Il teatro è ricerca, sempre: intervista a Francesco Scarpace Marzano

Il teatro è ricerca, sempre: intervista a Francesco Scarpace Marzano – Le Serve, di Jean Genet, in scena a Milano con la regia di Francesco Scarpace Marzano, è un dramma tragico e violento liberamente ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto nel febbraio del 1933 a Le Mans, in Francia.
Due sorelle di nome Christine e Léa Papin, di 28 e 21 anni, sono in servizio presso una famiglia borghese composta da coniugi di mezza età e dalla loro figlia. In seguito ad un rimprovero per un banale incidente domestico, massacrarono madre e figlia. Lo fecero con inaudita ferocia seviziandone i corpi con accanimento. Commesso il delitto si ritirarono nella loro stanza per dormire nello stesso letto. Al giudice non fornirono alcun motivo del loro atto, l’unica loro preoccupazione sembrò quella di condividerne interamente la responsabilità.
La trama dell’opera vede, invece, Claire e Solange sorelle e cameriere-modello al servizio di una ricca signora. Ogni volta che lei esce di casa le due recitano a turno il ruolo della padrona e della serva; chi interpreta la serva, però, non mette in scena sé stessa, ma l’altra sorella.
Indossano i gioielli più preziosi di Madame, i suoi vestiti più belli, ne imitano la voce e gli atteggiamenti che ogni giorno sono costrette a contemplare nella realtà, e sognare, con invidia, in silenzio. Attraverso il gioco delle parti, sfogano tutto il loro rancore fino a simulare il momento in cui la uccidono. L’epilogo è tragico ma diverso da quello del fatto di cronaca da cui trae ispirazione.
L’appuntamento è al Factory32 di via Watt 32 venerdì 9 giugno alle 20 e domenica 11 giugno alle 17 e alle 20.30.
Parliamo di questo lavoro con Francesco Scarpace Marzano, regista dello spettacolo e Direttore Artistico di Anime Sceniche.
Le Serve di Genet, come mai questa scelta?
Il desiderio di mettere in scena l’opera nasce dal fatto che questa, più di altre, permette un complesso studio dell’animo umano, dei suoi meccanismi (che sono gli aspetti più importanti del lavoro di chi, secondo me, propone una formazione artistica attoriale).
Un dramma liberamente ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto. Spesso la realtà supera la fantasia. Hai dovuto enfatizzare molto i fatti oppure la resa è verosimile?
La resa è assolutamente verosimile, se pensiamo all’epilogo dell’opera, anche se i fatti di cronaca hanno avuto risvolti decisamente più macabri rispetto al dramma scritto. Credo che, comunque, l’autore (che negò sempre di essere rimasto affascinato dalla vicenda di cronaca) non abbia voluto tanto soffermarsi su ciò che è accaduto quanto sul sentire delle due ragazze vittime della loro ambivalenza affettiva, sulle motivazioni del loro sentire, sulla loro fragilità.
Lo studio dell’animo umano che comporta un’opera come questa. C’è tutto: il delirio, le meschinità, l’ammirazione, l’invidia, le classi sociali…
Già, le classi sociali. Entrambe le sorelle amano Madame (interpretata da Daniela Lerva) e vorrebbero essere come lei, appartenere all’ordine sociale di cui invece sono gli scarti… Ma secondo Genet è proprio dall’immaginazione di Madame che nascono tali scarti. Claire nella parte di Madame dirà: “È grazie a me, soltanto a me, che la serva esiste. Grazie ai miei strilli e ai miei gesti”.
L’autore riflette i fantasmi di Claire e Solange (interpretate rispettivamente da Aurora Marcianò e Miriam Malacarne) alle donne oneste del pubblico che sono state loro stesse a crearle, come i sudisti hanno creato gli schiavi. La sola reazione di quegli “scarti” è che esse, a loro volta, sognano ed immaginano di diventare la padrona che le immagina. Questo non avverrà mai e dalla repressione nasce la devianza e, qui, devianza è delirio, meschinità mista ad ammirazione, invidia.
Come hai scelto le interpreti?
Il momento è arrivato, quando ho visto lavorare Miriam Malacarne e Aurora Marcianò, allieve che 5 anni fa si sono presentate nella nostra scuola esprimendo, con grande coraggio, aggiungerei, il desiderio di diventare attrici. Durante un esercizio che rappresenta la base di tutto il triennio accademico ho visto proprio, in un momento specifico, Claire e Solange nel loro modo di relazionarsi. Ho pensato che loro, con il loro coraggio e la loro generosità emotiva, potessero restituire degnamente lo spirito di quei due personaggi.

