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LA MADONNA DEL CANCELLIERE ROLIN

LA MADONNA DEL CANCELLIERE ROLIN

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In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica.


LA MADONNA DEL CANCELLIERE ROLIN

Agli inizi del Quattrocento, i due maggiori poli dell’arte occidentale sono l’Italia e le Fiandre, tra i quali esistono legami sia economici che culturali. Se a Firenze Brunelleschi, Masaccio e Donatello mettono a punto le regole geometriche della prospettiva lineare, nel nord fiammingo è soprattutto la luce l’elemento che unifica lo spazio e l’insieme della rappresentazione.
I fiamminghi del Quattrocento sono letteralmente innamorati della natura, che raffigurano con straordinaria meticolosità e attenzione per i particolari. Queste qualità rappresentative sono possibili anche grazie all’uso della pittura a olio, che permette una maggiore precisione dei tratti, oltre a donare trasparenza e brillantezza ai colori.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin, 1435 ca., Museo del Louvre, Parigi - Public Domain via Wikipedia Commons
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin, 1435 ca., Museo del Louvre, Parigi – Public Domain via Wikipedia Commons

Tradizionalmente si ritiene Jan van Eyck il primo a fare largo uso di questa tecnica e di certo questo eccezionale pittore è il promotore della rivoluzione artistica in ambito fiammingo. Le sue opere hanno una ricchezza e una compiutezza qualitativa di livello sommo, che raggiunge l’apice della pittura nordica del secolo. Uno dei suoi capolavori è la “Madonna del cancelliere Rolin“. Si tratta di una tavola in cui compaiono la Madonna con il bambino e il cancelliere di Borgogna e di Brabante Nicolas Rolin, ministro delle finanze e potente consigliere di Filippo il Buono. Rolin è il committente dell’opera, destinata alla cappella di famiglia nella chiesa Notre dame du Châtel a Autun, sua città natale. Si tratta pertanto di un quadro devozionale, a committenza privata.
L’opera è eseguita su un piccolo pannello di legno (cm. 66 x 62) e costituisce uno dei primi dipinti ad olio conosciuti. Rappresenta quattro personaggi principali e, intorno a loro, centinaia di minuscoli dettagli. La Madonna è una donna giovanissima, con gli occhi abbassati, che indossa un ampio mantello color porpora bordato d’oro. Il bambin Gesù è seduto sulle sue ginocchia; con la mano destra dà la benedizione, mentre con la sinistra regge un globo di cristallo con sopra una croce incastonata di gemme. Un angelo dalle ali variopinte tiene sopra la testa di Maria una corona d’oro con perle e pietre preziose.

Un uomo è genuflesso ad un inginocchiatoio. Ha le tempie e il collo rasato secondo la moda degli inizi del Quattrocento e ha le mani giunte in preghiera. Indossa una zimarra di broccato marrone tessuto d’oro e bordata di visone. Porta la cintura con la fibbia d’oro di cui Filippo il Buono gli ha fatto dono. In secondo piano scorgiamo due vedette, che si sporgono dalle mura merlate. Una loggia romanica con tre archi a tutto sesto dà sull’esterno. I capitelli con decorazioni, che mostrano scene del Vecchio Testamento, ricordano quelli del Romanico del XII. Su ogni lato, altri spazi chiusi da vetrate opache; sopra la loggia due finestre con vetrate colorate. Le piastrelle del pavimento sono decorate da motivi con stelle a otto punte, alternativamente bianche e nere. Davanti alla loggia un piccolo giardino pensile e sei scalini che conducono a un camminamento di ronda merlato. Oltre il colonnato, un paesaggio diviso in due da un fiume, che nasce da una catena montuosa. Un grande ponte congiunge le due metà che si estendono sulle rive opposte del corso d’acqua. A destra una città ricchissima di costruzioni, composte da case, numerose chiese dalle alte guglie gotiche e piazze. A sinistra un sobborgo con un’abbazia, edifici e sentieri che si inoltrano verso la campagna, composta da colline ricoperte da foreste e vigneti a terrazze. Sull’altra riva vediamo altre collinette con campi coltivati e villaggi. Una casa brucia. In mezzo al fiume c’è un’isoletta con un castello dagli alti bastioni.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Paesaggio
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Paesaggio

