Intervista a Chiara Marconi, fondatrice di Chitè

Un percorso di formazione orientato alla diplomazia e una carriera nelle organizzazioni internazionali. Oggi Chiara Marconi è CEO di Chitè, azienda che ha fondato insieme a Federica Tiranti, direttore creativo. È il primo brand di lingerie di lusso a offrire una customer experience innovativa, grazie a una piattaforma di personalizzazione online.
Facciamo un passo indietro. Come è nata l’idea di offrire una piattaforma per la personalizzazione della lingerie?
L’idea di Chitè nasce due anni fa: da una ricerca abbiamo scoperto che l’80% delle donne indossa un reggiseno di taglia sbagliata. Inizialmente non ci sembrava un dato veritiero ma poi ci siamo rese conto di quante volte arriviamo a fine giornata e vogliamo solo togliere il reggiseno che spesso lascia segni sulla pelle, o di quanto spesso le spalline cadano sulle spalle. Siamo partite facendo surveys e focus groups rendendoci conto di quanta confusione ci sia nel mondo femminile su come si possa davvero trovare un reggiseno con il giusto fit.
Analizzando il mercato è emerso che nessun marchio aveva ancora approcciato il concetto del “su misura” in maniera digitale e scalabile. Questo ci ha spinte a voler creare una piattaforma che offrisse un’esperienza di acquisto diversa.
Le nostre clienti possono ora creare il proprio reggiseno sartoriale: scelgono ogni singolo componente del capo dal tessuto alle spalline o la chiusura diventando loro stesse designer. L’ultimo step è quello della taglia e se lo vogliono su misura devono semplicemente fornire la misura del giro-seno e del torace.
È stata una grande sfida e siamo solo all’inizio: per il momento offriamo due modelli, uno con coppa e uno senza coppa, ma nei mesi futuri espanderemo l’offerta e continueremo a lavorare sulla piattaforma.
Slow Couture e web, una sfida importante che Chitè è riuscita a vincere. Come avete fatto a portare le specificità dell’artigianalità, fatte di cura e lunghi tempi, sul web?
Ora più che mai ci sono due concetti che riteniamo imperativi: “buy less, buy well” e digitale. Trovare un punto di incontro tra l’artigianalità e l’online non è impossibile se i clienti sono pronti e questa recente crisi sta spingendo anche i più restii a familiarizzare con la digitalizzazione.
Quello che però è fondamentale è la trasparenza. I nostri clienti sanno che i loro capi sono realizzati da artigiani e ogni singolo reggiseno su misura è confezionato singolarmente, questo significa che i tempi si dilatano e i prodotti della piattaforma MyChitè richiedono fino a 14 giorni di produzione. La qualità richiede tempo, precisione e riduzione degli sprechi e le nostre clienti lo capiscono e apprezzano.
Abbiamo voluto portare online un servizio che altrimenti oggi sarebbe possibile solo a pochissimi e stiamo studiando una user experience che renda il processo il più semplice possibile.
Qual è oggi il valore del Made in Italy, sia in termini culturali che in termini di mercato?
Sia io che Federica vivevamo all’estero quando è nata l’idea e abbiamo deciso di rientrare in Italia a svilupparla. Questa scelta è stata dettata dal fatto che noi in primis crediamo fortemente nel Made in Italy e nel sostenere i piccoli artigiani Italiani che sono il cuore di Chitè ma anche un enorme valore che l’Italia possiede e va preservato.
Federica, che gestisce tutta la catena produttiva e ogni dettaglio del prodotto, è in costante contatto con loro per cercare di migliorare ogni giorno e offrire un prodotto che rispecchi tutti i nostri valori. Senza i piccoli laboratori la nostra piattaforma di personalizzazione non sarebbe stata possibile, li definiamo scherzosamente “i nostri angeli”.
Per quanto riguarda il mercato, pensiamo che il valore dell’artigianato italiano sia ancora molto importante e riconosciuto soprattutto nei mercati esteri. In Italia si sta manifestando un ritorno al voler capi di alta qualità con la ricerca di brand che sostengano i valori del nostro Paese.
