Il mito Dom Pérignon

Il mito Dom Pérignon
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In collaborazione con AIS Milano.
Se c’è un nome che incarna, nell’immaginario collettivo, l’eccellenza tra gli champagne, questo è Dom Pérignon.
Un nome che riporta alla figura storica del monaco benedettino Dom Pierre Pérignon che, vissuto a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, è universalmente ritenuto colui che ha identificato il metodo per la produzione di uno spumante realizzato mediante la rifermentazione del vino in bottiglia. Quello che sarà poi conosciuto come il “Metodo Champenoise”, nome oggi riservato unicamente alle produzioni dell’omonima area francese.
Grazie ai suoi studi e alle prove pratiche il monaco, riuscì a controllare la rifermentazione anche grazie all’utilizzo di tappi in sughero, e a sfruttarne positivamente le caratteristiche ottenendone un vino che fin da subito divenne parte integrante delle tavole nobili.
Oggi Dom Pérignon è uno dei più interessanti champagne presenti sul mercato. Creato da Moet & Chandon nel 1935 in onore del monaco e per celebrare l’eccezionale annata 1921, dal 1990 è curato delle amorevoli mani dello Chef de Cave, Richard Geoffroy.
Prodotto solo nelle annate migliori e quindi rigorosamente millesimato, si realizza con un assemblaggio di uve chardonnay, per circa il 60%, e da uve pinot nero per la restante parte. Tutte le uve provengono solo dai vigneti di proprietà dell’azienda; otto grand cru e il premier cru Hautvillers ubicato nel comune che fu sede dell’abazia nella quale visse ed operò Dom Pérignon.
Le vigne sono condotte in agricoltura biologica e le uve vengono vinificate separatamente, vigneto per vigneto. Dal 1964 è stata eliminata la sosta dei vini base in barrique al fine di preservarne al meglio la presenza di aromi fruttati eleganti, raffinati e complessi.
Dom Pérignon non si evolve in maniera statica ma raggiunge momenti di perfetta armonia e di equilibrio tra le sue componenti in differenti periodi della sua vita; questi apici sono stati definiti da Richard Geoffory con il termine “plénitudes”, parola che rispecchia perfettamente questo concetto e che non può essere tradotta in italiano pena perdere la sua vera essenza.
Si può quindi identificare una prima plénitude dopo circa sette anni di permanenza sui lieviti; è il momento in cui lo champagne viene immesso sul mercato dopo aver riposato lungamente sui lieviti ed essere stato sboccato; al naso note floreali e fruttate, di agrume, miele e canditi, brioche e spezie dolci.
Dopo aver sostato per un periodo variabile tra i dodici e i vent’anni sui lieviti, Dom Pérignon raggiunge la sua deuxième plénitude. In questo caso i sentori percepiti saranno ancora freschi e ben equilibrati con note di lievito e crosta di pane, frutta matura, nocciole tostate ed ancora spezie fino al cioccolato.
Dopo un periodo di affinamento sui lieviti di venticinque anni e più, si raggiunge il periodo della troisième plénitude, l’apoteosi della complessità. In quel momento il vino risulterà morbido, con sentori raffinati quanto inusuali che spaziano dal legno di sandalo al muschio, dalla pelle al tartufo, dalle spezie orientali al tabacco.
di Paolo Valente
In collaborazione con AIS Milano.
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