La gente entra nelle chiese, passa davanti alle botteguccie sistemate ai piedi della cattedrale o si incammina verso i campi. Molti personaggi attraversano il ponte a piedi o a cavallo. Alcune imbarcazioni solcano le placide acque. In questo paesaggio familiare gli storici hanno creduto di riconoscere la guglia della Cattedrale di Utrecht, il ponte degli Archi a Liegi, la Cattedrale di Santa Gudula di Bruxelles o la campagna borgognone. È altresì parso di vedere le città di Bruges, Lione, Praga o la stessa Autun. Ma, se in effetti esistono alcuni elementi presi dalla realtà, il paesaggio è senz’altro frutto della fantasia.

La chiesa di Notre dame du Châtel fu distrutta durante la rivoluzione francese e il dipinto fu donato al Louvre.

Anche nei dipinti medievali a contenuto sacro spesso compariva il committente dell’opera, ma in posizione marginale e rimpicciolito secondo la propria importanza gerarchica. In questa tavola, invece, la figura del cancelliere Rolin è esattamente proporzionale alle figure sacre ed è in primo piano, in una posizione di parità rispetto alla Madonna con il bambino. Questi ultimi non sono al centro della scena, ma a lato, di fronte all’uomo, che riceve la benedizione divina senza alcuna intermediazione, come era d’abitudine, di santi intercessori. Il cancelliere è in posizione di devota preghiera, ma la sontuosità del suo abito, il lusso della dimora e lo sguardo aperto e diretto ostentano il suo status sociale.
Nonostante si tratti di un tema dell’iconografia cristiana, una Sacra Conversazione, generalmente caratterizzata dalla presenza nella stessa scena di personaggi umani (donatori e committenti) e divini (la Vergine con il Bambino), che occupano uno spazio comune, se si osserva bene il gioco degli sguardi, questi stessi personaggi appaiono distaccati, ognuno immerso in se stesso e nelle proprie meditazioni. Gli occhi del cancelliere, in particolare, sembrano concentrati in una sorta di visione interiore.

I raggi ad infrarossi ci mostrano il disegno originario e le modifiche apportate dal pittore rispetto al suo progetto iniziale. Il dettaglio nascosto più evidente è la borsa sul fianco destro del cancelliere. Essa era il simbolo della sua funzione, in quanto conteneva il sigillo del Duca di Borgogna. Rolin ha forse chiesto al pittore di cancellare questo oggetto, che poteva essere un richiamo troppo evidente alla sua immensa fortuna. Forse fu anche lo stesso cancelliere a chiedere a van Eyck di modificare la posizione della mano destra del bambino Gesù, in modo tale da essere benedetto da lui.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Rolin
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Rolin

La terrazza ospita un giardino recintato (l’hortus conclusus del Cantico dei Cantici), simbolo della verginità di Maria, dove crescono vari fiori associati al simbolismo mariano: il giglio rimanda alla purezza della Madonna, le margherite alla sua umiltà, le rose rosse preannunciano la Passione di Gesù, ecc. Le gazze, spesso raffigurate sui patiboli, annunciano la crocifissione di Cristo. Una colonna schiaccia dei conigli, animali prolifici, simbolo dell’amore carnale. La simbologia dei pavoni è ambigua e oscilla tra il richiamo all’immortalità (in quanto si credeva la loro carne incorruttibile) e quello alla vanità (sono infatti collocati all’altezza del cancelliere). Numerosi sono ancora gli elementi presenti dotati di riferimenti simbolici, di molti dei quali abbiamo ormai perso le chiavi di lettura.
Il paesaggio oltre i bastioni è sfumato in lontananza, secondo le regole della prospettiva aerea che Van Eyck dimostra di conoscere bene e che sono in grado di conferire profondità al dipinto. Questo è uno dei primi esempi di vedutismo moderno, in quanto nel medioevo la pittura di paesaggio era stata del tutto assente. La prospettiva centrale e le mani giunte in preghiera del cancelliere da una parte e la mano benedicente del bambino dall’altra sottolineano l’inquadratura del panorama. Esso è dominato dal corso del fiume (probabilmente il Mosa), attraversato da un ponte a sei arcate e ai lati del quale sorge la città. Qualcuno ipotizza addirittura la presenza di due città diverse: a destra, in corrispondenza della Vergine, la città celeste, che si eleva verso il cielo, con la cattedrale gotica e le innumerevoli guglie; a sinistra, in corrispondenza di Rolin, la città terrena, su cui si estende l’autorità del cancelliere. Tra Rolin e Maria c’è infatti una fila vuota di piastrelle, della quale il fiume costituisce una sorta di prolungamento. Questa linea divide il mondo in due parti, che insieme formano la Città di Dio, immaginata da Sant’Agostino, la Gerusalemme celeste attraversata dal fiume della vita.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Guglie
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Guglie

