LO SPECCHIO NELL’ARTE – TRA VANITAS E PRUDENTIA

LO SPECCHIO NELL’ARTE – TRA VANITAS E PRUDENTIA –
![]() |
![]() |
![]() |
In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con la pagina Finestre su Arte, Cinema e Musica, proponiamo un nuovo percorso nella storia dell’arte alla scoperta della semantica intrinseca (e talvolta estrinseca) del simbolo specchio. In questo articolo, analizziamo autori come Bosch, Grien, Stradano, Claesz, Luttichuys, Molenaer, Caravaggio, De La Tour, Bigot, Ligozzi, Strozzi, Gillbert, Del Pollaiolo, Bellini, Perugino, Macchietti, Vouet, Colombe, Perréal, Della Porta, De’ Rossi, Baratta.
LO SPECCHIO NELL’ARTE – TRA VANITAS E PRUDENTIA
Pochi oggetti racchiudono una così grande moltitudine di significati simbolici come lo specchio. Nel corso della storia esso è stato rappresentato come allegoria della vanità e della superbia; come simbolo di prudenza e di conoscenza oppure di inganno; come il luogo in cui si forma l’io e la coscienza di sé e contemporaneamente avviene lo sdoppiamento tra il soggetto reale e la sua immagine ideale o il suo doppio diabolico; come una porta di passaggio tra il mondo della realtà e un mondo immaginario.
L’utilizzo dello specchio nelle arti visive ha permesso la contrapposizione tra l’occhio e lo sguardo, tra il vedere e il comprendere, tra l’esteriorità e l’interiorità. Esso inoltre ha consentito di dilatare lo spazio svelando ciò che non si vede e non è presente nel campo figurativo rappresentato, ma diventa visibile allo spettatore solo tramite il riflesso dello specchio.
Vedremo adesso come nel corso della storia dell’arte, dal XV al XVII secolo, lo specchio ha trovato posto nelle rappresentazioni allegoriche della vanitas e della prudentia.
LO SPECCHIO E LA VANITAS
Hieronymus Bosch fu un pittore olandese del XV secolo il quale, mentre in Italia trionfava l’Umanesimo che celebrava il primato dell’intelletto, poneva piuttosto l’accento sugli aspetti trascendenti e irrazionali della vita. Egli seppe mettere in scena con una grande forza visionaria i conflitti dell’uomo rispetto alle regole imposte dalla morale e dalla religione, e quindi la follia, i vizi, i peccati e le punizioni infernali.
La sua opera più ambiziosa rimane il trittico de Il giardino delle delizie, databile 1480-1490 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid. È un’opera di grande visionarietà e densa di rimandi simbolici, a tal punto complessa che storici e critici non concordano nel darne una lettura interpretativa.
Qualche elemento di queste credenze è sopravvissuto ai secoli, se molti anni dopo ritroviamo nelle fiabe popolari uno specchio magico parlante interrogato da regine vanitose e sanguinarie e per giunta streghe.
Per Bosch lo specchio è associato ai peccati di superbia o di vanità (che per il pittore sono la stessa cosa) e questi peccati sono altresì associati alla donna, che soccombe alla tentazione del maligno (alcuni hanno fatto notare in questo dipinto la somiglianza della donna peccatrice di superbia di fronte allo specchio nero con Eva, presente nel primo pannello del trittico, colei che con il suo peccato ha causato la collera di Dio e la cacciata dal paradiso terrestre).
Il tema della Vanitas, già presente nell’Antico Testamento (vanitas vantitatum, “vanità di vanità”), è rappresentato di frequente da donne colte nell’atto di guardarsi allo specchio per pura vanità.
Le stesse sirene, che incarnano una bellezza in grado di ammaliare e di portare alla morte, sono raffigurate con pettine e specchio, sebbene solo a partire dal II secolo quando, cioè, le loro sembianze divengono quelle di mostri metà donne e metà pesci invece che metà donne e metà uccelli.
L’interpretazione demoniaca dello specchio da parte di Bosch si riscontra in altre sue opere e in particolare ne I sette peccati capitali. Si tratta di una tavola costituita da sette riquadri che compongono il cerchio centrale (che altro non è che un occhio nella cui pupilla c’è l’immagine del Cristo) e da quattro tondi (i Novissimi), posizionati ai quattro angoli.
È un amore eccessivo di sé, un autocompiacimento malato che sfocia in una forma di idolatria del proprio io; come tale è rifiuto di Dio, in quanto nega il limite che caratterizza l’uomo. La superbia è la ribellione a questi limiti e la volontà di farsi Dio. Per Superbia, infatti, fu condannato il diavolo.
