STORIA

ONORIO E MARIA: UNITI NELLA VITA E NELLA MORTE

ONORIO E MARIA: UNITI NELLA VITA E NELLA MORTE 

MilanoPlatinum Storica National Geographic

In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC  torniamo a un tempo antico, quando Milano era ancora capitale dell’Impero Romano d’Occidente e Ambrogio lanciava i suoi strali contro gli eretici; al tempo di Onorio e Maria, lui effimero imperatore, lei evanescente consorte.


ONORIO E MARIA: UNITI NELLA VITA E NELLA MORTE

Binari nel Caos: elogio delle rotaie

Francesco Ogliari, a lungo direttore del Museo della Scienza e della Tecnica, studioso di trasporti e amante dei treni, colmò Milano di tutto il suo amore in una serie di libri che ancora oggi conservano la loro magia. Uno di questi è Milano, storie d’Amore, nel quale, con garbo e ironia, fa rivivere personaggi storici cogliendoli in scene di vita quotidiana: dalla sua ricostruzione non bisogna pretendere una completa attendibilità storica, ma tra queste pagine si annidano verità del cuore umano, oltre che un grandissimo piacere di lettura. Nell’introduzione, Silvio Ceccato si domanda perché Ogliari si sia appassionato in particolare ai treni, e dà una risposta che può essere anche una fine chiave di interpretazione dei suoi scritti sulla storia di Milano: Ogliari e i treni, Ogliari ed il museo. Ogliari e la vita cittadina, con tutto il suo amore. Studio le menti ed i cuori e mi chiedo che cosa gli abbia fatto amare i treni. Macchine e vagoni, oppure la rotaia? Lo conosco da anni e propendo per la rotaia, che è fatta per mettere ordine alle cose, come Stravinski pensava delle note, della musica. Altrimenti si va dove si vuole, e c’è il caos.

Il mausoleo perduto di Onorio e Maria

Ogliari cade nella tentazione di rimettere ordine anche nella Storia, regno del Caos perché coincide con la vita, quella collettiva e quella individuale. In fatto d’amore, il troppo è ancora poco: l’epigrafe al suo libro è un aforisma del brillante commediografo Beaumarchais, indizio che nemmeno lui, forse, si prendeva troppo sul serio. Così come la “storia d’amore” con cui si apre il volume, Cresciuti insieme. Onorio e Maria, è quasi una burla, perché nella realtà quasi certamente non fu affatto tale. Uniti nella vita, ma soprattutto nella morte, Onorio e Maria sono legati alla scoperta del loro Mausoleo, oggi scomparso insieme ai suoi tesori, di cui parla l’archeologo romano Rodolfo Lanciani nel suo Pagan and Christian Rome, un saggio pubblicato in America nel 1892. Maria era la figlia del generale vandalo Stilicone e di Serena, figlia adottiva dell’imperatore Teodosio; aveva una sorella, Termanzia, e un fratello, Eucherio. Nel 398 Maria sposò Onorio, figlio di Teodosio e imperatore d’Occidente, ma morì pochi anni dopo, nel 408, senza aver avuto figli, quando Milano da poco non era più la capitale dell’Impero d’Occidente, trasferita da Onorio a Ravenna, più sicura e protetta dagli attacchi dei barbari grazie alle paludi che la circondavano: sono gli anni in cui l’Impero romano è ormai diviso e di lì a poco andrà in pezzi. Subito dopo la sua morte, Stilicone favorì il matrimonio dell’altra figlia, e sorella di Maria, Termanzia, con Onorio: questo non impedì che l’imperatore decidesse nello stesso anno di far giustiziare Stilicone con l’accusa di cospirazione, nonostante il generale gli fosse fedele e lo avesse a lungo affiancato come tutore. Maria, Onorio, Termanzia ed Eucherio, personaggi inconsistenti e poco o nulla nominati nei libri di storia, furono tutti seppelliti in un Mausoleo imperiale, costituito da due rotonde e costruito nell’arena dell’antico Circo di Caligola, ormai dismesso da quasi quattro secoli: per intenderci, sul fianco sinistro della futura Basilica di San Pietro, più o meno dove oggi sorge l’Auditorium Paolo VI. Nel Medioevo le due rotonde furono dedicate una a Santa Petronilla e l’altra a Santa Maria della Febbre, per poi essere distrutte nei secoli XVI e XVIII. Nel corso di queste demolizioni vennero scoperte le tombe imperiali: una prima volta nel 1458, una seconda volta nel 1519 e infine nel 1544, secondo una testimonianza del Marchese Raffaelli di Cingoli e come racconta Rodolfo Lanciani: Cinque calici di Agata scoperti nelle fondazioni di San Pietro durante il pontificato di Paolo III, scoperti nella tomba di Maria figlia di Stilicone e moglie di Onorio… non s’era mai trovato in una singola tomba un simile tesoro di gemme, oro e oggetti preziosi. La splendida imperatrice (Maria) giaceva in una cassa di granito rosso vestita in abiti ufficiali ricamati d’oro. Dello stesso materiale erano il velo e il sudario che coprivano la testa e il petto. La fusione di questi materiali fornì una notevole quantità di oro puro stimata tra i 15 e i 18 chilogrammi. A destra del corpo c’era un cofanetto d’argento pieno di coppe e di bottigliette per il profumo intagliate in cristallo di rocca, in agata e in altre pietre preziose. In tutto erano trenta, tra queste c’erano due coppe, una rotonda, una ovale, decorata con figure ad altorilievo di squisita fattura, una lampada realizzata in oro e cristallo a forma di conchiglia marina, con il foro per l’olio protetto e nascosto da una mosca d’oro che poteva muoversi lungo un incasso. C’erano anche quattro vasi d’oro di cui uno tempestato di gemme. In un secondo cofanetto d’argento dorato posto sul lato sinistro del corpo furono trovati 150 oggetti: anelli d’oro con pietre incise, orecchini, spille, collane, forcine, ecc. coperti di smeraldi, perle e zaffiri, una noce d’oro che si apriva in due a metà, una bulla, uno smeraldo inciso con il busto di Onorio; tutti oggetti che facevano parte del mundus muliebris (regali di nozze) e degli oggetti da toilette di Maria. Su una fascia d’oro erano incisi i nomi dei quattro Arcangeli: Raffaele, Gabriele, Michele e Uriele; su altri oggetti furono visti i nomi di MARIA e HONORIUS. La bulla portava incisi i nomi di Onorio, Maria, Stilicone, Serena, disposti a raggiera a formare una doppia croce con l’esclamazione: VIVATIS. Ad eccezione di questa bulla comprata dal Marchese Trivulzio di Milano, ogni altro oggetto descritto è scomparso. Il corredo fu smembrato, l’oro fuso, le gemme rivendute: di tanto splendore sopravvive solo la bulla con i nomi. Nella Roma antica, la bulla era un amuleto che veniva fatto indossare a tutti i bambini maschi fino all’adolescenza, per proteggerli da spiriti maligni e forze negative. In età tardoantica e medievale sopravvisse forse perdendo l’originaria funzione apotropaica, anche se dall’immagine possiamo vedere che la disposizione dei nomi compone chiaramente il monogramma di Cristo (o Chi Rho, dalle lettere greche usate).