Oltre il centro urbano, si estendono le colline ondulate, con gli alberi, i campi e i verdi prati; infine le montagne innevate che sfumano all’orizzonte.

Interno ed esterno, architettura e natura, appaiono profondamente equilibrati tra loro, restituendo una scena immersa e raccolta in un silenzio contemplativo.
Occorre sottolineare che solo dal Seicento in poi la pittura di paesaggio comincerà a essere un genere autonomo. Fino ad allora essa conserverà sempre un ruolo subalterno, come sfondo di una storia, a soggetto storico o religioso, rappresentata in primo piano.
Oltre allo splendore dei colori, che sembrano donare alle cose una luce propria, questo celebre dipinto si caratterizza anche per l’organizzazione degli spazi. Nonostante non siano qui applicate le regole matematiche della prospettiva lineare (come si può notare dalle mattonelle del pavimento) e nonostante le linee convergano in diversi punti di fuga, purtuttavia gli ambienti, sia quello interno che quello esterno, sono realisticamente plausibili e dotati di una notevole profondità.
A mediare lo sguardo tra lo spazio prospettico del primo e quello del secondo piano, van Eyck ha inserito due figure di spalle, affacciate ai bastioni merlati (si è ipotizzato che la figura a destra, con il turbante rosso, sia un autoritratto dello stesso pittore). Si tratta di un espediente pittorico e prospettico che guida lo spettatore a superare il primo piano e ad affacciarsi a quello seguente, costituito dal paesaggio.
Prima di van Eyck si preparavano i colori mescolando i pigmenti con la chiara d’uovo. La tempera, però, era di difficile uso. La leggenda attribuisce al pittore fiammingo la scoperta della pittura ad olio. In realtà, questa tecnica sembra essere conosciuta sin dal 1100, ma l’olio di lino si asciugava piuttosto male. Secondo alcune fonti Van Eyck avrebbe scoperto che, aggiungendo l’essenza di trementina, che ha un’azione fluidificante, l’olio acquistava una buona asciugatura.

L’olio dà ai colori una maggiore saturazione e conserva il loro aspetto luminoso. Si asciuga lentamente e può, di conseguenza, essere lavorato di nuovo. È molto efficace nella potenza espressiva delle tessiture e, grazie alla sua fluidità, permette fini esercizi di virtuosismo, come la creazione di minuscoli dettagli con un piccolissimo pennello. I personaggi in piedi sul ponte, ad esempio, misurano circa un millimetro.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Vedette e ponte
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Vedette e ponte

Ma la superiorità dell’olio si mostra nella tecnica delle velature: mani di pittura fluida e trasparente passate una sopra l’altra. Per il mantello rosso della Vergine, il pittore ha steso prima, su tutta la superficie, una vernice del colore del panneggio; poi, per le ombre del drappeggio e per modellare le pieghe, ha usato un rosso più scuro; infine con un rosso più chiaro ha disposto i riflessi e gli effetti moiré.

