseguo regolarmente in concerto, oppure il brano che chiude il disco che è un brano tratto dal “Tannhäuser” di Wagner, o “No Truth” che già era in “Keywords” che è una ballad. Il resto, compresa la “Ouverture” iniziale, è completamente improvvisato. Questo tipo approccio narrativo mi ha dato l’idea di intitolare il disco “Piano Tales”, perché sono delle piccole storie.
I brani di “Piano Tales” hanno una struttura forte, si percepisce da parte tua un assoluto controllo della forma. Per essere brani totalmente improvvisati la cosa è rilevante…
Questo è l’aspetto che effettivamente mi ha più intrigato e che ho cercato di curare particolarmente in questi anni. In una libera improvvisazione spesso si perde un po’ il filo, per me invece è stato molto interessarante riuscire a creare dei piccoli capitoli che, come tu dici, hanno una forma definita e sembrano effettivamente dei brani compiuti. Mi è venuto naturale partire da pochi elementi e riuscire a creare una forma unitaria, qualcosa che avesse senso, proprio come dei piccoli capitoli di una storia.
Il tuo bagaglio di conoscenze è una somma di linguaggi musicali. Indubbiamente anche in “Piano Tales” sono percepibili le influenze che la tua formazione classica ha lasciato. Penso alla “Ouverture” di apertura del cd o anche a “O Du Mein Holder Abendstern” in cui il punto di partenza è una celebre aria del Tannhauser di Wagner. Qual è la funzione estetica e poetica di questo patrimonio classico nella tua attività compositiva? Come lo coniughi al linguaggio jazzistico che hai comunque scelto per esprimerti?
Avendo studiato per dieci anni musica classica, non solo a livello esecutivo e tecnico, ma con un forte desiderio di capire l’evoluzione delle sue forme nei secoli, mi è venuto naturale usare questo bagaglio. Ho una certa passione soprattutto per la musica di Bach, per il contrappunto, o anche per la forma sonata, per la musica di Scarlatti, per un certo uso della mano sinistra in Chopin, per le composizioni di Ravel o Debussy. Ho studiato questa materia non solo da pianista classico, ma come appassionato che vuole capire. Anche adesso stavo per esempio analizzando il “Crucifixus” della Messa in Si minore di Bach, dove c’è questa parte discendente con tutta una serie di voci e per me è molto interessante. Insomma mi piace proprio questo approccio perciò è chiaro che lo trasferisco nel mio pianismo. Questo come tutta una serie di ascolti diversi che spaziano dalla musica elettronica al pop al rock. Mi piace in generale ascoltare molte cose.
Oggi andiamo sempre più verso un abbattimento del confine tra i cosiddetti generi musicali. In un certo senso il tuo “Piano Tales” ne è dimostrazione. Secondo te esiste una definizione univoca di musica che possa contenere tutto? Cos’è la musica per Enrico Zanisi?
I generi nascono per essere riconoscibili. Se ad esempio adesso apri ITunes puoi scegliere la musica per generi e sono un’inifinità, a significare che i generi servono per distinguere differenti tipi di musica per il mercato. In realtà la musica è musica e come diceva Duke Ellington c’è musica bella e musica brutta e basta. Io non credo che in passato esistesse una distinzione, questa è arrivata nell’era moderna. In passato si suonava la musica contemporanea. Nessuno si poneva domande o cercava definizione, la musica era nell’idea stessa della rappresentazione della società. Io cerco di fare questo. Per me la musica è quello che accumulo, le sensazioni che mi danno le persone che frequento, i luoghi che visito, il momento storico in cui vivo e non so se si chiama jazz, se si chiama pop, rock o in qualche altro modo, perché se volessi darle una definizione probabilmente finirei con il toglierle qualcosa che è mio e non è definibile. Tutti noi siamo alla ricerca di qualcosa che ci appartiene e questo per me è la musica.
