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Industria e rivoluzione 4.0

Industria e rivoluzione 4.0 – 

Welcome to the New World. O meglio, benvenuti nella nuova era dell’Industria 4.0 o, se si preferisce, nella Quarta Rivoluzione Industriale.

Si tratta di un concetto davvero recente, che, fin dalla sua presentazione, ha avuto tutte le carte in regola per imporsi con fermezza nel prossimo futuro. Nel 2016, il fondatore del World Economic Forum, il professor Klaus Schwab, presentò il suo libro La quarta rivoluzione industriale[1], uno studio acuto su come stesse cambiando la cosiddetta catena del valore, in relazione alle nuove professionalità che già da allora si andavano creando nel mondo del lavoro. Come lo stesso professore ebbe a dire in un’intervista a Il Sole 24 ore, «È molto interessante verificare il successo del libro nei vari Paesi, perché è come una sorta di indicatore dell’interesse di quel Paese verso l’innovazione o la resistenza al nuovo o a restare neutrali sul tema del cambiamento»[2].

L’attenzione a questa tematica non è purtroppo sempre alta (a partire dal nostro Paese), tuttavia nel dicembre 2017 il rapporto McKinsey[3] ha esaminato le attività produttive di oltre 40 Paesi industrializzati ed è giunto alla conclusione secondo cui, nel 2030, i processi di automazione apporteranno benefici generali all’umanità al costo di una drastica riduzione dell’impiego di personale umano (il 60% delle attuali occupazioni vedrà una riduzione del 30% di impiego umano a causa della robotizzazione).

L’industria nella storia

Prima di esaminare le caratteristiche (e le conseguenze) di questa nuova era di stravolgimento industriale, riepiloghiamo brevemente quali furono le precedenti tre, che sconvolsero (nel bene e nel male) l’umanità. La Prima Rivoluzione Industriale si verificò a partire dalla seconda metà del XVIII secolo: la potenza dirompente del vapore acqueo fu imbrigliata al fine di meccanizzare i sistemi produttivi.

La Seconda Rivoluzione Industriale (1856-1878) vide protagonisti assoluti l’energia elettrica e il petrolio, due impressionanti booster all’incremento della capacità di produzione mai visti prima: era nato il commercio mondiale.

La Terza Rivoluzione Industriale promosse la ribalta della tecnologia, non solo nel mondo del lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni. A partire dal bozzolo di ARPANET, la prima rete telematica americana che mise in contatto alcune importanti università statunitensi, si entrò nell’era di Internet, che cambiò radicalmente le abitudini di ogni essere umano. Questa fase vide anche il grande interesse di molte nazioni nei confronti dell’energia nucleare, nonché la diffusione del mercato globale.

Ed eccoci alla Quarta Rivoluzione Industriale, che oggi si può ancora definire una tendenza dell’industria ad automatizzare a livello cibernetico la produzione e l’interazione con l’utente finale. Tuttavia non siamo di fronte a una semplice estensione della Terza Rivoluzione, ma a un vero e proprio nuovo corso, caratterizzato da una velocità di sviluppo mai riscontrata nella storia dell’umanità e da una capacità di cambiamento e trasformazione dei sistemi produttivi globali di una profondità radicale.