Nell’opera di van Eyck, la luce ha quella stessa importanza che per i pittori del primo Rinascimento fiorentino ha la prospettiva scientifica. La luce acquista nei suoi dipinti una sorta di valore mistico, che pervade tutto, ogni elemento presente nella scena. Non solo le persone e il paesaggio, ma anche gli oggetti, le stoffe, gli arredi.
Tramite l’uso dei diversi giochi di luce, van Eyck riesce a rendere la diversa consistenza dei materiali, dal broccato al velluto alla pelliccia, dai marmi all’oro alle pietre preziose. Basta osservare le pregiate vesti del cancelliere, i dettagli della trama dei tessuti, mentre il manto della Vergine, come in altre opere di van Eyck, si increspa profondamente creando un sofisticato gioco di linee e chiaroscuro.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Mantello
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Mantello

Lo spazio degli italiani è ordinatamente strutturato secondo la prospettiva centrale, dove la scena è retta da un unico punto di fuga, da rapporti precisi tra le figure e da una sola fonte di luce, in modo che risalti immediatamente l’unità e l’ordine della rappresentazione. Lo spettatore non può che essere tagliato fuori dalla scena: la sua posizione è all’esterno, a una distanza tale dal quadro che gli permetta di coglierne la struttura e l’unità. Una caratteristica dell’immagine prospettica è proprio quella di assegnare una precisa collocazione spaziale allo sguardo, sia di chi dipinge che di chi osserva il quadro. La strutturazione della prospettiva avviene infatti mediante la collocazione dell’occhio del pittore in un punto fisso e in quello stesso punto dovrà collocarsi anche l’occhio dello spettatore, per poter avere una visione adeguata. Questo modo di rappresentare lo spazio implica che la visione dell’opera sia caratterizzata dalla distanza e dalla separazione fra colui che vede e ciò che è visto.

Per i fiamminghi invece lo spettatore è incluso illusoriamente nello spazio della rappresentazione, tramite alcuni accorgimenti quali l’uso di più punti di fuga (tre, quattro), una linea dell’orizzonte alta, che fa sembrare l’ambiente “avvolgente” rispetto a chi guarda, una luce diffusa che non si regge su un’unica fonte.

A differenza di quella italiana, la pittura fiamminga è caratterizzata dall’uso “non selettivo” della luce: ogni oggetto, ogni porzione di spazio, ogni dettaglio è ugualmente illuminato e reso con grande precisione, sia in relazione alla consistenza materica che al rapporto spaziale con gli altri elementi della scena. In una visione così attenta al particolare, che conferisce la stessa importanza a ogni elemento che compare nello spazio, l’uomo non è il centro del mondo e il signore dell’universo degli umanisti italiani, al cui ordine razionale tutto è riconducibile. Esso è solo una parte, per quanto importante, di un cosmo molto più ricco e complesso di quanto la sua ragione può contemplare e disciplinare.

Federico Zeri spiega così la differenza che si realizza nella percezione delle opere di pittura fiamminga rispetto a quelle italiane: “Mentre il quadro italiano e la scultura italiana vanno giudicati prima nel loro insieme, e poi dall’insieme si scende al particolare, nel van Eyck e nei pittori fiamminghi è il contrario: bisogna partire dai particolari […] per poi giungere alla visione d’insieme, e solo in quel modo si riuscirà a capire quella che è l’unità dell’opera”.

La luce è il medium che unifica tutta la scena, soffermandosi con la stessa attenzione tanto sulle figure principali quanto sui singoli oggetti di corredo, traendo dall’ombra sia l’infinitamente piccolo che l’infinitamente grande. Vengono sfruttate più fonti luminose, che moltiplicano le ombre e i riflessi, permettendo di definire acutamente le diverse superfici: dal panno alla pelliccia, dal legno al metallo, ciascun materiale mostra una reazione specifica ai raggi luminosi (il “lustro”).
Basta osservare la scena di questo dipinto, l’abbondanza delle decorazioni del loggiato, la ricchezza di elementi che caratterizzano sia il paesaggio urbano che quello naturale.