In uno dei quattro tondi posizionati agli angoli, l’Inferno, troviamo un altro demone che brandisce uno specchio di fronte a un’altra peccatrice, anch’essa con un rospo sul corpo e con accanto un peccatore seduto e perplesso, dannati entrambi per superbia.
In molte rappresentazioni, all’immagine dello specchio, simbolo di vanità, viene associata quella di una clessidra (tempus fugit), di un teschio (memento mori), di fiori ed altre cose effimere, come moniti che ricordano che la vita si conclude per tutti con la morte e la bellezza passa con il passare del tempo.
In quest’opera del pittore tedesco Hans Baldung Grien vediamo rappresentate tre donne, una anziana, una giovane e una bambina.
Al pittore fiammingo Jan Van der Straet (detto Giovanni Stradano o Stradanus) appartiene invece questa opera dal titolo La Vanità, la Modestia, la Morte:
Il genere della natura morta prediligeva il tema iconografico della vanitas, soggetto che vide il suo apogeo proprio in questo secolo. La sua affermazione principalmente nei paesi dell’Europa centro-settentrionale (Olanda soprattutto) è da ricollegarsi al senso di precarietà che si diffuse in seguito alla guerra dei trent’anni e al dilagare delle epidemie di peste. Gli elementi caratteristici di tali composizioni sono l’immancabile teschio memento mori, la candela spenta e il silenzio degli strumenti musicali, come simboli di morte; la clessidra o l’orologio, moniti dell’inesorabile trascorrere del tempo; le bolle di sapone, simbolo della precarietà della vita e dei beni terreni; un fiore spezzato o un frutto bacato, emblemi della brevità della vita e del suo rapido sfiorire. Non è raro trovare tra queste composizioni anche uno specchio o una sfera riflettente, come nei due dipinti seguenti, appartenenti a pittori olandesi:
![Pieter Claesz, Vanitas Still Life with Self-Portrait, 1628 - [Public domain], via Wikimedia Commons](http://www.milanoplatinum.com/wp-content/uploads/2015/12/Pieter-Claesz-Vanitas-Still-Life-with-Self-Portrait.jpg)
Georges de La Tour è stato un pittore francese, esponente del barocco e interprete in modo personale della scuola caravaggista. Qui ritrae Maria Maddalena in una stanza in penombra. La donna è seduta presso un basso mobiletto su cui è posato uno specchio, il suo volto è visibile solo per un quarto; ha le lunghe chiome sciolte e le mani serenamente intrecciate sopra un teschio appoggiato sulle gambe, in un atteggiamento di quieta familiarità. Il suo sguardo è volto verso lo specchio, che riflette su di lei la luce della candela che si sta consumando (simbolo della vita e della sua brevità) e che raddoppia la fiamma alta e intensa (la fiamma e il suo riflesso, la vera luce e quella falsa, la verità e l’illusione).
La candela è l’unica fonte luminosa del quadro, la cui fiamma pare ondeggiare leggermente al respiro della donna; la posizione della Maddalena, raccolta e schiva – che sembra chiusa in se stessa e quasi rifiutare l’incontro con l’osservatore – conferisce alla scena un significato di serena pace interiore e di intima meditazione. La luce sommessa e vibrante della stanza crea un clima di commossa partecipazione emotiva; un grande senso di pace si irradia dalla placida compostezza di quelle mani intrecciate, che hanno affrontato e superato l’abisso del tormento interiore.
L’attenzione di chi guarda è catturata dal teschio e dalla fiamma che si consuma, simboli entrambi del tempo che passa. Ma la candela è anche simbolo della luce della fede, che brucia e consuma l’anima di chi a lei si abbandona. Qui lo specchio non riflette un volto, ma una luce.
Attraverso l’ambientazione notturna e l’illuminazione artificiale, l’autore riesce a concentrare la rappresentazione sull’essenziale, isolandolo dalle tenebre e raggiungendo livelli tali di astrazione da fare di questo dipinto un’opera senza tempo. Quella che racconta è una storia di redenzione e di raggiunta pace interiore.
Georges de La Tour ha dipinto altre Maddalene penitenti, condizionato forse da un tema, quello della riflessione sulla morte, che ben si adattava al suo stato psicologico e al clima dei tempi, quando la Lorena era devastata dalla peste e dalla guerra.

