IL LAVORO DELL’ARCHEOLOGO, TRA “MITI” ROMANTICI E REALTÀ
![IL LAVORO DELL’ARCHEOLOGO - By Pietro Fabris (Italian Painter, active c. 1740-1792) (book William Hamilton, Campi Phlegraei, Abb. XXXI.) [Public domain], via Wikimedia Commons](https://www.milanoplatinum.com/wp-content/uploads/2016/03/By-Pietro-Fabris-Italian-Painter-active-c.-1740-1792-book-William-Hamilton-Campi-Phlegraei-Abb.-XXXI.-Public-domain-via-Wikimedia-Commons.jpg)
IL LAVORO DELL’ARCHEOLOGO, TRA “MITI” ROMANTICI E REALTÀ –
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In collaborazione con la pagina Voci Antiche: pagine dal mondo classico.
IL LAVORO DELL’ARCHEOLOGO, TRA “MITI” ROMANTICI E REALTÀ
L’archeologia e la figura dell’archeologo ci portano spesso a immaginare atmosfere esotiche e romantiche, facilmente connesse alle grandi scoperte del passato. Chi non ha mai sognato di trovare, per caso, un reperto antico di inestimabile valore e di legare il proprio nome per sempre a questa scoperta? L’archeologia, tuttavia, non è né un hobby né un’attività improvvisata: è una vera e propria scienza, che si avvale di strumenti, procedure, tecniche ben precise, apprese in anni di studio e di esperienza sul campo. Abbiamo chiesto a una giovane archeologa, Giuia Buson, laureata all’Università degli Studi di Milano, di aiutarci a capire il suo percorso e come si lavora in una campagna di scavi.
Allora, Giulia, come si diventa archeologi?
Il sogno di diventare archeologa nasce in me già da piccola: non so bene da dove e da cosa, ma la passione per la storia, l’arte e le antiche civiltà ha sempre accompagnato la mia infanzia. In un certo senso, quindi, già la scelta del liceo classico è stata per me il primo passo verso questo meraviglioso lavoro. Terminati gli studi liceali, ho frequentato presso l’Università degli Studi di Milano la laurea triennale in Scienze dei Beni Culturali, con l’indirizzo archeologico e, in seguito, ho conseguito la laurea magistrale in Archeologia.
Quali sono le prospettive lavorative per gli archeologi in Italia oggi?
Attualmente l’archeologia italiana sta vivendo un periodo molto buio. Per un neolaureato in Archeologia come me, la scelta è di proseguire gli studi con scuole di specializzazione o dottorati di ricerca con borsa, oppure, in assenza di contatti utili, dirottare verso l’insegnamento. Musei, ditte e società archeologiche si ritrovano nell’impossibilità di assumere e di avviare tirocini. E per quanto riguarda i bandi del MiBACT (il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo), i posti sono limitati, lo stipendio è da volontario della protezione civile, e spesso, come per il bando che uscirà a breve, il lavoro sarà tutto fuorché archeologico. Anche l’attuale riforma delle Soprintendenze desta molta perplessità. Resta solo da attendere il bando per il conseguimento del brevetto di guida turistica e accompagnatore turistico, ora emanato a scadenza biennale.
Quale è stata la prima campagna di scavi a cui hai partecipato?
La prima esperienza di scavo è stata unica. Nel mio secondo anno della laurea triennale presi parte a uno dei laboratori di scavo didattici dell’università di Milano, un passo quasi obbligatorio se si vuole proseguire negli studi di Archeologia. Sebbene già sapessi in che cosa consistesse a livello teorico uno scavo archeologico (tra gli esami obbligatori del curriculum c’è “Metodologie della ricerca archeologica”), tuttavia fino a quel momento ancora non avevo realmente idea di come nel concreto si svolgesse la ricerca su campo. Ricordo ancora l’emozione e il timore di non essere in grado di scavare, di comprendere la situazione archeologica e di individuare i differenti strati. Non è così scontato che un bravo studente sia un bravo archeologo su campo: serve abilità con gli attrezzi (pala, piccone, carriola e cazzuola), intuito e spirito di osservazione. Scoprii subito che non solo il lavoro mi entusiasmava più di quanto avessi mai pensato, ma anche che era davvero ciò che desideravo fare nella mia vita. Per prima cosa, ci insegnarono come utilizzare gli attrezzi, e ore di scavo effettivo erano intervallate da ore di lezione teorica specifica sugli attrezzi o su metodi di documentazione e procedure.
La vita su campo è condivisione, spirito di squadra e sacrificio. Si vive insieme, spesso magari con perfetti sconosciuti, per tutta la campagna di scavo; e lì si creano legami molto forti, che talvolta proseguono anche oltre la campagna di scavo. Certo non è sempre semplice la convivenza, ma alla fine si soffre sempre il “mal di scavo”, una volta finita la campagna e tornati a casa.
Qual è stato il momento più emozionante nelle campagne che hai seguito?
