La Mariée di Marc Chagall

La Mariée di Marc Chagall –
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In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica.
La Mariée di Marc Chagall
Capre violiniste, cavalli e pesci alati, galletti rossi, mucche bianche e asini verdi: non sono molti i dipinti di Chagall in cui non sono presenti delle figure animali. Queste popolano il mondo onirico e fiabesco dell’artista russo, ebreo di Vitebsk, che attinge alla tradizione biblica e spirituale del suo popolo, dominata, soprattutto, dalla visione chassidica della vita e della religione. Il Chassidismo è una corrente ebraica che traduce nella mistica popolare i grandi insegnamenti della tradizione (soprattutto della Kabbala) e li esprime attraverso la musica, la danza, il racconto, la quotidianità ordinaria dell’esistenza dell’ebreo comune.
Nella mistica del Chassidismo, tutti gli aspetti della vita quotidiana sono una manifestazione divina. Nella città natale di Vitebsk, luogo di incontro di culture e religioni varie, la predicazione del talmud si intrecciava con i racconti di storie e leggende antiche che mescolavano il sacro e il profano, il reale e il fiabesco, e che nella vita di tutti i giorni mantenevano la porta aperta all’irrazionale, al miracoloso e all’attaccamento sacrale alle cose.
Gli animali nelle sue tele fanno parte di questo mondo fiabesco, protagonisti e testimoni degli eventi raffigurati. La loro presenza sulla tela rappresenta il forte legame del pittore con la sua terra di origine e con le narrazioni della sua cultura, il modo in cui l’ebreo errante rimane attaccato alle sue origini. La fantasia libertaria di Chagall supera la forza di gravità, fa volare gli uomini e umanizza gli animali, ma la libertà di Chagall non è la ribellione dei dadaisti, ma la condizione per far posto e accogliere lo spirituale e farsi possedere dall’ispirazione divina. Il mondo fiabesco e mitologico della sua infanzia è insomma l’universo in cui si realizza la comunione con il divino.

La Mariée (La Sposa) è del 1950; l’amata moglie di Chagall è morta da qualche anno lasciando il marito nello sconforto. L’artista nella sua pittura cerca di perpetuare l’eterno legame con la sua donna, che raffigura spesso vestita da sposa, e con la sua città, distrutta dalla sciagura nazista e dalla guerra.
Qui la donna è vestita di un elegante abito rosso con un lungo velo bianco; la sua testa è circondata dal braccio del marito che sembra sistemarle il velo con un tenero abbraccio. A destra della sposa appare, come spesso nei dipinti di Chagall, una capra che suona il violino. Tra i soggetti che richiamano l’esperienza giovanile di Vitebsk c’è senza dubbio il violinista. Nella cultura tradizionale ebraica il violinista aveva un ruolo importante in occasione di nascite, matrimoni e funerali.
La peculiarità de La Mariée è la scelta dei colori. Il rosso e il bianco della figura della sposa risaltano talmente sullo sfondo blu (che assorbe anche tutti gli altri personaggi) e la sua espressione è così proiettata fuori dalla tela che ella sembra non appartenere al resto del mondo presente nel quadro. La sposa fa parte di un’altra dimensione. Nelle ombre della notte e del sogno, i morti si ricongiungono ai vivi, ma quando giunge l’alba, che sta per essere annunciata dal gallo raffigurato nella parte bassa della tela, essi torneranno nei loro mondi separati e distanti.
Il bouquet, che non è retto dalle mani della sposa, può anche essere il mazzo di fiori deposto sulle sue spoglie, la chiesa lontana quella dove si è celebrato il matrimonio oppure il funerale; e la musica del violino accompagnava a Vitebsk non solo le coppie di sposi, ma anche i feretri verso la loro ultima dimora.
Dopo la morte di Bella, avvenuta il 2 settembre del 1944, e dopo le sciagure subite dal popolo ebraico durante la guerra, le tele di Chagall tracciano con colori più cupi e atmosfere meno liriche la grande nostalgia per qualcosa che ormai si è perduto per sempre. Le coppie di amanti o di sposi non hanno più la luminosità delle opere anteriori, come ad esempio questa del 1938, intitolata Les maries de la Tour Eiffel:

La presenza nei quadri di Chagall di figure animali umanizzate, dagli occhi grandi e scrutatori, rappresenta il perpetuarsi del legame con il mondo della sua infanzia, trasfigurato in senso lirico e visionario. Gli animali, inoltre, rappresentano i mediatori tra il divino e l’umano.
La capra ricorre spesso nei suoi dipinti ed è una figurazione che prende spunto dalla tradizione ebraica, in cui questo animale è il simbolo della protezione e del focolare domestico. Nel misticismo chassidico, il violino non è solo uno strumento musicale, ma rappresenta il mezzo per mettersi in comunicazione con Dio e con i grandi misteri della vita e della morte.
La figura del gallo può essere intesa come l’alter ego del pittore stesso, ma il gallo è anche l’animale il cui canto annuncia la fine della notte e l’avvicinarsi di un nuovo giorno. Il suo verso è pertanto un segno che si pone al confine di due mondi, quello misterioso e oscuro del sogno, dove tutto è possibile e i morti ritornano in vita, e quello della realtà quotidiana, dove domina il rimpianto per ciò che si è perduto.

Lo spazio pittorico di Chagall non è tanto il referente del mondo che circonda l’artista, ma di un mondo che appartiene a un’altra realtà, plasmata dalla tradizione e rivitalizzata dall’immaginazione. Figure e oggetti sono disposti senza una logica sequenza, ignorando le più elementari regole della rappresentazione occidentale.
Egli riproduce nelle sue tele le immagini visionarie e fantasmagoriche della sua mente, che coniuga la visionarietà del sogno con i ricordi delle sue impressioni infantili con il mondo fiabesco della sua terra d’origine. Questo sistema di immagini costituisce la sua grammatica visiva, la sua personale “mitologia del quotidiano”, che rimarrà costante e farà da filo conduttore in tutta la sua opera, abbinandosi ad un uso libero e straripante di quei colori che escono fuori dai perimetri dei corpi dilatandosi sulla tela. Colori decisi che coniugano stupore fanciullesco e visione onirica, intesa non nei termini intellettualistici del surrealismo ma, più semplicemente, come capacità di decontestualizzare e proiettare i personaggi e le cose al di là del tempo e dello spazio.
Alla base della sua poetica c’è l’imperativo ad uscire fuori dai limiti, la rottura di ciò che fa parte del normale corso delle cose; da qui il grottesco, le pose innaturali delle figure, le parti del corpo dislocate in modo bizzarro, il mondo capovolto, il motivo del volo. I sui personaggi e le loro azioni esistono in una dimensione spazio-temporale separata, caratterizzata dal contrasto, dall’asimmetria, dall’irrazionalità della fiaba e del sogno.

In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica
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