CULTURASTORIA

Le “tranquille dimore degli dei”: i giardini dell’antica Roma

LE “TRANQUILLE DIMORE DEGLI DEI”: I GIARDINI DELL’ANTICA ROMA

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“A Lily Pond”, di John William Godward [Public-domain, via-Wikimedia-Commons].
Il militare romano Lucio Licinio Lucullo (117-56 a.C.) è passato alla storia non tanto per le sue imprese militari quanto piuttosto per la sua eccentricità e raffinatezza, alle quali poteva indulgere grazie alla sua enorme ricchezza.

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La fortuna accumulata da Lucullo nel corso delle campagne militari in Oriente gli permise di condurre una vita all’insegna dello sfarzo e del lusso sfrenato, come testimoniano, per esempio, i celebri e proverbiali banchetti “luculliani”. Lucullo, inoltre, possedeva alcune ville in Campania (a Baia, Miseno e Napoli) e fuori Roma, nella zona di Tuscolo e nei Castelli Romani. A Roma Lucullo aveva una enorme villa sul Pincio, immersa nel verde di quelli che dai contemporanei dell’epoca (Lucrezio) erano descritti come “tranquille dimore degli dei”. Si trattava di uno splendido complesso di edifici e giardini terrazzati, nei quali erano coltivate anche piante fino ad allora sconosciute, come il ciliegio (proveniente dal Ponto) e l’albicocco (dall’Asia Minore), e fu proprio Lucullo il primo a importare in Occidente queste piante.
I meravigliosi giardini di Lucullo sono divenuti noti come Horti Luculliani, dove il termine horti (plurale di hortus) presso i Romani indicava, in genere, un piccolo appezzamento di terreno dove erano coltivati ortaggi, oppure un podere, con un vasto sistema di vigne e frutteti. Un hortus aveva quindi un’essenza prettamente pratica, e così sarebbe stato almeno fino all’età di Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), che con la sua opera “De Re Rustica” intende fornire consigli per ottimizzare la resa dei terreni, elogiando l’agricoltura nelle sue varie forme: da un punto di vista economico, ma anche per il piacere che da essa può derivare. È in quest’epoca che allo scopo prettamente pratico dell’hortus si affianca anche quello più ameno, riservando una parte di terreno alla coltivazione dei fiori, da destinare al culto degli dei. L’hortus, nella sua accezione di giardino, diviene sempre più un tramite con la natura, un luogo lontano dagli affanni della vita quotidiana e dalla frenesia della vita cittadina (locus amoenus).

 

Ricostruzione_del_giardino_della_casa_dei_Vettii_di_Pompei_(mostra_al_giardino_di_boboli,_2007)_01_I,-Sailko-[GFDL,-CC-BY-SA-3.0-o-CC-BY-2.5],-via-Wikimedia-Commons

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Oggi degli antichi giardini romani sopravvivono rari esempi, come quelli visibili a Villa Adriana, a Tivoli, poiché nel corso dei secoli, e in particolare tra il XVI e il XVII secolo, le ville romane divennero sempre più “cave” dalle quali estrarre materiali preziosi come marmi e statue. Tuttavia rimangono alcune preziose testimonianze come gli affreschi delle ville di Pompei o quelli della Villa di Livia, la consorte di Augusto, a Prima Porta, che hanno permesso agli storici, anche grazie ai resti delle radici delle piante, di ricostruire lo schema classico del giardino romano. Al centro del giardino solitamente vi era una piazzola, nella quale sorgeva solitamente una fontana o peschiera alimentata da un getto d’acqua e circondata da grandi aiuole. Da questo focus centrale si dipartivano i viali, fiancheggiati da filari di rosmarino e mirto, che venivano tagliati in modo da consentire di osservare la campagna circostante. Il giardino era inoltre arricchito da statue, colonne ed erme di divinità, oltre che da pilastri su cui poggiavano enormi fioriere e sedili in marmo. Ai lati del giardino erano presenti anche pergolati, ornati con piante rampicanti come l’edera.

 

Playtime,_by_John_William_Godward_John-William-Godward-[Public-domain],-via-Wikimedia-Commons
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I giardinieri romani seguivano canoni estetici e artistici ben precisi nel disegnare un giardino signorile. Inoltre, nel realizzare un giardino i Romani intervenivano anche sull’aspetto naturale delle piante, potandole in modo tale da dare loro le forme più strane e suggestive. Le straordinarie abilità dei giardinieri dell’antica Roma permettevano loro di plasmare le piante dando loro forme di animali, di divinità, di figure geometriche e di paesaggi fantastici; addirittura, erano anche in grado di combinare più figure per dare vita a scene di caccia, mitologiche o battaglie navali.
Secondo Plinio il Vecchio, questo particolare uso del verde sarebbe stato inventato da Gaio Mazio (100-44 a.C. circa), fervente sostenitore di Cesare che oltre ad aver scritto alcuni volumi dedicati alla gastronomia avrebbe quindi inventato quella che divenne nota come ars topiaria, l’arte di potare alberi e cespugli per dare loro le forme più diverse.
A questo scopo le piante predilette erano i sempreverdi (come il cipresso, il bosso e la quercia). Nei giardini romani erano inoltre presenti anche l’abete, il faggio il pino silvestre, il pioppo, il castagno, l’olmo, la palma, l’ulivo e il tiglio.
I giardinieri romani amavano sperimentare accostamenti particolari di piante diverse tra loro per regione di provenienza, per cui era possibile trovare l’abete accanto alla palma africana.
Di contro, i fiori non erano particolarmente numerosi, ed erano coltivati soprattutto per ornare le edicole votive delle divinità. Vi erano le rose, il giglio e la viola, oltre a narcisi e garofani.
Nell’antica Roma vi erano diverse tipologie di giardino, a testimoniare il grande amore da parte dei Romani per il verde. All’interno delle dimore patrizie spesso vi era anche il viridarium, un ambiente intermedio tra cortile e giardino, un vero e proprio giardino domestico tra le pareti domestiche.