Le atmosfere di “Piano Tales” sono variabili. Si passa dalla centralità dell’ambito melodico di brani come “Ma” o “No Truth” alla poliritmia vivace e spericolata di “Uma Historia”, o all’esplorazione, penso a “Morse” o a “Cut It Out”. In ogni caso la melodia ha un ruolo centrale nei tuoi brani. Nonostante le contemporanee sperimentazioni di molti artisti, secondo te la melodia manterrà sempre la sua centralità?
Credo sì, ma in realtà è molto difficile definire cosa è melodia e cosa non lo è. Cos’è la melodia? È qualcosa di bello, qualcosa che ci piace? Potrei dire che Ligabue scrive melodie, ma anche Arvo Pärt, Nella mia concezione melodia è il mio background musicale che mi porta a comporre in un certo modo forse riconoscibile come tale, come tu osservi, ma, se associamo l’idea di melodia esclusivamente a quello che proviamo quando ascoltiamo, stiamo guardando soltanto un lato della medaglia. Anche nei momenti in cui la musica è frantumata, anche se apparentemente questa melodia è assente, in realtà c’è. È un elemento strutturale della musica, anche quando non la cerchiamo la melodia c’è. Non è possibile una musica senza melodia. Esistono piuttosto differenti momenti melodici. Prima parlavamo di musica classica. Per fare un esempio, nel canto a tenore e quindi il contrappunto anche se tendiamo a sentire solo la voce superiore ci sono in realtà tante voci e altrettante melodie che si intersecano. Con il Romanticismo e l’enfatizzazione della voce solista quell’idea di melodia è rimasta per noi la melodia in assoluto, siamo ancora legati a questa idea romantica.
C’è un brano del cuore in questo disco? Qualcosa a cui sei più legato e perché?
Sono due. Tra le improvvisazioni “Mirage” è sicuramente quello che mi piace di più. Forse potrei dire che è il brano più riuscito del disco, perché è un’improvvisazione totale, ma mi piace molto quello che sono riuscito a creare nella forma, nella melodia, nell’armonia. Mi piace moltissimo anche “Ma”, una ballad che reputo molto riuscita.
C’è anche uno standard in questo disco.
Sì c’è uno standard in questo disco, che è “Spring Can Really Hang You Up The Most”, che è poco suonato e invece io lo suono da molto tempo, è uno di quegli standard che mi hanno rapito. Non ricordo neanche quale fu la prima versione che ascoltai di questo standard, forse era cantata, probabilmente da Ella Fitzgerald. È un brano in forma di ballata che io in realtà ho reso un po’ più movimentato. In generale nei miei dischi mi piace variare, mi piace inserire cose diverse per avere possibilità di esprimermi in maniera differente.
Gli standard, che rappresentano l’ABC del musicista jazz e sono studiati e suonati frequentemente, mantengono oggi secondo te inalterata la loro bellezza e offrono ancora la possibilità di dire cose nuove?
Gli standard sono canzoni. Noi chiamiamo standard questi brani tratti per lo più da musical, o le canzoni di compositori come Cole Porter, Gershwin, o ancora brani originali di jazzisti famosi tipo brani di Monk, Mingus, Coltrane, Charlie Parker. Però, solo per fare un esempio, un artista come Brad Mehldau ha creato tutta una serie di nuovi standard. Lo standard oggi altro non è che una canzone su cui si creano delle variazioni e quindi la sua efficacia non si esaurirà mai.
Progetti per l’immediato futuro?
Ci saranno dei concerti in piano solo questa estate, ad esempio al Jazz Festival di Edimburgo, poi un concerto molto bello all’alba al molo di Trieste. Inoltre sto scrivendo nuova musica per un organico allargato.

Un preascolto di Piano Tales è disponibile sul sito della Cam Jazz.
TRACKLIST Piano Tales (2016 Cam Jazz)
Enrico Zanisi pianoforte.
- Ouverture
- Uma Historia
- Mirage
- Cut It Out
- Mà
- Palabras
- Stairs
- No Truth
- Morse
- Spring Can Really Hang You Up The Most
- O Du Mein Holder Abendstern
In collaborazione con Pianosolo
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