Come è cambiato il concetto di lusso negli ultimi dieci anni e come cambierà secondo lei nell’immediato futuro?
Fin dall’inizio con Federica abbiamo deciso, dopo molte ricerche di mercato, di voler posizionare Chitè non nel segmento proprio del lusso, quando piuttosto in quello dell’“affordable luxury”.
La missione è quella di offrire capi di alta qualità ma con un prezzo accessibile.
Lavoriamo a capsule collections in edizione limitata che escono ogni primo del mese, in modo da garantire un’esclusività sui nostri completi e rendere il processo sostenibile.
Oggi lusso significa poter avere un capo di qualità, esclusivo e dietro alla cui produzione ci siano dei valori. Il cambiamento principale risiede quindi nella percezione stessa del lusso, che non è più legata al prezzo.
Il nostro pensiero è che più che il mercato del lusso, ciò che davvero cambierà è il consumismo che si scontra con un consumatore più consapevole e coscienzioso.
Chitè è una delle startup de Le Village by CA Milano, un progetto del gruppo internazionale Crédit Agricole. Di cosa si tratta nello specifico e in quale modo il vostro progetto ne ha beneficiato?
Le Village by CA Milano è un “ecosistema aperto” che sostiene la crescita delle startup e accelera l’innovazione delle aziende, grazie alla sinergia e alla connessione tra grandi corporate, giovani imprese, investitori e il Gruppo internazionale Crédit Agricole.
Primo Village italiano e 30esimo del network internazionale sviluppato dal Gruppo bancario in Francia e in Europa, si trova all’interno di un ex convento del XV secolo, in centro a Milano, in corso di Porta Romana e, attualmente, ospita 32 startup (che operano in 7 principali ambiti di attività tra cui il fashion), 17 partner e 36 abilitatori.
Si tratta di un ambiente davvero stimolante. Si creano ampi spazi di condivisione per le startup e il team del Village che ci segue non perde occasione per creare nuove sinergie tra le diverse realtà presenti all’interno.
L’Italia viene spesso nominata come il fanalino di coda nei Paesi europei per il supporto alle startup ma se c’è un tessuto di imprese innovative nel nostro Paese è in primis grazie ad iniziative come Le Village. Sono in grado di attrarre partner e abilitatori e metterli al servizio delle nostre necessità e senza questo canale difficilmente avremmo accesso a queste risorse. Inoltre, ci offrono un percorso su misura per aiutarci a identificare le migliori strategie di sviluppo del nostro business.
Esistono competitor diretti di Chitè? Se sì, qual è il vostro valore aggiunto?
Si e no. Il mercato dell’intimo è sicuramente un mercato presidiato ma ha vissuto dei profondi cambiamenti negli ultimi anni lasciando particolarmente scoperto il segmento dell’affordable luxury. Si parla di una rivoluzione copernicana in questo settore perché i nuovi paradigmi di comunicazione legati a concetti come “women empowerment” hanno messo in ginocchio player storici ma insensibili ai cambiamenti della clientela. La digitalizzazione è un altro fattore che ha portato molte aziende alla chiusura. Ed infine i clienti sono oggi particolarmente attenti e sensibili alla sostenibilità, alla qualità dei prodotti e del servizio offerto e questo richiede uno sforzo maggiore da parte di noi brand.
Fatte queste doverose premesse, possiamo dire che Chitè ha sicuramente competitor nel mondo dell’intimo a livello internazionale ma non vi è alcun brand ad aver sviluppato una piattaforma di personalizzazione online con tecnologia 3D. Il nostro valore aggiunto è la filiera produttiva interamente italiana ed indipendente. Riusciamo ad offrire il servizio della personalizzazione grazie ad una rete di artigiani locali che ha permette di realizzare capi a soli 15 euro in più rispetto al prodotto ready-to-wear e abbiamo controllo verticale su ogni singolo passaggio della supply-chain. I principali player del mercato hanno tutti delocalizzato la produzione in paesi con un basso costo di manodopera e volumi altissimi, difficilmente possono offrire un servizio come il nostro.