La "bulla", unico oggetto superstite del Mausoleo di Onorio e Maria.
La “bulla”, unico oggetto superstite del Mausoleo di Onorio e Maria.

Serena e Stilicone

Serena, Stilicone ed Eucherio possiamo vederli ritratti sul dittico di Stilicone, datato al 400 circa (anno del primo consolato del comandante vandalo) e forse opera di artigiani milanesi, oggi nel Tesoro del Duomo di Monza. Questo tipo di oggetto consisteva in due tavolette di legno unite da una cerniera; all’esterno erano ricoperte di avorio, intagliato qui con i ritratti dei coniugi e del figlio maschio; all’interno il legno era foderato di cera per scriverci sopra: una specie di antico quaderno. La moglie di Stilicone, Serena, era figlia di un fratello dell’imperatore Teodosio: cresciuta a Costantinopoli, ma nata in Spagna, fu data in moglie al generale per suggellare un’alleanza tra l’imperatore e i Vandali. Pupilla dello zio e sua confidente, supportò il marito Flavio Stilicone, ufficiale delle guardie dell’imperatore, nella sua brillante carriera. Dal matrimonio nacquero appunto Eucherio, Maria e Termanzia, entrambe destinate a sposare Onorio, il figlio minore di Teodosio. Alla morte di Teodosio, il figlio maggiore Arcadio ereditò l’Impero d’Oriente e il minore Onorio quello d’Occidente. Data la giovane età di entrambi, Stilicone, affiancato da Serena, esercitò di fatto le funzioni di governo in Occidente come tutore di Onorio. In quegli anni Serena risiedette a Milano, capitale imperiale, ed ebbe un ruolo significativo nelle vicende politiche del tempo. Donna colta e ambiziosa, parte della tradizione la ricorda come un’amante del lusso e del potere, ma potrebbero essere voci di fazione pagana. Lo storico Zosimo, acceso avversario dei cristiani, racconta un gesto antipagano di Serena che suscitò scalpore: andata a visitare un tempio della Grande Madre Cibele, Serena avrebbe sfilato una collana alla statua della dea per indossarla lei stessa, attirandosi le maledizioni di un’anziana vestale (Zosimo, Storia nuova V, 38). Zosimo, del resto, attribuisce alla cristianizzazione dell’impero la sua decadenza e infine il suo crollo: una vendetta degli antichi dèi contro il nuovo culto cristiano.