Parlaci di Anime Sceniche. Dovessi spiegarlo in poche parole.
Anime Sceniche è sia una scuola di recitazione che una compagnia. Una scuola non ha senso senza una compagnia che, nel nostro caso, si compone di allieve e allievi che si sono distinti per talento, serietà, attaccamento al percorso e costanza. La scuola forma gli allievi prima di tutto come esseri umani perché il training della recitazione non è solo un percorso che insegna a diventare bravi attori o brave attrici. La recitazione è un modo di vedere il mondo. Soprattutto i nostri allievi devono essere in grado di portare fuori dal nostro contesto questo sentire e, se possibile, diffonderlo. Il mondo del lavoro con cui si confronteranno non deve intaccare questo aspetto, anzi, ne dovrebbe essere influenzato.
La crescita personale e professionale che comporta un percorso in un posto come Anime Sceniche.
La recitazione è l’abilità di vivere in modo onesto sotto un set di circostanze immaginarie date. Questo implica la necessità di comprendere il proprio sentire in ogni momento e di reagire coerentemente con ciò che si sente. La società ci spinge a chiuderci a reprimere le nostre vulnerabilità. Oggi tendiamo a non reagire in modo onesto perché abbiamo il timore di essere etichettati perché qualcosa ci piace oppure no. La crescita personale consiste proprio in un riappropriarsi e ricongiungersi al nucleo delle proprie emozioni. È sviluppo della propria consapevolezza, è reagire in modo onesto a ciò che ci accade.
Tu quanti anni fa hai capito che questa sarebbe stata la tua strada? Tu arrivi da un settore completamente diverso, studi diversi. Hai lavorato molto su te stesso prima di tutto.
Comunicare a favore di una crescita personale è sempre stato un mio grande desiderio in tutti i contesti in cui ho operato. Poi è diventato un’attitudine, infine una pratica e un mio modo di vedere le cose. Quando ho scoperto l’arte e la recitazione ho intravisto un ambito in cui questo poteva diventare davvero possibile. Naturalmente ho dovuto lavorare molto su tutti quegli aspetti che mi portavano a non essere emotivamente libero. Quando il coraggio di “varcare la soglia” è arrivato mi era già stata offerta la possibilità di farlo diventare un mestiere, quello di insegnare, ma ho temporeggiato. Sentivo che mi mancava quello studio strutturato per poter entrare in aula senza alcun tipo di “debito” per potermi porre in maniera autorevole nei confronti dei miei futuri allievi. Così ho prima frequentato un’accademia specializzata in un approccio alla recitazione in cui mi riconoscevo e che ritenevo sano, più naturale di altri, per l’essere umano. Dopo due anni di percorso giornaliero ho iniziato subito a insegnare ma ho sentito contestualmente anche l’esigenza di creare un mio personale percorso formativo che permettesse di fare una ricerca personale. Per indagare i meccanismi dell’animo umano la ricerca è fondamentale. Anche il termine “ricerca” non credo sia da associare a un genere teatrale, come il cosiddetto “teatro di ricerca”. No, il teatro è ricerca sempre perché l’arte è l’espressione dell’esperienza umana. Ecco, per lavorare in questa direzione, nella direzione della ricerca, è fondamentale assumersi delle responsabilità, prendersi dei rischi. Ricerca è responsabilità e rischio. Ho scelto di farlo in maniera autonoma e non coinvolgere altre strutture.
Un consiglio per quanti vogliano intraprendere il mestiere di attore.
Il mio consiglio è chiedersi in modo trasparente se è la cosa che si desidera più di tutto. Se la risposta è sì, allora è necessario studiare, rinunciare, studiare (ancora) e dedicare ogni molecola del proprio corpo a questo desiderio. Se desideri realmente qualcosa, niente e nessuno può mettersi tra te e ciò che desideri. Evitare i contesti competitivi e, soprattutto, non permettere mai a nessuno di darci l’autorizzazione di poterci esprimere artisticamente. Deve saper trovare il modo di creare e mostrare i frutti del proprio lavoro artistico autonomamente. Questo non significa evitare i provini, certo, ma solo non impostare la propria carriera in modo che siano altri ad autorizzarci a recitare. Questo dovrebbe essere insegnato in ogni scuola.
Per tutto questo, un attore deve essere indistruttibile, nel cuore e nel corpo.
Anime Sceniche – Scuola di recitazione e ricerca
Via Ronchi, 16/8
20134 – Milano
Tel.: 02.35990527