Uomini e tecnologia

Dando uno sguardo al futuro prossimo, siamo già in grado di tracciare alcune linee di demarcazione molto chiare. Oltre all’avanzamento tecnologico, questa rivoluzione industriale comporterà anche la creazione di nuovi posti di lavoro specializzati, e ciò implicherà che dal 3 al 14% della forza lavoro globale sarà costretta a un cambio occupazionale; le attività routinarie e meccanizzabili saranno demandate sempre più all’intelligenza artificiale, ma per l’essere umano si apriranno le porte di impieghi sempre più creativi, emozionali, di alto livello cognitivo, e quindi difficilmente automatizzabili. L’Industria 4.0 avrà dunque un forte impatto in moltissimi settori produttivi (il celebre Bill Gates si è addirittura spinto al punto di suggerire una tassazione ad hoc per quelle unità robotiche che “ruberanno” il lavoro agli esseri umani[4]) e tale cambiamento implicherà necessariamente una più stretta collaborazione tra le macchine e l’uomo. Si renderà necessario un netto cambiamento anche a livello formativo, e ciò comporterà la creazione di nuovi docenti, tutor, mentori specializzati. E anche secondo Stefan Zippel, uno dei più visionari architetti dell’Industria 4.0, forte di un decennio di esperienza nel settore dei sistemi di esecuzione automatizzata e autore del seguitissimo blog stefanzippel.com, il vero problema non sarà la scomparsa (e quindi la perdita tout court) del lavoro, ma la capacità dei lavoratori di mutare la propria professionalità e le proprie competenze in favore di un cambiamento inarrestabile.

Eccoci dunque al punto. Se la perdita del lavoro o, più in generale, la perdita della propria fonte di reddito, mina in profondità l’identità della persona e mette in discussione le qualità e il senso di stabilità e sicurezza su cui ciascuno ha costruito la propria vita, quali sostegni (psicologici, spirituali, religiosi) ci potranno essere per quelle migliaia di anime disperate che si ritroveranno a doversi adattare a un mutamento apparentemente spietato e in molti casi più grande e veloce di loro?

Verso una nuova specie umana

Prima di rispondere, conviene forse ragionare sul fatto che viviamo in un’epoca in cui le persone tendono ad affidare le proprie memorie a supporti informatici, con piattaforme social in grado di favorire il cosiddetto lifelogging, ovvero il modo di tenere traccia di ogni singolo istante della propria vita: in questo contesto, ha ancora affidarsi o accostarsi con interesse a pratiche spirituali (occidentali o orientali), discipline psicologiche, filosofie o religioni di lunga o lunghissima tradizione? Tutte queste vie come si potranno porre dinanzi all’inarrestabile deriva tecno-cibernetica, vividamente illustrata e prospettata dalla pellicola del 2014 Transcendence, in cui si spiega come ricreare la mente umana affidandola a supporti digitali? Fantascienza? Forse, tuttavia l’inventore e pioniere informatico statunitense Raymond Kurzweil dichiarò nel 2009 sulla rivista Rolling Stones[5] il suo proposito di realizzare una copia genetica del padre scomparso, recuperandone memorie e tracce desossiribonucleiche dalla tomba tramite l’intervento di nanorobot. A parte lo spontaneo richiamo alla celebre creatura di Frankenstein, quello che qui più interessa è lo sforzo a creare un’intelligenza artificiale recuperando ricordi reali. Siamo allora di fronte al cosiddetto «transumanesimo», ossia quel movimento culturale che propone fermamente l’impiego della tecnologia per migliorare la condizione naturale umana. È la porta di un nuovo processo evolutivo, che parte dai primi ominidi e giunge al prossimo (vicinissimo) futuro, che vedrà l’avvento della specie Ultra Sapiens, cioè dell’essere umano ibrido tecno-potenziato.

Difficile allora, a fronte di tali imminenti mutamenti, parlare di valori sacri e immutabili: la società cannibalizza bulimicamente il nostro tempo di vita; e lo fa con assiduità. La nostra attenzione è costantemente fagocitata dalle lusinghe di strumenti sempre più rapidi ed efficaci che ci «regalano» una messe di informazioni senza precedenti. Smartphone, tablet, computer, canali televisivi inondano il nostro cervello con flussi rutilanti e chiassosi di informazioni spesso inutili: e le conseguenze sono un’assuefazione a un’orgia di news a fronte dell’impossibilità di concentrarsi per più di pochi minuti su qualsiasi cosa. Dopo una giornata di lavoro, è sicuramente più confortevole abbandonarsi alle coccole della tecnologia, del mondo virtuale, che ci protegge dalle insidie del reale; e infatti sempre meno persone decidono di aderire ad associazioni culturali (sebbene si registri una confortante adesione al volontariato), perché evidentemente faticose (in ordine di impiego di tempo) e in apparenza meno appaganti delle nuove forme di intrattenimento. E questo perché ogni percorso filosofico o spirituale implica necessariamente uno sviluppo che non può e non deve essere immediato: ci vuole tempo per maturare, per assimilare concetti, per comprendere un modus vivendi più profondo e, alla fine, completo.

