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LA LEADERSHIP IN TEMPI CRISI

La leadership in tempi di crisi –

Non ne siamo ancora fuori, ma possiamo già vedere le conseguenze presenti e future che la pandemia di COVID-19 ha causato e causerà alla sfera socio-economica mondiale, oltreché a quella della sanità pubblica, naturalmente.

E, come se non bastasse, la crisi esplosa a causa della pandemia da coronavirus si è sovrapposta a quella generata dall’avvento della cosiddetta “Industria 4.0”, cioè dall’impiego sempre maggiore della robotica e dell’Intelligenza Artificiale in ambito lavorativo, che,  se da un lato ha creato nuove opportunità lavorative, in molti casi ha creato una forte crescita della disoccupazione e della disuguaglianza sociale. 

Probabilmente perché l’Industria 4.0 non ha mai avuto come obiettivo centrale l’essere umano, ma il progresso tecnico-scientifico, attraverso una connettività che non conosce soluzione di continuità. Per quanto infatti ci si possa sforzare nel creare prodotti, processi lavorativi e interazioni governate dalla cibernetica e dalla tecnologia al fine di rendere l’uomo del XXI secolo sempre più “smart”, se ogni innovazione non viene realizzata in armonia con il nostro ambiente e in modo tale che l’uomo ne possa trarre un vero giovamento (anziché un mero profitto economico), sarà difficile immaginare la società del futuro come sana, efficiente e funzionale. Queste sono le tematiche alla base del movimento che si connota come “Società 5.0”, innovativo programma governativo giapponese, che propone un modello realmente sostenibile di società, teso a migliorare le condizioni di vita di ogni essere umano. 

E poi è arrivato il coronavirus. 

Dal 2020 in avanti, gli scenari futuri mutano radicalmente e sembrano sfuggire al controllo sempre meno  onnipotente dell’uomo. Alcuni lo interpretano come un segnale divino che ci punisce per i nostri peccati, altri lo accolgono come un messaggio della nostra madre Terra, che ci ammonisce degli abusi che l’umanità sta commettendo ai danni dell’ecosistema in cui vive; altri ancora hanno un approccio scientifico e affrontano la pandemia come un iattura casuale, ma del tutto naturale, come le grandi pandemie del passato. Qualcun altro scorge invece in questa crisi sanitaria un evento doloroso ma necessario che condurrà verso l’abbandono dell’attuale modello economico, in favore di un’economia meno aggressiva e più solidale.

Difficile dire oggi quale futuro ci attende: ciò che è più facile da riscontrare è che, per affrontare una crisi i cui contorni non possono che essere ancora foschi e poco delineati, è necessario l’impegno di coloro che, per il loro ruolo di leader, vogliano caricarsi sulle spalle piccole o grandi responsabilità per traghettare il resto dell’umanità verso una reale ripartenza e una nuova condizione di benessere. 

No, non siamo all’apologia del superomismo, ma è nostra intenzione attribuire il termine “leader” a tutte quelle persone, famose o non, che ricoprono posizioni di comando e guida, ciascuno con la propria soggettività e il proprio modo di agire. Quello che conta è che ora si presenti un leader che comprenda e che non abbia paura di sbagliare, perché sbagliare non significa fallire. L’errore è insito nell’uomo, e meno male! Perché errare ci aiuta a imparare e, quando si cade, bisogna imparare a rialzarsi, più temprati rispetto a prima. E un buon leader è anche un buon motivatore. Un buon leader è resiliente, tanto per usare un termine in voga in questo periodo storico, e ha come focus l’essere umano.

Sì, perché prima delle vittorie personali, aziendali, prima dei profitti e dei successi, un buon leader deve prima di tutto considerare l’uomo, con le proprie esigenze, le proprie fragilità, le proprie peculiarità, i punti di forza e quelli di debolezza. Tutto concorre alla creazione di una squadra fatta di uomini motivati, in contrapposizione a quelle realtà che ancora oggi poggiano le proprie fondamenta sullo sfruttamento e sul lavoro intensivo.

Insomma, il leader dell’era post-covid non dev’essere soltanto colui che prende decisioni difficili per incrementare la produttività e il benessere aziendale o nazionale, ma deve incarnare una guida spontanea e capace di coltivare la fiducia dei “suoi” uomini, aiutandoli nelle attività di problem solving.

Nel corso degli anni e grazie alle svariate ricerche su questo tema, sono stati enucleati sei differenti stili di leadership, che un manager deve utilizzare, a seconda dei casi, per motivare, coinvolgere e stimolare la prestazione della squadra in modo efficace e soddisfacente per tutti. Esistono dunque categorie precise, come lo stile direttivo, volto ad ottenere obbedienza istantanea, lo stile autorevole, utile per mostrare una direzione valida sul lungo periodo, lo stile affiliativo, capace di generare armonia e fiducia, lo stile partecipativo, che invoglia la squadra a generare nuove idee, lo stile battistrada, utile per chi si prefigge di raggiungere gli obiettivi con alti standard di eccellenza, e infine lo stile coaching, con cui si motiva lo sviluppo professionale dei singoli membri della squadra sul lungo periodo.

Bene, il leader dell’era post-pandemia dev’essere dunque un gran conoscitore della natura umana, capace di mescolare stili e tecniche di management differenti, al fine di ottenere il miglior risultato possibile. Ecco che allora si rende necessaria una figura positiva in netta contrapposizione con il “leader negativo”, cioè con colui che ha deciso di smettere di confrontarsi con il livello di salute psico-fisica del proprio team, non colui che taglia costi aziendali e teste, attribuendo ogni responsabilità a problemi di bilancio. Un leader negativo ignora gli indicatori interni di criticità e indulge sempre e comunque al pessimismo, se non al catastrofismo, senza mai preoccuparsi di riconoscere l’impegno e la bravura della squadra.

Insomma, oggi serve un “leader 4.0”, capace di cambiare l’organizzazione e la società, rendendola adattiva nei confronti di un mondo che soffre e soffrirà sempre di più la volatilità, l’incertezza, la complessità e l’ambiguità, cioè, detto in un solo acronimo, il fenomeno della VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity).

Abbiamo lasciato per ultimo un tipo di leadership che implica capacità ancora più profonde, fondamentali per una nuova società che miri al benessere dell’umanità: il leader spirituale, ovvero colui che è in grado di curare i mali dell’anima, di mostrare una via che miri al benessere psico-fisico, una guida che non abbia a che fare con soli iniziati o con una ristretta élite di persone, ma un motivatore specializzato nella gestione della parte umana, abituato ad ascoltare per capire, e non ad ascoltare per rispondere.

Elio Occhipinti e Aldo Minari

A cura dell’Associazione LabCos