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Capitelli-
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Capitelli-

Ma tanto minuzioso naturalismo racchiude nelle proprie forme innumerevoli significati simbolici. Ogni particolare racconta della grandezza di Dio; nella natura risplende la sua gloria infinita. Verità e spiritualità costituiscono un binomio indissolubile, che celebra la santificazione del mondo visibile. Beninteso, la natura che rispecchia il volto di Dio non è qui quella selvaggia e primordiale, ma la natura che reca ben visibili i segni dell’opera dell’uomo e la cui visione è disciplinata dalla prospettiva e dal contenimento della veduta in una cornice limitata (in questo caso le arcate), che acquietano la vertigine di un orizzonte senza limiti.
Ogni cosa del mondo rinvia al suo Creatore e in questo modo si impregna di spiritualità. Il visibile dispiega l’invisibile, il finito schiude l’infinito: è questa la portata del naturalismo e dell’amore per il dettaglio di questi artisti nordici come il Maestro di Flémalle (Robert Campin), Jan van Eyck, Rogier van der Weyden e tutti i primi fiamminghi che spaziavano il loro sguardo dall’infinitamente vicino, esplorato con maestria miniaturistica, all’infinitamente lontano (ed è questo che definisce la differenza fra il realismo di questi e quello più strettamente borghese che ispirò i maestri olandesi del XVII secolo).
Non occorre allontanarsi dal mondo, ritirarsi in una dimensione ascetica, per trovare Dio, ma lo si può scorgere nel mondo, beandosi di ogni aspetto della realtà. Se si contempla a lungo la Madonna del cancelliere Rolin, infatti, sembra che la luce, che circola silenziosamente nello spazio, riesca a toccare a uno a uno gli oggetti, quasi fosse la ‘luce divina’ di cui parlano i mistici. È forse possibile esprimere in modo più pieno e intenso la presenza di Dio in tutto il creato, altrimenti che con questa trasfigurazione delle cose?

Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin - Corona
Jan van Eyck, Madonna del cancelliere Rolin – Corona

Questo dipinto costituisce una pietra miliare nella storia della pittura europea. Van Eyck è uno dei primi pittori a rappresentare il suo committente come è realmente, senza lusinghe. Inventa così il ritratto insieme al paesaggio. Il suo modo di osservare il minimo dettaglio e di mettere in relazione ogni oggetto con il resto dell’universo dimostra una visione realistica e nello stesso tempo allegorica del mondo. Se i simboli sono oggi difficili da interpretare, tuttavia le ricerche pittoriche e le questioni formali che il pittore mette in campo (il rapporto tra dettaglio ed insieme, ombra e luce, ordine e disordine, forma e colore, interno ed esterno, mito e storia) si riproporranno sempre dopo di lui, nella storia della pittura.

A quest’opera si ispirerà, interpretandola in maniera personale, il pittore fiammingo, contemporaneo di van Eyck, Rogier van der Weyden (1400-1464), in quello che è un altro capolavoro del Quattrocento fiammingo, il “San Luca dipinge la Vergine“.

Rogier van der Weyden, San Luca dipinge la Vergine, 1435 ca., Museum of Fine Arts di Boston - Public Domain via Wikipedia Commons
Rogier van der Weyden, San Luca dipinge la Vergine, 1435 ca., Museum of Fine Arts di Boston – Public Domain via Wikipedia Commons

L’ambientazione è ancora la loggia di un palazzo che si affaccia direttamente su un paesaggio fluviale. Anche qui in primo piano, uno di fronte all’altra, due figure monumentali, predominanti rispendo allo sfondo paesaggistico: la Madonna con il bambino da una parte e l’apostolo Luca dall’altra, intento ad eseguire con la punta di argento uno schizzo su carta del volto della Vergine (la debole familiarità dei fiamminghi con l’arte classica forse spiega la mancanza di conoscenza dei corpi nudi; si noti infatti come il bambino sia del tutto privo delle giuste proporzioni). Anche qui un’abilità stupefacente nella resa dei dettagli e della consistenza materica di oggetti, tessuti ed elementi naturali oltre che nella sapiente costruzione dello spazio e della profondità attraverso le variazioni di luce; ritroviamo inoltre la stessa capacità di dare espressione alla psicologia dei personaggi.
Gli sguardi di Luca e della Vergine non si incontrano e i due personaggi appaiono assorti in se stessi. Ciò significa che si tratta di una visione spirituale: Luca guarda dentro di sé e la sua mano è mossa dalla grazia divina.

