STORIA

LE LATRINE DI ROMA ANTICA

LE LATRINE DI ROMA ANTICA

MilanoPlatinum Voci antiche

In collaborazione con la pagina Voci Antiche: pagine dal mondo classico.


LE LATRINE DI ROMA ANTICA

In un passato non molto lontano, avere in casa un gabinetto era uno status symbol. Ciò valeva anche nella Roma antica, dove solo i proprietari di domus, le case dei nobili, potevano godere di una toilette personale. La maggior parte della gente, invece, andava a fare i propri bisogni nelle latrine pubbliche (“forica”), dove si potevano contare anche cento posti a sedere, con buona pace della riservatezza. In effetti, mentre i nostri bagni pubblici ci nascondono dagli altri per mezzo di muri, tramezzi e porte, quelli romani non avevano nulla del genere.

Chi arrivava, si sedeva con gli altri su un bancone generalmente di marmo e privo di sedute anatomiche, sul quale erano stati praticati dei fori a distanza piuttosto ravvicinata. Per questo motivo, tali banconi erano detti “sellae pertusae, cioè sedili forati. Gli avventori stavano, come è facile comprendere, gomito a gomito, coperti nelle parti intime solo dalle loro tuniche. Sotto le sedute, si trovava un canale con acqua corrente, la cui funzione era quella che oggi svolge il nostro sciacquone: lavare via tutto. C’era poi un canaletto, scavato nel pavimento, giusto ai piedi di chi stava seduto: c’era acqua che scorreva anche lì. Ma a che serviva? A immergervi un bastoncino con in cima una spugna, che veniva usato per pulirsi in mancanza di carta igienica. Quando l’operazione era finita, la spugna veniva staccata sfregando il bastoncino contro l’apertura del bancone e finiva, insieme ai bisogni, nelle fognature.

A differenza delle nostre, spesso squallide, quando non sporche, le latrine pubbliche dei romani erano esteticamente curate:

Hygeia_Musei_Capitolini - Di sconosciuto (Marie-Lan Nguyen (2006)) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Hygeia_Musei_Capitolini – Di sconosciuto (Marie-Lan Nguyen (2006)) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
C’erano nicchie con statue di divinità (una delle più frequenti era la dea Igea, dal cui nome deriva il nostro termine igiene, ma si trovava anche la dea Fortuna), fontane con acque zampillanti, pareti con cascatelle d’acqua e bei colori alle pareti. Talvolta, tra un sedile e l’altro erano sistemati dei braccioli con la forma di delfino, che rendevano più comoda la permanenza e servivano a delimitare gli spazi.

Toilettes_publique_de_Timgad - Di Zinou2go (Opera propria) [CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia Commons
Toilettes_publique_de_Timgad – Di Zinou2go (Opera propria) [CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia Commons
I materiali usati, poi, dal marmo dei sedili, all’opus sectile o al mosaico per i pavimenti, che risultavano così facilmente lavabili, facevano pensare all’importanza di mantenere pulito l’ambiente.

Small_latrine_-_Polygonal_court_-_Villa_Romana_del_Casale - © José Luiz Bernardes Ribeiro, attraverso Wikimedia Commons
Small_latrine_-_Polygonal_court_-_Villa_Romana_del_Casale – © José Luiz Bernardes Ribeiro, attraverso Wikimedia Commons

E non c’erano nemmeno cattivi odori: spesso infatti i gabinetti pubblici si trovavano sotto i portici e, se erano in ambienti chiusi, avevano ampie finestre tenute costantemente aperte. Insomma, nulla era lasciato al caso.

Le latrine pubbliche erano ovviamente a pagamento: chi entrava pagava i “conductores foricarum”, appaltatori del fisco, per il servizio offerto. La plebe più povera, che non poteva permettersi di sprecare denaro, aveva invece a disposizione delle giare poste agli angoli delle strade e generalmente in prossimità delle tintorie. I “fullones” (tintori), infatti, usavano l’urina, che contiene ammoniaca, per lavare e sbiancare i tessuti e quotidianamente svuotavano questi vasi nelle vasche dei loro negozi.

Pompeii_-_Fullonica_of_Veranius_Hypsaeus - Di WolfgangRieger [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Pompeii_-_Fullonica_of_Veranius_Hypsaeus – Di WolfgangRieger [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
C’era però anche chi, dai piani alti delle “insulae”, i palazzoni della gente più povera, gettava in strada i propri bisogni, evitando così la fatica di scendere.

Va detto che, per chi aveva la possibilità di entrarvi, le latrine pubbliche offrivano l’occasione per un po’ di conversazione e socializzazione. C’erano anche casi, come denuncia Marziale, in cui andare ai bagni era il modo più semplice per cercare un invito a cena da qualcuno più ricco. È quello cha faceva un certo Vacerra (Epigrammi XI, 77):

In omnibus Vacerra quod conclavi bus
consumit horas et die toto sedet,
cenaturit Vace
rra, non cacaturit“.

“Il fatto che Vacerra spreca le ore nei gabinetti pubblici e se ne sta seduto là tutto il giorno, vuol dire che Vacerra ha voglia di cenare, non di cacare”.

Speriamo, per Vacerra, che questo spreco di tempo gli sia andato a buon fine!