Nel dipinto seguente, Bernardo Strozzi dà una interpretazione originale della vanitas, con umorismo mordace delle umane debolezze. Egli non rappresenta una donna bella e nel rigoglio della sua età giovanile, ma una vecchia che, ignara della sua fisica decadenza e accecata dalla vanità, si mira allo specchio, che mostra invece impietosamente la realtà che ella si rifiuta di vedere. L’espressione dell’ancella, che cerca di abbellire l’acconciatura con una piuma, è beffarda e ironica e fa da contrappunto all’espressione di compatimento dell’altra. Al tema della vanità rimandano alcuni oggetti sulla toeletta, un prezioso vaso d’argento con manico a forma di arpia, un ventaglio, una boccetta di profumo, dei monili, e soprattutto i fiori: la rosa che si riflette nello specchio indica la caducità della vita, l’avvizzire della carne e della bellezza fisica e i fiori d’arancio, attributo consueto delle spose, indicano probabilmente che la donna è ancora in cerca di marito.
Il disegno è un’illusione ottica, una delle più celebri, e rappresenta la scena di una donna che si ammira in uno specchio e che, vista da lontano, assume la forma di un teschio umano. E vanity è in inglese anche il termine che indica quel mobile, la toilette, di fronte a cui le donne usavano un tempo specchiarsi e profumarsi.
Quest’immagine è stata rifatta e reinterpretata tantissime volte e nei contesti più vari, dalla pubblicità alle copertine di dischi. Il motivo della vanitas vanitatum torna nella comunicazione di massa moderna a rammentare la fugacità della bellezza e delle cose mondane, ma soprattutto la loro, seppur macabra, seduzione.
![Charles Allen Gillbert, All is vanity - [Public domain], via Wikimedia Commons](http://www.milanoplatinum.com/wp-content/uploads/2015/12/Charles-Allen-Gillbert-All-is-vanity.jpg)
LO SPECCHIO E LA PRUDENTIA
Dai sette peccati capitali alle quattro virtù Cardinali. Lo specchio non ha avuto esclusivamente una connotazione negativa come simbolo dell’inganno, della vanità e della fugacità del tempo.
L’allegoria della Prudenza (una delle quattro virtù cardinali, emanazione della Sapienza divina e primo dono dello Spirito Santo), variamente rappresentata nel corso del Medioevo e del Rinascimento, raffigura infatti una giovane donna accompagnata generalmente da due elementi: un serpente e uno specchio. Il serpente richiama il versetto del Vangelo “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Matteo, 10, 16); esso è simbolo dell’intelligenza usata contro le avversità e parallelamente, essendo un antico simbolo del tempo, il serpente sta anche a ricordare che la Prudenza è figlia del tempo, cioè dell’esperienza.
L’immagine della giovane donna che guarda il proprio volto riflesso nello specchio compare nella iconografia del tardo Medioevo e viene utilizzata frequentemente nella pittura e nella scultura dell’arte rinascimentale italiana. Lo specchio è attributo della virtù che impone la conoscenza di se stessi in quanto condizione preliminare per regolare le proprie azioni, e per agire dunque in modo virtuoso. La conoscenza di sé implica infatti quella delle proprie possibilità e dei propri limiti.
Questa di Piero del Pollaiolo (fratello del più noto Antonio) è una delle raffigurazioni della Prudenza.
Le Quattro allegorie sono una serie di quattro tavolette dipinte a olio di Giovanni Bellini, databili 1490 circa e conservate nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Rappresentano la Perseveranza, la Menzogna, la Fortuna e la Prudenza.
In questo caso la donna raffigurata nella tavola della Prudenza non viene ritratta nell’atto di specchiarsi, ma mentre addita lo specchio, invitando lo spettatore a guardare in esso la verità delle cose. Nello specchio compare il riflesso di un volto, probabilmente quello dello stesso committente.
Le quattro tavolette decoravano anticamente un mobiletto da toeletta di noce (detto restello), dotato anche di specchiera e rastrelliera appendi-abiti. Non era raro che la loro decorazione comprendesse raffigurazioni simboliche a carattere moraleggiante.
Facciamo attenzione alla particolare forma convessa di questo specchio. Nel passato questo tipo veniva chiamato Oeil de sorcière (occhio di strega) o specchio dei banchieri. Usato nelle case come portafortuna, contro il malocchio e per cacciare le streghe, nelle botteghe di orafi e banchieri era un efficace strumento per tenere sotto controllo il negozio. L’ardito gioco prospettico offerto dalla curvatura della lastra specchiante si prestava a raffinati esercizi di stile, permettendo inoltre di includere nel quadro particolari e personaggi esterni alla rappresentazione.
