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Lo sguardo eterno: tecniche e soggetti dei ritratti del Fayum

Lo sguardo eterno: tecniche e soggetti dei ritratti del Fayum – 

MilanoPlatinum Storica National Geographic Finestre su Arte, Cinema e Musica


In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica.


Lo sguardo eterno: tecniche e soggetti dei ritratti del Fayum

Tecniche di realizzazione
Le tavole del Fayum furono realizzate per lo più con tecnica a encausto (procedimento che prevede che i pigmenti siano mischiati con cera d’api, e poi fusi naturalmente), caratterizzata da colori brillanti; alcuni esemplari invece vennero dipinti utilizzando la tecnica a tempera opaca. Il supporto materiale è costituito generalmente da una tavola di legno, soprattutto tiglio, quercia, cedro o cipresso, ma alcuni ritratti, e persino l’intera figura del defunto, furono anche dipinti su tela di lino, costituendo così l’ultimo strato dei sudari. Per quanto riguarda i pigmenti, ci si serviva sia di colori minerali naturali che artificiali, come l’azzurro egiziano o il minio. Vennero anche impiegate polvere e foglie d’oro per alcuni dettagli, come i gioielli delle donne, lo sfondo e le corone.

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Ritratto di Eirene, Landesmuseum Württemberg (Stoccarda). [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].
Ciascuna tavola veniva poi applicata al volto del defunto, inserendola tra le bende. Sebbene oggi la gran parte dei ritratti sia stata asportata dalle mummie, al Museo Egizio del Cairo e al British Museum è ancora possibile ammirare alcune mummie con la tavola ancora applicata.
Nella gran parte dei casi ad essere raffigurato è il volto di una sola persona, posta frontalmente. Lo sfondo è solitamente di un unico colore, a volte arricchito da alcuni elementi decorativi. Dal punto di vista artistico, risulta netto il distacco dalla precedente ritrattistica funebre egizia e la prevalenza dei canoni stilistici greco-romani, sebbene sia impossibile una comparazione diretta a causa dell’inesistenza di corrispettivi europei ai ritratti del Fayum. Se, infatti, il clima particolarmente secco dell’Egitto ha permesso la conservazione di queste tavole, non è invece possibile ritrovare in Grecia o in Italia opere dello stesso genere. Il confronto con affreschi e mosaici d’epoca classica, comunque, permette di affermare con certezza il forte legame con l’arte greco-romana, al tempo dominante in tutto il Mediterraneo.

 

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Ritratto femminile, British Museum. [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

Soggetti
I ritratti raffigurano i busti di uomini, donne e anche bambini, rappresentati il più delle volte in una posizione a tre quarti. Per via della naturalezza dei dipinti e a causa del fatto che la maggior parte di essi riproduce persone molto giovani (gli anziani sono rarissimi), si suppose che i ritratti venissero realizzati mentre gli individui di cui riproducevano le fattezze erano ancora in vita e che, come i ritratti moderni, decorassero le case delle loro famiglie.
Questo interrogativo, e cioè se i ritratti fossero eseguiti durante la vita dei loro modelli o piuttosto assolvessero un’esclusiva funzione funeraria, è stato fin dall’inizio una delle questioni più accese dibattute intorno alle tavole del Fayum, a tutt’oggi ancora aperta. Il caso in cui la realizzazione avvenisse mentre il soggetto era ancora in vita, infatti, conferirebbe al ritratto non più, o non soltanto, una funzione funeraria. Studiosi come Petrie e Parlasca sostengono che i ritratti venissero eseguiti da vivi, per essere esposti nelle case e in un secondo tempo investiti dello scopo funerario, cioè staccati dalle pareti a cui erano appesi per essere inglobati nelle bende delle mummie. A questo proposito Parlasca mette in risalto la forma di alcuni pannelli, evidenziando come le tavole fossero state tagliate successivamente, per poter essere inserite all’interno delle bende.

 

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Ritratto di uomo che regge una pianta, Musée des Beaux Arts, Dijon [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

Alcuni studiosi, che invece accolgono l’ipotesi della loro origine post mortem e della funzione esclusivamente funeraria, avanzano altri dubbi: i ritratti erano stati dipinti copiando le fattezze del volto del defunto oppure erano dei ritratti generici, degli standard, non corrispondenti alla fisionomia del modello? Si conoscono, infatti, esempi di ritratti in cui, malgrado la variabilità di acconciature e barbe, è evidente l’utilizzo della stessa impronta facciale, come nel caso della cosiddetta “serie degli ufficiali” proveniente dalla regione di er-Rubayat. Secondo l’opinione di Albert Jean Gayet, tutti i ritratti venivano acquistati da pittori o addirittura da mercanti, che offrivano ai clienti una campionatura sommaria di immagini standardizzate, ossia caratterizzate genericamente solo sul “tipo”, l’età, il sesso, mentre, per quanto riguarda i “particolari accessori” (l’abbigliamento, i gioielli, le capigliature), i parenti potevano scegliere l’immagine più coerente con quella del loro caro scomparso.
Questa conclusione, però, contrasta con alcuni casi in cui la fedeltà fisionomica sembra portata alle estreme conseguenze, completamente lontana da ogni intento di idealizzazione del volto, per restituircene invece l’individualità e l’autenticità: è il caso non comune del ritratto dell’ “ebrea”, in cui il volto consunto e segnato dalle occhiaie, dalle rughe agli angoli della bocca e dal colorito giallastro rivela impietosamente la condizione della malattia.

