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Nonno Goldrake e zio Vendetta. Fratelli Marvellini fotografi

Nonno Goldrake e zio Vendetta. Fratelli Marvellini fotografi – Ho incontrato le opere di Andrea e Carlo Marvellini, fotografi, quando per la settimana del design, lo scorso mese di aprile, erano esposte all’Albergo Cobianchi di piazza Duomo. È stata una folgorazione che mi ha ampiamente ripagata della delusione di non trovare l’interno del diurno come speravo, ripristinato in tutto il suo splendore. Si cerca qualcosa e si trova altro: un’esperienza comune che in questo caso, per felice sincronia, si combina alla perfezione con il progetto di questi due artisti schivi e burloni.

Dall’interno di cornici d’epoca, personaggi magnetici ci catturano con un richiamo doppiamente potente: il conforto dei ritratti di famiglia esposti nel salotto buono e la nostalgia esaltata per i miti della nostra infanzia o adolescenza, da Goldrake a Guerre stellari, da Hannibal a Blade Runner, da Capitan America all’Uomo Tigre. L’accostamento di due ‘passati’ diversi, quello delle memorie private e quello dell’immaginario collettivo, cristallizzato nell’eterno presente del mito, accende una scintilla: un sorriso, una riflessione, un moto di commozione, un senso di appartenenza e di lontananza insieme… Ognuno reagisce in modo personale, e questa è l’arte. Provate anche voi a scoprire che effetto vi fa, scorrendo la succulenta galleria di immagini in fondo all’articolo.

Sul sito Foto Marvellini si legge:

La storica Foto Marvellini-Milano fu fondata negli anni in cui nacque la fotografia. I Fratelli Marvellini eseguivano, come recitava l’antica pubblicità, “Ritratti per tutti. Anche per chi non vuole essere ritratto”. Con le successive generazioni Marvellini l’archivio crebbe fino a diventare una vasta galleria di personaggi fantomatici. L’intera produzione della vecchia famiglia di artisti scomparve tra le guerre del Novecento. Moltissimi pezzi restarono nascosti fino alla fine del 2011, quando Andrea e Carlo Marvellini, con base tra Milano e Torino, iniziarono a divulgarla.

Suppongo che Andrea e Carlo siano gli eredi di un patrimonio archivistico di grande interesse, resuscitato nelle loro eccentriche creazioni, e prendo un appuntamento telefonico con Carlo.

 Ciao Carlo, è un buon momento per parlare?

Sì, mi trovo in un locale di provincia, in una piazza storica, e sono rilassato.

 Ti va di raccontarmi la vostra storia? Sono curiosa della famiglia Marvellini: erano tra i primi fotografi di Milano?

Noi amiamo la storia, e i Marvellini hanno una loro storia, anche se noi due l’abbiamo un po’… ‘aiutata’. Del resto non è importante: ciò che importa sono i nostri pezzi, e il concetto di cui parlano. Entrambi abbiamo deciso di rinunciare ai nostri veri nomi e cognomi, per dare spazio all’opera e all’idea. Ora è passato qualche anno e posso dire che ci crediamo veramente. Siamo un po’ da manicomio, come tanti artisti. Magari ti deludo.

 Non mi deludi affatto: è l’idea che interessa anche a me, e la trovo geniale. Però resto curiosa. Siete fratelli?

Non biologici, e non ci chiamiamo nemmeno Carlo e Andrea: ci siamo votati interamente al progetto. Personifichiamo gli eredi Marvellini, portando avanti questa rappresentazione come uno spettacolo. Le nostre foto mostrano realtà che non esistono, così come non esiste la realtà autorale, anche se preferiamo dire “non esiste più”, piuttosto che “non esiste”. Vogliamo che l’attenzione sia concentrata tutta sull’oggetto. Facciamo opere concrete, che devono prendere subito, perché sono forti, hanno carattere e non necessitano di spiegazioni, anche se naturalmente sono opere in parte concettuali. Hanno un sapore antico, l’aura nostalgica di un mondo che non c’è più, accresciuta dalle tecniche tradizionali che né io né Andrea abbiamo mai abbandonato. Anche per questioni anagrafiche.

 Quanti anni avete?

Siamo giovani: abbiamo un secolo in due! Ma non ci poniamo il problema, perché siamo gli eredi Marvellini e la nostra missione è diffondere foto altrui. Non ci preoccupiamo della nostra età: infatti ci presentiamo in circuiti emergenti, dedicati ai giovani.

 Come è nato il progetto Marvellini?

Il progetto è nato in un periodo in cui io e Andrea ci eravamo ritrovati a Milano, una città che per noi è un punto di riferimento, anche se non ci siamo nati, ma capitati per motivi professionali: Andrea in modo più stabile, io più saltuario. Condividevamo il laboratorio e in quel momento ci dedicavamo a lavori personali che toccavano alcune corde comuni. Così ci siamo trovati insieme nel flusso creativo, in modo non programmato.

 Quindi eravate artisti anche prima del progetto Marvellini?

Sì, Andrea più installativo, io quasi esclusivamente fotografico. Pur avendo entrambi studiato e sapendo dipingere e disegnare, portavamo avanti cose diverse. Lui stava lavorando sul recupero di oggetti dal sapore familiare e io su alcune alterazioni fotografiche. Tutti e due siamo fanatici del pop e del trash, e coltiviamo anche l’amore per le cose passate, per la storia e l’archivistica. Ecco com’è nato il progetto.