La tomba di Francesco II di Bretagna e di sua moglie Margherita di Foix si trova a Nantes, all’interno della cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, e fu realizzata in marmo di Carrara all’inizio del XVI secolo da Michel Colombe (scultore) e Jehan Perréal (architetto).
Ai quattro angoli del sarcofago ci sono quattro statue, ciascuna delle quali rappresenta una delle virtù cardinali: la giustizia, la fortezza, la temperanza e la prudenza.
La prudenza ha in una mano un compasso, simbolo della misura di ogni azione, e nell’altra uno specchio, verso cui è indirizzato lo sguardo della statua. Nella allegoria della Prudenza lo specchio è simbolo di Verità: esso riflette le cose passate e future e pertanto dona a chi lo guarda saggezza e conoscenza.
Anche la testa di questa statua possiede due volti, quello della giovane donna e quello del vecchio saggio, motivo che ricorre spesso nelle raffigurazioni di questa virtù. Ai suoi piedi troviamo il serpente, come si è visto altro simbolo di prudenza.

Nella Basilica di San Pietro ci sono ben due monumenti funebri nei quali è presente la statua della Prudenza. In fondo alla navata centrale della Basilica, nella nicchia di sinistra dell’abside, c’è il monumento funebre di Paolo III Farnese, il papa della Controriforma, eseguito da Guglielmo della Porta, sotto la supervisione di Michelangelo. Sul sarcofago di marmo bianco, s’innalza la figura in bronzo di Paolo III, seduto sul trono. Sotto di essa, raffigurate sdraiate ai suoi piedi, il Della Porta ha scolpito nel marmo due figure allegoriche: la Giustizia e la Prudenza. La Prudenza ritrae le fattezze della madre del Papa, Giovannella Caetani, e regge nella mano destra proprio uno specchio. La Giustizia è il ritratto della bellissima Giulia Farnese, la sorella del Papa e amante preferita di Alessandro VI Borgia. Il corpo stupendo di Giulia, scolpita completamente nuda dal Della Porta, mise subito in imbarazzo il personale del Vaticano, alle prese con un crescendo giornaliero di visitatori, più interessati alle grazie di Giulia che allo stesso Pontefice. Ritenendo non più sopportabile questo stato di cose, nel 1595 Clemente VIII fece ricoprire le nudità dell’affascinante Giulia con un manto di metallo verniciato di bianco, come se fosse stato fatto in origine dallo stesso Della Porta (dell’episodio ne parlerà anche il poeta satirico Gioacchino Belli).
Ma la statua continuò ad attirare la curiosità dei visitatori, soprattutto nel Settecento, quando si scoprì che la veste si poteva rimuovere per fare ammirare le nudità sottostanti. A lungo si disse che i guardiani della Basilica (San Pietrini) dietro compenso di uno zecchino erano disposti a sollevare per qualche istante il lenzuolo di metallo per far ammirare le sottostanti beltà.
Il monumento, iniziato nel 1549, fu completato solo nel 1574.

San Pietro ospita anche il monumento funebre del papa Alessandro VIII, ricordato per aver elargito su larga scala sia la carità ai bisognosi che le nomine ai propri famigliari, facendo esaurire le casse del Regno. La tomba fu progettata da Arrigo di San Martino e realizzata da Angelo de’ Rossi e Giuseppe Bertosi e tra le statue presenti troviamo anche un’allegoria della Prudenza:

Ancora uno splendido esempio di scultura Barocca fiorentina, opera dell’artista Giovanni Baratta.
Pochi anni fa questa statua ha fatto notizia. Una coppia di sculture in marmo di Carrara a grandezza naturale raffiguranti le allegorie della «Ricchezza» e della «Prudenza», che dal 1905 si trovavano nelle collezioni del magnate statunitense del tabacco James Buchanan Duke senza attribuzione, sono state identificate come opera del celebre artista carrarese e sono state messe all’asta presso la galleria londinese Trinity Fine Art nel giugno 2010.
Le statue erano state commissionate a Baratta dal nobiluomo fiorentino Niccolò Maria Giugni per il suo palazzo in via degli Alfani a Firenze.
La Prudenza è raffigurata nell’atto di riflettersi e di guardarsi alle spalle con l’aiuto di uno specchio. Secondo alcune interpretazioni, lo specchio tenuto in quel modo in posizione verticale (presente in altre raffigurazioni di questa virtù), serve non solo per specchiarsi e conoscere se stessi, ma anche per poter scorgere gli eventuali pericoli che arrivano da dietro.

In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica
![]() |
![]() |
![]() |