Certo ogni ritrovamento è emozionante, soprattutto durante il primo scavo archeologico, dove è un’emozione anche solo trovare un piccolo frammento ceramico, o quel che resta di una poverissima sepoltura senza corredo e con lo scheletro ormai frantumato dalle radici. Ma una volta abituatisi alla ricerca, le soddisfazioni più grandi sono quelle che meno il resto delle persone potrebbe capire: risolvere una situazione stratigrafica complicata, comprendere l’evoluzione degli eventi ritrovati; certo, ritrovare tombe intatte non saccheggiate da tombaroli, con ceramica pregiata e bronzetti è sempre entusiasmante, ma le vere soddisfazioni sono quelle ottenute non per “casualità” (si può prevedere la presenza di una tomba, ma non è detto che questa presenti corredo, meno che mai un ricco corredo), ma mediante l’intuito e la previsione della situazione in base ai dati già acquisiti.
Come lavora un archeologo?
Lo scavo archeologico è un metodo d’indagine complesso e articolato. In primis, bisogna capire che cos’è uno scavo archeologico e per quali motivi lo si effettua. Lo scavo è una pratica distruttiva, volta ad indagare, in una determinata area di interesse, le varie attività umane passate e il mutare di queste da un periodo all’altro. In quanto distruttivo, è anche un processo irreversibile, e per questo necessita di essere condotto con attenzione e cautela.
L’indagine si svolge in due direzioni: quella della contemporaneità, che in un piano cartesiano potremmo chiamare “dimensione dello spazio”, e quello del cambiamento, segnalatoci dalla stratigrafia, che sarà la nostra “dimensione del tempo”. Scopo di uno scavo sarà dunque quello di cercare di interpretare e ricostruire, sia durante che dopo lo scavo, quali tipi di attività umane e di interventi si siano succeduti nell’area d’indagine.
Fasi preparative di ogni scavo sono la ricognizione, che avviene con fotografie aeree, mappe topografiche, planimetrie, strumenti elettromagnetici (per un’indagine non invasiva del sottosuolo). Si tratta di approcci non distruttivi che servono a selezionare, in visa dello scavo, i siti, o le aree all’interno di un sito già noto, che presentino interesse archeologico.
Una volta individuata l’area di studio, si procede con l’allestimento di una quadrettatura, una griglia tanto fisica quanto virtuale, che permetterà di inserire i ritrovamenti in un piano orientato con le mappe catastali. Durante l’indagine bisogna sempre tenere presenti le domande che si pone la ricerca in corso, e la natura del sito, in modo da poter applicare le migliori metodologie di scavo in base alla specificità del sito.
Essedo, come già accennato, un processo irreversibile, ogni dato verrà documentato, mediante fotografie, rilievi, disegni, fotopiani, diari di scavo e schede di strato, in modo da poter avere anche in futuro la memoria quanto più precisa e fedele della situazione che si presentava agli occhi degli archeologi in fase di scavo.
I reperti principali, le strutture e tutti i manufatti rilevanti, verranno localizzati precisamente nello spazio tridimensionale, mentre i restanti reperti verranno semplicemente assegnati allo strato di provenienza; in seguito, si procederà con la numerazione, il disegno e la catalogazione di tutti i reperti.
Ma come si svolge in concreto uno scavo archeologico?
Bisogna dimenticarsi le immagini a cui ci hanno abituato i vari Indiana Jones o Relic Hunter; i più fedeli compagni di un archeologo sono infatti pala, piccone, carriola, cazzuola (detta con terminologia inglese trowel). Si procede esfoliando il terreno, con piccone e pala, fino al raggiungimento di uno strato di interesse archeologico, definito unità stratigrafica o US. Ogni US ritrovata verrà numerata, gli elementi in essa ritrovati portati in luce con la cazzuola, in seguito si procederà con la fase di documentazione: disegni, fotografie e fotopiani, eventuali campionature del terreno.
I materiali ritrovati verranno, durante e a fine scavo, ripuliti, inventariati e studiati.
Quali danni provocano i “tombaroli” ai beni archeologici che il nostro territorio ancora preserva?
In base a quanto sopra detto, risulta evidente come un tombarolo distrugga tutto ciò per cui l’archeologo lavora: ribalta le stratigrafie, rovina irrimediabilmente la situazione originaria, così che viene difficile ricostruire, per esempio, come si svolse il rituale di deposizione del defunto. Certo, qualche dato comunque si riesce a ricavare, ma gran parte della conoscenza relativa all’area saccheggiata è perduta.
Alla figura dell’archeologo si associa spesso l’idea dell’emozione che le scoperte portano con sé. Quali sono i lati negativi o più sofferti di questo mestiere?
Certo la convivenza è il lato più complicato di uno scavo archeologico. Convivere con “perfetti sconosciuti” non è di certo così semplice. Anche se alla fine si riesce quasi sempre a trovare un giusto equilibrio. Ma oltre ciò, bisogna pensare che su uno scavo si possono passare settimane senza trovare nulla di rilevante, trovare stratigrafie complicate, o riconoscere l’intervento di tombaroli; avere contro gli elementi della natura che ti ricoprono gli strati appena scoperti. Su uno scavo in spiaggia è alto il rischio che un’ondata ti rovini il lavoro di una intera settimana; anche la pioggia, che ferma i lavori, li rallenta, e si spera che non li rovini.
Quali progetti ha per il futuro?
Attualmente ho intenzione di tentare la scuola di specializzazione in archeologia, e di conseguire il brevetto di guida turistica.
Per approfondire
- Carandini A., Storie dalla terra. Manuale di scavo archeologico, Einaudi, Torino 1991.
- Ceram C.W., Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia, Einaudi, Torino 2006.
- ManacordaD. , Lezioni di archeologia, Laterza, Roma-Bari 2008.
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