Rogier van der Weyden, San Luca dipinge la Vergine, 1435 ca., Museum of Fine Arts di Boston - Derttaglio
Rogier van der Weyden, San Luca dipinge la Vergine, 1435 ca., Museum of Fine Arts di Boston – Derttaglio

Il divino e l’umano dividono lo stesso ambiente domestico, e la Madonna è ritratta in modo molto intimo mentre allatta il bambino. È questo il comune denominatore per l’Europa di allora: ciò che nel Quattrocento si cerca di ricondurre a sintesi armonica è il binomio uomo-Dio, che in epoca medievale era stato vissuto come frattura, come dolorosa separazione.
Dalla raccolta intimità della scena in primo piano si passa, attraverso le colonne del loggiato, alla veduta del paesaggio, urbano e naturale, sullo sfondo. Come nella “Madonna del cancelliere” di van Eyck, anche qui il Maestro dispiega una realtà cui spetta il compito di evocare in modo concreto la presenza del soprannaturale e la gloria della creazione divina. Si noti come questo sfondamento della prospettiva occupi la parte centrale del dipinto, in quanto le figure in primo piano sono collocate ai lati di esso.
La ricomposizione del binomio uomo-Dio si porta dietro quella di altre dicotomie: finito-infinito, particolare-universale, determinato-assoluto, tempo-eternità, storia-natura. Questo quadro, come la Madonna del cancelliere Rolin di van Eyck, sono esempi delle sintesi armoniche elaborate dai “fiamminghi primitivi” nella prima metà del Quattrocento.
L’iconografia di San Luca pittore (santo patrono degli artisti), autore del primo ritratto della Madonna, nasce nell’ambito della controversia intorno alle immagini sacre nel VI secolo d.C. e si diffonde grazie alla “Legenda aurea” di Jacopo da Varagine. Una leggenda fondativa, dunque, dell’autorevolezza dell’immagine sacra, che si fa risalire addirittura a un santo apostolo, un testimone oculare ispirato da Dio. Come sottolinea Erwin Panofsky questo tipo di rappresentazioni, il cui protagonista è San Luca intendo a ritrarre la Vergine, che avranno larga diffusione nel Rinascimento, funzionano come autolegittimazioni della pittura stessa, a tal punto che l’autore del dipinto si identifica con il personaggio dell’evangelista. Nel caso specifico, infatti, la figura di Luca è un autoritratto dello stesso Rogier van der Weyden. Il tema si presta facilmente a fungere da giustificazione dell’operare artistico in quanto tale: come il loro santo patrono nel dipingere la Vergine, così anche i pittori del Rinascimento sono ispirati dalla grazia di Dio. Il ruolo dell’artista come alter Deus, il suo rapporto privilegiato con la divinità, tante volte rivendicato in questo periodo, trova così piena conferma nella tradizione cristiana. Nel Rinascimento, l’artista è spesso descritto come una sorta di Dio in terra e la creatività artistica è assimilata alla creazione divina. Gli artisti sono uomini della grazia: «dèi mortali» li chiama Vasari, la cui mano è guidata da Dio.
Di quest’opera del van der Weyden si conoscono ben quattro versioni, di cui questa, conservata al Museum of Fine Arts di Boston è con una certa sicurezza l’originale, mentre le altre sono copie risalenti alla seconda metà del Quattrocento. L’artista la dipinse per la cappella di proprietà della gilda dei pittori (ricordiamo che San Luca è il patrono di essi), eretta nella chiesa di Santa Gudula a Bruxelles. La Madonna di san Luca, che riscosse grande successo, fu acquistata e donata all’Escorial da Filippo II nel 1574, e, dopo un ritorno nelle collezioni borboniche, fu venduta agli Stati Uniti alla fine del XIX secolo.


In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC e con Finestre su Arte, Cinema e Musica

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