IL TEMPIO DI ARTEMIDE AD EFESO: UNA MERAVIGLIA DEL MONDO ANTICO
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IL TEMPIO DI ARTEMIDE AD EFESO: UNA MERAVIGLIA DEL MONDO ANTICO –
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In collaborazione con la pagina Voci Antiche: pagine dal mondo classico.
IL TEMPIO DI ARTEMIDE AD EFESO: UNA MERAVIGLIA DEL MONDO ANTICO
Di Babilonia rocciosa le mura percorse da carri
e vicino all’Alfeo Zeus ammirai,
poi quei giardini sospesi e il grande colosso del Sole,
le fatiche delle piramidi, che arrivano al cielo,
il Mausoleo enorme; ma quando di Artemide vidi
alto innalzarsi tra le nubi il tempio,
tutto bianco mi parve e pesai che, oltre all’Olimpo,
il Sole mai altra simile perla vide.
Nonostante la sua distruzione, alcune fonti scritte e le monete trovate nei pressi del tempio hanno permesso di comprenderne e ammirarne le forme. L’iconografia tramandata dalla numismatica ce lo mostra come tempio periptero, con colonne su tutti i lati, che si innalzano su gradinate. Sono colonne snelle e scanalate, con basi di marmo scolpito e bei capitelli di ordine ionico. La struttura in marmo splendente era sormontata da un tetto e le sue dimensioni erano tali che, per abbracciarla interamente col lo sguardo, l’osservatore era costretto a indietreggiare fino all’altare sacrificale posto di fronte alla facciata. Nel timpano, dove erano state collocate quattro statue di Amazzoni, che nel primo tempio portavano la firma di artisti famosi, come Fidia, Policleto, Cresila e Fradmone, erano state praticate tre aperture: quella centrale, affiancata da due di queste statue, serviva per rendere visibile la statua della dea anche a chi stava fuori dal tempio.
Questo era circondato da un ampio cortile, cosa che permetteva di scorgerlo da lontano. Qui lavoravano artigiani e mercanti, intenti i primi a riprodurre “souvenir” del monumento o della statua della dea, i secondi a venderli a fedeli, viandanti e marinai approdati in città. Il luogo, però, era meta anche di artisti, poeti e filosofi (si tramanda, per esempio, che Eraclito, filosofo vissuto nel VI a.C., avesse deciso di rifugiarsi lì per evitare il contatto con altri uomini) e, soprattutto, di tutti coloro che cercavano protezione. L’Artemisio, infatti, concedeva ai supplici diritto d’asilo e li proteggeva da ogni forma di rappresaglia: così, vi trovarono rifugio i figli di Serse, dopo la sconfitta persiana ad opera dei greci, e, secoli dopo, Arsinoe, in fuga dalla sorella Cleopatra. Ma pare che anche le Amazzoni, secondo il racconto del mito, avessero chiesto e trovato protezione lì, ragion per cui sul timpano si trovavano le loro statue.
Quanto alla statua di Artemide, dobbiamo immaginarla ben diversa dall’iconografia tradizionale della dea: non la rappresentava, infatti, come una bella giovane intenta alla caccia, scattante e snella, ma come una donna statica (la parte inferiore, infatti, ricorda un sarcofago egizio), simbolo piuttosto di fertilità per i suoi molteplici seni (è detta per tale motivo “polimastica”). Perché questa discordanza con la tradizionale immagine di Artemide? Ci sono buone ragioni per credere che la dea efesina si rifacesse più alla tradizione asiatica che a quella greca e riproponesse la figura della dea Cibele: infatti, in molti dialetti dell’Asia Minore, Artemide era detta Kubaba e al suo nome era spesso affiancato anche l’aggettivo “megale”, cioè grande, proprio come accadeva con Cibele, la “grande madre”.
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In collaborazione con Voci Antiche: pagine dal mondo classico.