 

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Nel corso dell’età di Lucio Cornelio Silla (138-78 a.C.) grazie alle condizioni economiche in crescita sorgono dimore signorili costituite da un insieme di edifici e giardini, che si differenziano dalle ville rustiche nel suburbio e in campagna.
Nella tarda età repubblicana si assiste sempre più frequentemente all’uso di dotare le ville e le dimore signorili di sontuosi giardini, consuetudine molto in voga soprattutto presso personaggi ricchi e influenti come il già citato Lucullo, il primo a realizzare a Roma un dimora con tali caratteristiche, il cui esempio sarà poi seguito da altri personaggi, come lo storico e senatore Sallustio (86-34 a.C.).
Gli Horti Sallustiani sorgevano nell’area compresa tra il Pincio e il Quirinale ed erano caratterizzati dalla presenza di alcuni splendidi edifici, tra i quali addirittura un circo, immersi in un parco estesissimo e ricco di statue. A testimoniare la ricchezza e lo splendore degli Horti Sallustiani, che dal 20 d.C. divennero proprietà imperiale, vi sono i ritrovamenti di importanti opere d’arte nella zona, come il Trono Ludovisi e l’obelisco Sallustiano, che oggi si erge di fronte a Trinità dei Monti.
Anche il potente Gaio Clinio Mecenate (68-8 a.C.), consigliere e amico dell’imperatore Augusto, fece realizzare magnifici horti che sorgevano sul colle Esquilino. Secondo le fonti storiche dell’epoca, gli Horti Maecenatis erano un tripudio di viali alberati, di fontane e giochi d’acqua, splendidi ninfei, tempietti e pare anche di una piscina termale fornita di acqua calda, oltre a numerose e preziose statue e opere d’arte.
Molto rinomati erano anche gli Horti Agrippæ, i grandi giardini realizzati da Marco Vipsanio Agrippa (63-12 a.C.), amico e genero di Augusto. Agrippa, che oltre che militare e uomo politico fu anche un abile architetto, fece costruire giardini dotati di un immenso stagno, lo Stagnum Agrippae, che era circondato da un portico, il Portico Bonus Eventus. Gli splendidi giardini erano inoltre arricchiti da preziose opere d’arte, tra le quali un leone morente realizzato dallo scultore greco Lisippo.
Anche la Domus Aurea, la villa urbana fatta costruire da Nerone dopo l’incendio che devastò Roma nel 64 d.C. e che si estendeva dal palatino all’Esquilino, era dotata di magnifici giardini, dei quali oggi non resta nulla. L’ingresso al complesso imperiale era costituito da un monumentale portico, al centro del quale si ergeva la colossale statua di Nerone che in seguito sarebbe stata posta davanti all’anfiteatro Flavio, che fu per questo chiamato Colosseo. Proprio di fronte alla statua dell’imperatore si apriva l’enorme parco, caratterizzato dalla presenza di cascatelle e ruscelli che formavano un lago artificiale.
Roma era inoltre dotata di alcuni giardini pubblici, creati in corrispondenza di alcuni edifici pubblici e solitamente costituiti da grandi spazi recintati, costeggiati da portici. Tra questi particolari giardini pubblici, definiti come “giardini di ornamento”, ricordiamo i giardini del Portico di Pompeo, un ampio quadriportico che sorgeva subito dietro il Teatro di Pompeo. Completato nel 62 a.C., il portico comprendeva arcate e gallerie, e un giardino molto apprezzato, dotato di una fontana, con maestosi platani e la statua di un fauno. Nel 7 a.C. viene completato il Portico di Livia, fatto edificare da Augusto in onore della moglie Livia. Il portico era noto per le sue splendide viti, che creavano ombrosi pergolati.
Per avere un’idea della magnificenza dei giardini dell’antica Roma si potrebbe prendere a esempio Villa d’Este a Tivoli, i cui giardini furono realizzati traendo ispirazione dai canoni estetici dell’antica Roma, con fontane, canali, cascatelle e viali delimitati da alberi, oltre a piante artisticamente sagomate e numerose statue disseminate tra il verde.

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LETTURE CONSIGLIATE

  • Pierre Grimal, “L’arte dei giardini. Una breve storia”, Feltrinelli
  • Andrea Carandini, “Le case del potere”, Laterza
  • Salvatore Algieri, “I gatti di Sallustio. Storia di un quartiere”, Epubli (formato ebook Kindle)
  • Nicoletta Fattorosi Barnaba, “La storia del verde a Roma. Quattro passi tra horti, giardini e parchi”, (formato ebook Kindle)