OSTERIE, MERCATI, MULINI: I LUOGHI DEL CIBO

OSTERIE, MERCATI, MULINI: I LUOGHI DEL CIBO –
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In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC, percorriamo (un po’ con l’immaginazione, un po’ attraverso le tracce e gli edifici rimasti) un itinerario attraverso i luoghi del cibo a Milano, ripensando alle antiche osterie, ai caffè e ai mercati di un tempo.
OSTERIE, MERCATI, MULINI: I LUOGHI DEL CIBO
In ogni città si possono seguire itinerari del cibo: luoghi che parlano di mercati ormai scomparsi ma un tempo frequentatissimi, di caffè, ristoranti e mulini. E di osterie, dove, da soli o in tranquille chiacchiere tra amici, si mangiavano leccornie e si beveva vino schietto sotto pergolati dai sedili di sasso grezzo. Osterie dai nomi evocativi dal sapore antico e dalle insegne un po’ naif: la Cascina dei Pomi, celebre per i brindisi di Carlo Porta e per le pagine di Stendhal e Casanova, La luna piena, I tre merli, L’Osteria del Pesce, della Polpetta, la Cazzoeula, la Nós (“noce”), cenacolo di artisti, la Pobbia, la Goeubba dalla busecca celebrata da Carlo Maria Maggi, la Cagnoeula, la Melgasciada, l’Osteria del laghetto a Chiaravalle, ritrovo di pescatori di rane e di cacciatori di beccacce, il Ronchett di Rann, la Barona, la Viola, la Simonetta, celebre per essere stata la sede della Compagnia della Teppa. Gran conoscitore e frequentatore di osterie fu Giuseppe Rovani (per lui l’acqua era “bieca”), che a una in particolare (Monte Tabor) dedicò molta attenzione nel suo romanzo Cento anni.
L’Osteria Monte Tabor: le prime montagne russe
A Porta Romana, più o meno dove oggi si trova il centro benessere Terme Milano, una volta c’era un’altura artificiale costruita nel XVIII secolo con sassi e terriccio tolti dai bastioni. I milanesi la chiamavano “Monte Tabor”, riferendosi pomposamente al monte della trasfigurazione di Gesù. Su quest’altura aprì un’osteria molto amata e ricordata anche da Carlo Porta nella poesia On Funeral (El Miserere), nella quale due preti amanti delle buone bevute fanno rimare “Monte Tabor” con il termine latineggiante “dealbabor”. Verso la fine del Settecento, l’area tra il bastione e Porta Romana era diventata una cava allagata, pericolosa e insalubre a causa della malaria. Nel 1797 si iniziò dunque a trasportare lì i detriti di vari cantieri urbani per riempire le buche e prosciugarle. In poco tempo si formò un monticello, una specie di Monte Stella. Nel 1818, il nuovo gestore dell’Osteria Monte Tabor, Giuseppe Garavaglia, reduce delle campagne napoleoniche in Russia, fu folgorato dall’idea di trasformare quella collinetta in una “montagna russa”, come ne aveva probabilmente viste in Russia e come ne esistevano a Parigi. Pavimentò con del legno una parte della collina e tracciò dei binari su cui scorrevano carrelli con ruote in metallo che scendevano velocissimi. Le montagne russe originali erano piste di ghiaccio da percorrere su slitta, in cui la discesa era intervallata da brevi e brusche risalite: un’apposita pista per questo divertimento era stata fatta costruire dall’imperatrice di Russia Caterina II. Il termine “montagne russe” era stato invece coniato dai francesi, che per primi imitarono l’idea sostituendo la pista di ghiaccio e le slitte con rotaie e carrelli ancorati a esse. Nel giro di pochissime settimane il quartiere fu praticamente paralizzato dal gran traffico di carrozze dirette al Monte Tabor. Dall’alba a mezzanotte migliaia di milanesi affollavano la montagna russa. Garavaglia incassava più di mille lire al giorno, una cifra esorbitante. Nel 1820, in seguito a incidenti ed eccessi, la polizia revocò il permesso a Garavaglia, che cedette osteria e montagne russe a Valentino Nicolassi. Quest’ultimo rese il parco giochi più sicuro, ristrutturò il locale, si dedicò all’organizzazione di spettacoli e danze con orchestre e rese gratuita la discesa a chi consumava presso l’osteria. Nel 1823 Nicolassi vendette a Carlo Conti, che con gli eredi rimase proprietario fino al 1866. Grande scalpore suscitò la visita, nel 1825, dell’Arciduchessa e Viceregina d’Austria Maria Elisabetta di Savoia-Carignano, sorella del futuro re di Sardegna Carlo Alberto, che stupì i milanesi lanciandosi giù dalle montagne russe con la gonna che si sollevava a mostrare le gambe. A metà del XIX secolo, la montagna russa fu definitivamente abbandonata. L’osteria invece sopravvisse, passando di volta in volta in gestione ai maggiori commercianti del settore e diventando uno dei caffè-ristoranti più famosi di Milano. L’ultimo gestore fu Luigi Panighi, dal 1892 al 1898 circa. Poi venne chiusa e abbandonata per alcuni anni. I suoi spazi vennero riassegnati dal Comune alla Società Ginnastica Forza e Coraggio, appena sfrattata dalla sede di Porta Romana di fronte a via Orti. Nel 1907 venne costruita la Stazione Funebre di Porta Romana. Questo luogo, oggi terme e spa, ha davvero una lunga storia da raccontare: da cava malsana e malarica a luogo di divertimento per tutta la città, da ritrovo sportivo a stazione di transito dei morti…