Verso il cambiamento

Il cambiamento è ciò che più connatura l’evoluzione dell’uomo: chi non cambia si chiude in se stesso e perisce. Tuttavia, lo straniamento che colpisce chi vive in una costante situazione di surmenage tecnologico crea nuovi automi: le persone la cui vita ha assunto i connotati della virtualità e che si interfacciano con il resto del mondo prevalentemente e preferibilmente dietro uno schermo e una tastiera rifuggono di fatto dai rapporti “analogici” e da tutto quell’insieme di pratiche che implicano capacità di concentrazione e ricerca introspettiva.

La fatica risiede proprio lì: comprendere che un qualunque percorso filosofico o spirituale che poggi su solide fondamenta non è un semplice strumento finalizzato al rigetto nostalgico e anacronistico del cambiamento, ma, al contrario, deve fungere da collante e da balsamo tra il mondo veloce e cibernetico che ci aspetta (e che già in buona parte viviamo) e la solidità di un rifugio di cui prima o poi ciascun essere umano avverte la necessità. E allora quando la Quarta Rivoluzione Industriale mieterà inevitabilmente la sua messe di vittime del lavoro, serviranno più che mai sistemi valoriali concreti e di grande aiuto, non solo a livello speculativo, in modo tale da controbilanciare la cannibalizzazione della vita da parte dei sistemi cyber-economici. Forse solo così sarà possibile non soccombere a ciò che il noto sociologo Zygmunt Bauman definiva come la «tirannia dell’istante»[6].

In fin dei conti, in ogni sistema filosofico antico, le logiche, i riti, i simboli, le indicazioni comportamentali sono riconosciuti validi perché figli di un dato periodo storico, in cui quelle consuetudini promulgate come eterne e incorruttibili erano sicuramente attuali soprattutto nell’epoca in cui furono definite. Certamente esistono valori inossidabili il cui rispetto garantisce indiscutibilmente la prosperità del genere umano, tuttavia anche le consuetudini filosofiche e le loro finalità giustamente cambiano, si adattano, si trasformano, ma ferme rimangono tutte quelle impalcature valoriali che rappresentano il faro nella notte di un’umanità in ambasce.

Esistono ancora nel XXI secolo simili approdi? E, soprattutto, possono realmente venire in soccorso di un genere umano investito con impeto dalla Quarta Rivoluzione Industriale?

La caccia è aperta.

 

Elio Occhipinti

Aldo Minari


[1] Klaus Schwab, La quarta rivoluzione industriale, Franco Angeli Edizioni, Milano 2016.

[2] Vittorio Da Rold, Schwab (Wef): «L’industria 4.0 rivoluziona i modelli di business», articolo su Il Sole 24 ore del 9 dicembre 2016
https://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-12-08/schwab-wef-l-industria-40-rivoluziona-modelli-business-201401.shtml?uuid=ADB3Y69B&refresh_ce=1

[3] https://www.mckinsey.com/business-functions/operations/our-insights/industry-40-looking-beyond-the-initial-hype

[4] http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/hitech/2017/02/20/bill-gates-robot-che-rubano-posti-lavoro-paghino-tasse-_c44fc8f5-78e1-4ebd-bcfa-cee7acd1e5bc.html

[5] Raymond Kurzweil, When Man and Machine Merge, articolo su Rolling Stones, 3 marzo 2009
http://www.kurzweilai.net/featured-rolling-stone-when-man-and-machine-merge

[6] Zygmunt Bauman, Vite di corsa, Il Mulino, Bologna 2009.