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Ritratto di donna con acconciatura semplice. [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

Coloro che difendono la funzione funeraria dei ritratti, evidenziano anche altri particolari. Innanzitutto, il fatto che alcuni di essi siano stati eseguiti direttamente sulle bende e sui sudari fa pensare che le raffigurazioni fossero solitamente effettuate dopo il decesso. In secondo luogo, la presenza di ritratti di bambini implica che questi siano stati ovviamente realizzati dopo la loro morte improvvisa. Nella maggior parte dei casi, infine, le indagini condotte attraverso la Tac sulle salme delle mummie hanno dimostrato la corrispondenza dell’età anagrafica di queste ultime con quella dei ritratti: i volti dipinti, quindi, generalmente erano giovani quanto i corpi. Per tali ritratti sarebbe dunque ragionevole pensare a un’esecuzione non distante, e addirittura funzionale, al momento della sepoltura. La prevalenza di soggetti giovani si spiegherebbe, secondo alcuni studiosi, con la bassa aspettativa di vita di quel tempo, per cui una volta arrivate alla maturità le persone si facevano ritrarre, temendo di non sopravvivere oltre.
Sono noti tuttavia alcuni casi eccezionali in cui i pannelli dipinti mostrano l’immagine del defunto in età giovanile, mentre le analisi scientifiche evidenziano che i corpi corrispondenti appartengono, in realtà, a persone anziane, come si è riscontrato per il ritratto di Demetrios conservato a Brooklyn. L’iscrizione riporta che il soggetto morì all’età di 89 anni, mentre il volto tradisce un’età molto più giovane. La discrepanza di età lascerebbe quindi supporre che il ritratto fosse stato eseguito prima e indipendentemente dalla mummia.

 

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Mummia di Demetrios, Brooklyn Museum (New York). [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].
Non esiste alcuna evidenza che mostri una volta per tutte come e quando questo tipo di immagine venisse commissionata, ma è possibile che fosse generalmente dipinta all’epoca della morte per essere portata in processione (ekphorà) attraverso il villaggio o la città di provenienza del defunto, prima che la salma e il ritratto venissero consegnati all’imbalsamatore per la mummificazione e il taglio del pannello, per adattarlo e inserirlo tra le bende, all’altezza del volto. Dallo studio dei papiri, pare infatti fosse questa la sequenza di eventi durante i funerali delle classi agiate dell’Egitto romano, il che potrebbe spiegare l’esistenza di ritratti dipinti su entrambe le facciate, che probabilmente venivano portati in processione, come l’esistenza di tre ritratti dello stesso giovane uomo ritrovati assieme a una delle mummie scavate ad Hawara e l’evidenza del taglio dei pannelli.

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Ritratto di ragazzo, identificato con Eutyches, Metropolitan Museum of Art (New York). [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

Un confronto con i ritratti funerari romani
Rispetto all’uso delle imagines maiorum conservate negli atri delle domus romane, i ritratti del Fayum non avevano la funzione sociale di tramandare, privatamente e pubblicamente, la memoria. Le tavole trovate in Egitto, infatti, non venivano conservate nelle case dei discendenti, ma venivano nascoste nel buio di una sepoltura e pertanto sottratte allo sguardo dei viventi.
Se il ruolo delle maschere e delle imagines pictae dei romani era quello di “sostituto dell’assente”, nel senso che l’immagine conservata nell’atrium aveva il compito di sostituirsi magicamente al morto, i morti dell’Egitto non vivono nell’immagine; la loro sopravvivenza è garantita esclusivamente attraverso la conservazione del corpo, credenza legata alle antiche pratiche funerarie degli egizi.
Paradossalmente, i ritratti del Fayum acquisteranno valenza ontologica, come presenze in absentia e memoria di chi era vissuto molti secoli prima, solo alla fine dell’Ottocento, quando verranno separati dalle mummie ed esposti come oggetti autonomi.