 Ai vostri personaggi mettete delle maschere di supereroi (e non solo): quest’idea come vi è venuta?

È stata proprio naturale. Però non siamo partiti dalla maschera: quella è arrivata dopo, per dare un tocco distonico, quando vagliavamo alcuni connubi strani, di nonni o bisnonni con altri personaggi della nostra infanzia o giovinezza (i robot dei cartoni animati, per esempio). La maschera di Goldrake sul ritratto del nonno dà un bel colpo di disorientamento. La foto antica suggerisce allo spettatore un ambiente familiare, polveroso di ricordi… ma anche l’altro soggetto, Goldrake o l’Uomo Ragno, appartiene al mondo dei ricordi. L’accostamento crea un effetto di doppio in un’unica immagine e la maschera richiama, moltiplica, amplifica il tema del doppio.

 E personaggi siete diventati anche voi: avete disseminato indizi depistanti. Io ero convinta che foste i veri eredi di questi fantomatici fotografi Marvellini…

Ma noi ci sentiamo proprio così: è la nostra espressione. Ci permette di continuare a lavorare all’interno di questo mood, di questo flusso creativo… magari in futuro assumeremo altre e diverse individualità, non lo escludiamo, anche se vorremmo restare in ‘famiglia’ e non lasciare il laboratorio.

Dai, mi puoi almeno dire i vostri veri nomi?

Ormai tutti ci chiamano Carlo Marvellini e Andrea Marvellini. Intestiamo anche i telefoni, e ovviamente la Siae, a Marvellini. Con i nostri veri nomi continuiamo altri progetti, abbiamo altre vite, e anche questo rientra nel personaggio del supereroe. Troviamo che ci sia qualcosa di stonato nella forte personalizzazione dell’arte contemporanea, dove c’è un legame strettissimo tra l’opera, il suo valore sul mercato e il nome dell’autore. Noi abbiamo deciso di non uniformarci a questa pratica, forse anche per modestia o timidezza. Sono andato a vedere il museo egizio di Torino dopo la recente riapertura: ci sono delle opere incredibili, ma non sappiamo chi ha fatto quel volto in un marmo stupendo, con una linea di design assolutamente ‘avanti’. Gli autori di quelle opere sorprendenti sono senza nome. Oggi questo è inconcepibile, e, al contrario, alcune opere non sarebbero nulla senza il nome dell’autore. Marvellini è Marvellini. Non importa se l’ho fatto io o l’ha fatto Andrea. Se piace, piace. È il pezzo a parlare, e lo fa in autonomia, dicendo cose sue, peraltro non facilmente leggibili nell’immediato. Anzi: è apposta il contrario. Hai davanti una fotografia e capisci quanta potenza può trasmettere una fotografia. Non avresti mai pensato che una foto in una cornice possa ingannarti, o farti ridere, o magari sembrarti semplicemente rovinata. La voce è lasciata al protagonista: il pezzo che attacchi al muro.

 Dal punto di vista tecnico, che procedimento usate?

Si parte da un originale. L’elaborazione nasce da un’idea e da un bozzetto, ma il punto di partenza vero e proprio è quasi sempre un originale. Siamo entrambi collezionisti e continuiamo a cercare cose vecchie, immagini e foto. Facciamo una selezione e una volta trovato l’originale giusto rielaboriamo digitalmente alcuni elementi della composizione: la maschera, il mantello, i costumi, ma anche particolari dello sfondo e dell’ambientazione, o un oggetto, una sedia… questi interventi sembrano facili ma sono molto complessi. Sovrapponiamo questi elementi rispettando la caduta della luce nella foto originale. Il risultato è un file digitale che proiettiamo con un ingranditore e stampiamo in modo tradizionale, usando gli acidi. Infine invecchiamo la foto con una soluzione di acido tannico, che abbiamo messo a punto dopo tante prove.

 Sono pezzi unici?

Questi sì. I pezzi destinati alla fine art sono a tiratura limitata: li produciamo in tre copie, di cui due vanno nei nostri archivi personali e una, che quindi è un pezzo unico, viene venduta. Facciamo anche dei multipli, che stampiamo comunque su carta fotografica e montiamo in cornici vintage.

Chi compra le vostre opere?

Vengono acquistate ‘di pancia’, spesso proprio al primo incontro, e di questo siamo orgogliosi.

 Dove possiamo vedere delle vostre esposizioni?

I multipli puoi vederli fuori, in piazza, in alcuni ambienti alternativi, nei mercati artistici. Noi andiamo quasi sempre all’ultimo momento, e in genere perché ci invitano degli amici. Abbiamo anche un paio di gallerie che ci seguono, ma con cui non abbiamo rapporti continuativi, e i fine art li presentiamo in tre o quattro fiere nel corso dell’anno. Ogni tanto facciamo una mostra.

Carlo, è stato un piacere parlare con te e ti ringrazio moltissimo. Vorresti dirmi qualcos’altro?

No. E tu?

 Ho un’ultima domanda: Carlo e Andrea sono nomi che hanno un significato per voi?

Molto, perché si riferiscono a strane storie antiche: nostri progenitori, santi patroni popolari, persino errori anagrafici. Ma è insistere sugli eredi Marvellini. Anna, la prossima intervista la facciamo sugli esponenti delle generazioni Marvellini. Ci sentiamo appena terminate le ultime ricerche.


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