I Trì Scagn e un’antica tradizione
Sul Carrobbio, l’ampio crocicchio al termine di via Torino (la cui etimologia è incerta: forse da quadrivium, ossia incrocio di quattro o più vie, o da carruvium “strada per carri”) si affacciava un tempo l’Osteria dei Trì Scagn, che tramandava nell’insegna il ricordo di un’antica consuetudine legata all’annuale corteo dei Re Magi che vi passava davanti nel giorno dell’Epifania. Giunti al Carrobbio e stanchi per il lungo tragitto (da Sant’Eustorgio al Duomo e viceversa), i sacerdoti si riposavano qui su tre seggiole, o scranne, offerte dal popolo. Nei pressi esisteva un’osteria che o in ricordo del fatto, o per aver fornito le sedie, prese a chiamarsi con quel nome. Frequentatore abituale era Edoardo Ferravilla (1846-1915), attore, commediografo e star del cinema muto. In zona pare che si potessero gustare anche le caldarroste più a buon mercato di Milano.

Il Caffè dell’Agnello e il gatto del Portorico
Nell’attuale via Agnello sorgeva un tempo una chiesa detta di San Simplicianino, demolita nel 1785. Con la demolizione, dalle fondamenta emerse un rudere di muro che correva parallelo alla strada: era un tratto dell’antica cinta augustea. Ma ciò che colpì maggiormente i residenti fu il ritrovamento tra quelle rovine di un frammento di marmo con scolpita l’immagine dell’Agnello Pasquale: la strada ne prese il nome e il reperto fu murato sopra il portone di una casa (si può vedere ancora oggi al numero 19). All’ombra dello stesso bassorilievo aprì nell’Ottocento il Caffè dell’Agnello, il primo dove (novità assoluta) si poteva sorbire l’esotica bevanda direttamente al banco stando in piedi. Ma già nel 1895 doveva subire la concorrenza del Portorico, all’altro capo della via e ad angolo con Corso Vittorio Emanuele. Qualche malizioso passante, visto il gattone soriano che poltriva sui sacchi di caffè esposti in vetrina, osservava che al Portorico si servisse acqua colorata, visto che el caffè l’era quel in vedrinna sotta ’l gatt.

Il Verziere
Il Verziere oggi è una delle strade più trafficate di Milano, ma in passato, quando era il cuore degli scambi commerciali, lo era ancora di più. Qui si trovavano le bancarelle di frutta, verdura e altre derrate alimentari. Il nome ha origine proprio dalla presenza dell’antico mercato alimentare al dettaglio, rimasto qui fino al 1911. Originariamente il Verziere si trovava nel luogo dell’attuale Piazza Fontana, sull’area del giardino arcivescovile, il Viridarium. Nel 1779 quest’area cominciò a rivelarsi troppo piccola e il mercato si trasferì nella vicina Piazza Santo Stefano e nelle vie adiacenti, fino a Largo Augusto. Oggi il ricordo del Verziere rimane solo nella toponomastica: il mercato ortofrutticolo fu trasferito prima in Corso XXII Marzo (nel 1911) e poi in via Lombroso (nel 1965), anche perché i verzerat ritennero conveniente spostarsi per non dover più dividere lo spazio con i venditori di polli, selvaggina e pesce che dimoravano in centro fin dal Cinquecento.

La Palazzina Liberty
La Palazzina Liberty, con le superfici in vetro, la facciata art nouveau, i rilievi floreali, i motivi decorativi delle piastrelle in ceramica, oggi si trova al centro dei giardini di Largo Marinai d’Italia, ma un tempo era all’interno dell’antico Verziere di Corso XXII Marzo. Progettata nel 1908 dall’architetto Alberto Migliorini, la Palazzina ospitò fino al 1965, quando il mercato fu trasferito in Via Lombroso, un caffè-ristorante, tradizionale punto d’incontro e di contrattazione tra i commercianti del settore. Adesso è uno spazio dedicato a eventi culturali: vi si tengono concerti, incontri, conferenze, sfilate di moda, spettacoli teatrali.