 

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Ritratto di giovane donna, del III secolo d.C., Louvre. [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

Soglie dell’aldilà
I ritratti del Fayum presentano varie tendenze stilistiche, dal realismo iniziale a una forma di stilizzazione delle ultime pitture. Caratteristiche comuni, tuttavia, sono l’intensa espressività dei volti concentrata nello sguardo dei grandi occhi sbarrati, spesso con le pupille eccentriche rispetto all’iride. I ritratti del Fayum, con la loro stupefacente e “moderna” forza espressiva, sembrano guardare dall’aldilà verso il mondo dei viventi.
Nella pittura vascolare greca tutti i personaggi sono rappresentati di profilo, in relazione fra loro, essi non guardano lo spettatore perché immersi in una narrazione compiuta nel tempo e nello spazio, quella che ruota attorno alla vita comunitaria della polis. Ogni volta che un personaggio ci fronteggia, invece, rompe i rapporti visivi con il suo spazio di rappresentazione, ed è a noi che si rivolge, con il procedimento che in retorica si chiama apostrophè.
La rappresentazione frontale determina un contatto visivo reciproco con lo spettatore, che può avere valenze rituali, coinvolgendolo nel tempo e luogo del personaggio raffigurato. E un’apostrophè muta sembrano rivolgerci i ritratti del Fayum.

 

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Ritratto maschile. [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

I ritratti furono da subito percepiti come autonomi rispetto ai corpi, per l’immensa presenza che sprigionava dalle immagini. Per questo motivo i primi scopritori li strapparono sistematicamente dalle loro mummie, estirpandoli dall’ingombrante presenza dei corpi imbalsamati e avvolti nelle bende. I ritratti vennero isolati e considerati come opere autonome, per un giudizio puramente di valore, fondato sul “gusto” del tempo. L’attenzione si è dall’inizio concentrata sull’essenzialità dei tratti e dell’espressione, sulla malinconia che sembra avvolgerli, sulla soglia sospesa, senza tempo né spazio, da cui questi volti ci guardano, una soglia che separa la vita dalla morte, la memoria dall’oblio, la presenza dall’assenza.
Ma non si può dimenticare che questi dipinti facevano parte di un complesso apparato, ancora attuale a quell’epoca, che avrebbe dovuto garantire la sopravvivenza delle spoglie del defunto oltre la morte del corpo e assicurargli così la possibilità di compiere il lungo viaggio verso l’aldilà. “Questi ritratti, pertanto, costituivano l’espediente necessario per assicurare anche all’aspetto della persona che era stata, alle sue fattezze corporee e alla sua fisionomia che si riteneva parte della sua “essenza”, una vita ulteriore, la stessa di quella che noi chiamiamo “anima”. Il loro sguardo franco, dolce, sospeso, sigillato nel buio della tomba lontano da occhi umani era destinato agli dei, era la prima “cosa” che li avrebbe accolti e che essi avrebbero “visto” nel momento in cui il nuovo arrivato sarebbe stato ammesso alla loro presenza. Allo stesso modo, grazie ai suoi occhi innaturalmente spalancati, il morto avrebbe potuto “contemplare” la vita ultraterrena. Questi sguardi morbidi e inequivocabilmente diretti o, al contrario, vacui e assenti come si conviene a chi sia ma sia altrove, sono dunque destinati a un osservatore altro, trascendente. Benché fenomenicamente simili, l’intenzione artistica e rituale che li anima è completamente diversa da quella che sostanzierà di lì a poco gli sguardi delle icone cristiane, sguardi di una divinità trascendente ma al tempo stesso umana, che si rivolge ai viventi”. (Martina Corgnati, I quadri che ci guardano).
La direzione dello sguardo è inversa: se nelle icone cristiane è Dio che guarda l’uomo e il suo mondo, nei ritratti del Fayum è l’uomo che guarda l’aldilà, mostrando l’essenza del proprio essere racchiusa nel volto.

 

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Ritratto funebre di ufficiale con cinturone della spada a tracolla.[Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

Attualmente, i ritratti del Fayyum si possono ammirare nei maggiori musei del mondo, tra cui il Museo di antichità egiziane del Cairo, il British Museum, il Royal Museum of Scotland, il Metropolitan Museum of Art di New York, il Louvre di Parigi e la Pinacoteca di Brera di Milano, così come anche al Landesmuseum Württemberg. Dal momento che i ritratti furono per lo più rinvenuti e asportati da esploratori che non utilizzavano le tecniche proprie dell’archeologia, la maggior parte di essi è priva di una vera e propria contestualizzazione, il che ha notevolmente compromesso la possibilità di ottenere informazioni specifiche su ogni singolo ritratto.

 

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Ritratto maschile, Metropolitan Museum of Art (New York). [Public-Domain-via-Wikipedia-Commons].

FONTI BIBLIOGRAFICHE

In rete

In libreria

  • C. Bailly, L’apostrofe muta. Saggio sui ritratti del Fayum, Parigi, 1997.
  • Paolo Fundarò, Lo sguardo eterno. Storia e tecnica dell’encausto dalle origini ai ritratti del Fayum, Espera, 2012.
  • Misteriosi volti dall’Egitto, Roma Fondazione Memmo, Catalogo della mostra, 22 ottobre 1997-22 febbraio 1998.
  • Martina Corgnati, I quadri che ci guardano, Editrice Compositori, 2011.