Dittico di Stilicone. Tesoro della Cattedrale di Monza
Dittico di Stilicone. Tesoro della Cattedrale di Monza

Contro gli eretici: Ambrogio e Teodosio

Quello era tempo di lotte contro gli eretici: le eresie erano tante e quella ariana, che considerava il Figlio inferiore a Dio padre, era stata ufficialmente condannata nel Concilio di Nicea (325). Ma non tutte le eresie erano in seno alla religione cristiana: per esempio c’erano i manichei, dualisti che accettavano tanto il potere della luce quanto quello dell’oscurità. Teodosio fu detto “il Grande” per la sua adesione al credo cattolico sancito dal concilio di Nicea, l’unico accettato. Dal 380 in poi proclamò una serie di leggi repressive contro gli eretici, sottoposti a un numero sempre maggiore di restrizioni: la politica contro i pagani, inizialmente abbastanza tollerante (non era proibito fare sacrifici, ma solo praticare la divinazione) culminò infine, nel 391, nella proibizione di qualsiasi culto pagano, pena le peggiori conseguenze. Dietro la durezza di questi provvedimenti c’era Ambrogio, il vescovo di Milano, che fin dal 387 aveva esercitato una grande influenza sull’imperatore. Nel 388 lo aveva costretto, infatti, a lasciare impunito il vescovo di una città della Mesopotamia, Nicephorium Callinicum, che aveva fatto bruciare una sinagoga, avallando di fatto il sopruso. In questa occasione, Ambrogio si rifiutò di celebrare la messa finché non fosse stata revocata la punizione del vescovo e non fosse annullato l’ordine per la ricostruzione della sinagoga. Tale era il potere di Ambrogio su Teodosio. Nel 390, quando Teodosio ordinò un’esecuzione in massa per vendicare il linciaggio, avvenuto nel circo di Tessalonica, di un maestro dei soldati illirico, di nome Buterico, Ambrogio gli rifiutò la comunione finché questi non avesse fatto penitenza. Due esempi della supremazia della Chiesa sullo Stato, che preannunciano quanto accadrà nel Medioevo.

Probabile ritratto di Sant'Ambrogio. Milano, sacello di S. Vittore, 378 ca.
Probabile ritratto di Sant’Ambrogio. Milano, sacello di S. Vittore, 378 ca.

Serena e i broccoli

Lo scenario storico che abbiamo tracciato era noto a Francesco Ogliari, al quale torniamo: nella sua breve narrazione della “storia d’amore” tra Onorio e Maria fa esplicito riferimento alla scomunica inflitta a Teodosio da Ambrogio in occasione della strage di Tessalonica; anzi, l’episodio è proprio l’innesco della scenetta tratteggiata. Onorio si vergogna per la “figuraccia” fatta dal padre e si rifugia in giardino, dove Maria cerca di consolarlo e i due ragazzi, cresciuti insieme, si scambiano un bacio. Serena è ai fornelli: prepara datteri ripieni di pinoli e noci immersi nel miele e cime di broccoli con cumino e acciughe. Poi si passa a descrivere il successivo matrimonio: Maria in tunica color zafferano e velo rosso, Onorio in tunica bianca, pettorale d’argento e cintura. Dalla descrizione delle usanze culinarie e del rito matrimoniale è evidente che a Ogliari interessa più la cultura che la storia: il matrimonio tra Maria e Onorio fu stipulato per rinsaldare il legame tra Stilicone e Teodosio e c’è da dubitare che Serena abbia mai cucinato un broccolo in vita sua, ma la preparazione della pietanza è data con scrupolo da ricettario. A Ogliari interessa insinuarsi tra le pieghe della storia e rimetterla sui binari dell’umano: per lui Onorio è un buon ragazzo, gentile, non troppo volitivo, al quale non era opportuno dare troppo potere. Un sempliciotto poco intelligente, secondo lo storico Procopio, che racconta il tragicomico aneddoto secondo il quale, quando Roma, nel 410, fu espugnata dai Visigoti di Alarico e fu riferito a Onorio che Roma era caduta, lui, tutto stupito, pensò che si trattasse del suo gallo preferito, che aveva chiamato, appunto, “Roma”, e commentò: “E io che gli davo da mangiare!”.

John William Waterhouse, The Favorites of the Emperor Honorius, 1883
John William Waterhouse, The Favorites of the Emperor Honorius, 1883

Quando Milano era splendida capitale

A Ogliari interessa infine, sempre e comunque, Milano, e sceglie di iniziare il suo libro con questa “storia d’amore” perché risale al tempo in cui essa era capitale dell’Impero romano d’Occidente ed era ancora circondata da mura: Il Seveso allora bagnava le fondamenta delle mura lungo la via Larga, le mura si allungavano verso via San Clemente, protraendosi per via San Bernardino alle Ossa, stradina stretta, lugubre e buia, per raggiungere la basilica di Santo Stefano. Da lì le mura raggiungevano via Durini, superavano Porta Argenta o Orientale, il Monte Napoleone, e da Porta Nuova rientravano percorrendo il Monte di Pietà, la via dell’Orso, la via dei Cusani, per chiudersi finalmente in via San Giovanni sulle Mura o sul Muro che dir si voglia. Sei erano le porte: Orientale, Romana, Ticinese, Vercellina, Comasina e Nuova, finché Diocleziano fece aprire porta Giovia, la settima di Milano. Un inizio così è un ennesimo atto d’amore alla sua Milano.


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