El burg de’ furmagiatt
Corso San Gottardo, a due passi dal quartiere dei Navigli, si sviluppa da Porta Ticinese verso sud ed è l’arteria stradale principale di un borgo storico esterno alle mura spagnole. Nasconde un passato importante come luogo del commercio alimentare, soprattutto di prodotti caseari: era il borgo dei formaggiai. Dopo il 1818, quando il Naviglio Pavese diventò navigabile, questo era il punto di arrivo, lavorazione e scambio di merci, soprattutto latte e latticini, provenienti dalle pianure della Lomellina e dell’Oltrepò. Nelle tipiche case a corte della via nacquero numerose casere dove, al piano terreno e nelle cantine, si trovavano i depositi per la conservazione e la stagionatura dei formaggi.
Due mulini
Prima della copertura dei Navigli, in zona Brera, nei pressi della Chiesa di San Marco, c’era un ponte, detto Ponte di San Marco o Ponte Marcellino dal nome, pare, di un gentiluomo del Cinquecento che aveva provveduto a restaurare il preesistente ponte medievale sul fossato della Pusterla del Borgo Nuovo. Sulla destra del ponte si scorgeva il braccio del transetto meridionale e le cappelle della navata di destra dell’omonima chiesa; sulla sinistra, la ruota del mulino della fabbrica di cioccolato Theobroma (“cibo degli dei”, nome evocativo e pretenzioso). Già agli inizi del Novecento i mulini erano diventati rarissimi e zoppicanti, ma tra i pochi rimasti quello del fabbricante di cioccolata godeva di una fama imperitura. Altrettanto celebre era il ponte, sul quale sostavano gli scolari del liceo Parini, all’epoca nell’attuale palazzo della Questura in via Fatebenefratelli, non tanto per seguire con lo sguardo il lento girare della ruota del mulino, ma per gettare nel naviglio i libri scolastici a esami compiuti.
Il Mulino Mosca, costruito nel 1886, fu il primo impianto moderno di macinazione a Milano: utilizzava il vapore e l’energia elettrica. Allora in aperta campagna, rappresentò un elemento di sviluppo per l’intero quartiere di Porta Tenaglia e un incentivo alla progressiva urbanizzazione della zona, tanto che già nel 1890 vennero aperte due nuove vie, Bertini e Lomazzo. Oggi non conserva più i macchinari per la macinazione, ma i lavori di ristrutturazione hanno permesso il recupero di oltre il 60% dei 27.000 metri quadrati di superficie originari: è sede di un’agenzia di pubblicità, di attività commerciali e di abitazioni private.

Le Cucine Economiche
Proporre cibo a prezzi accessibili alle fasce disagiate della popolazione, operai e famiglie indigenti: con quest’intento furono costruite, nel 1883, le Cucine Economiche, su progetto dell’architetto Luigi Broggi e per conto dell’“Opera Pia Cucine Economiche”. Questa costruzione, in viale Monte Grappa, è uno dei primi e più indovinati esempi di architettura sociale a Milano. A fine Ottocento, la progressiva industrializzazione e il conseguente aumento della popolazione cittadina obbligarono la città a dotarsi di nuove strutture e servizi, in particolare a scopo assistenziale e sanitario. Le Cucine Economiche sorsero in un luogo strategico, caratterizzato da una forte presenza operaia dovuta al concentramento di grandi fabbriche (come l’Elvetica e il vicino stabilimento Pirelli di via Ponte Seveso) e agevolato dalla presenza della ferrovia. L’impianto razionale dell’edificio, su due piani, era stato studiato da Broggi per garantire la massima efficienza: il deposito dei cibi era nei sotterranei, mentre il piano terra era dedicato alle attività di preparazione e distribuzione dei pasti. Inoltre c’era un forno sociale per la vendita di pane a prezzi modici, mentre il piano superiore era destinato all’alloggio del custode e agli uffici amministrativi. Dagli anni Settanta, le Cucine Economiche non hanno più l’originaria funzione di mensa e, in seguito ai recenti lavori di restauro per l’adeguamento a centro polifunzionale, ospitano diverse attività socio-culturali, in particolare il Centro Socio-ricreativo per Anziani dei Servizi Sociali del Comune di Milano. Il grande refettorio è usato come salone delle feste.

PER APPROFONDIRE – OSTERIE, MERCATI, MULINI: I LUOGHI DEL CIBO
- Bruno Pellegrino, Così era Milano, Libreria Meravigli, Milano 2011.
- Paolo Motta, Le tante vite di Porta Romana.
- Il cibo nella storia. Itinerario culturale.
- Un uomo, un mito. Giuseppe Rovani.
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In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC