Il culto di Cibele a Roma
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Il culto di Cibele a Roma
I culti misterici, inoltre hanno solitamente carattere salvifico, poiché attraverso vari stadi di iniziazione gli adepti possono realizzare il superamento della condizione umana e della limitazione individuale, simboleggiate dalla morte e dalla resurrezione della divinità.
Le religione misteriche hanno vissuto un particolare sviluppo in epoca ellenistica, all’interno del sincretismo religioso che caratterizzò l’epoca, e successivamente raggiunsero anche Roma, dove tali culti ebbero una notevole importanza, soprattutto quelli di origine orientale.
Tra questi vi sono anche i culti misterici legati alla Grande Madre Cibele, provenienti dall’Asia Minore.
Cibele era un’antica divinità originaria dell’Anatolia, dove era venerata già nel II millennio a.C., che era identificata con la Grande Madre, divinità della terra e protettrice dell’agricoltura, oltre che dea legata alla natura, agli animali e ai luoghi selvatici. In Anatolia sorgeva il principale santuario a lei dedicato, a Pessinunte, che secondo il mito era stato fondato dal re Mida.
Il suo culto in seguito si diffuse anche in Grecia, nel VI-V secolo a.C., dove fu identificata con Rea, la madre delle divinità dell’Olimpo.
Il culto di Cibele giunse a Roma intorno al 204 a.C., all’epoca della Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.). Secondo quanto racconta lo storico Livio, quell’anno sarebbero piovute dal cielo alcune pietre, e per spiegare questo misterioso evento furono consultati i Libri Sibillini, una raccolta di oracoli e profezie. Secondo una profezia presente nei libri, sarebbe stato possibile sconfiggere un nemico che avesse portato la guerra sul suolo italico solo se la statua della Grande Madre fosse stata portata a Roma da Pessinunte. Per questo i Romani, nel 204 a.C., trasportarono via mare la statua della dea (identificata con una grossa pietra nera, forse un meteorite) fino a Roma, dove fu posta all’interno del tempio della Vittoria, sul Palatino. Sempre Livio racconta che il raccolto di quell’anno fu straordinario, e nel 202 a.C. la statua garantì la vittoria di Scipione su Annibale, ponendo fine alla guerra.
Gli scavi archeologici hanno individuato i resti del tempio (il basamento, alcune colonne e capitelli, oltre a frammenti del frontone) tra le capanne arcaiche e la Domus Tiberiana, non lontano dalla dimora di Augusto. L’edificio del tempio era a pianta regolare e in stile corinzio, e di esso abbiamo una raffigurazione in un rilievo di età Claudia, murato nella facciata posteriore di Villa Medici, sul Pincio.
Tra i resti del tempio è stata inoltre individuata la statua della dea e l’iscrizione sul lato destro della facciata: “M(ater) D(eum) M(agna) I(daea)”.
All’interno era custodita la “pietra nera” di Cibele, anche nota come “ago di Cibele” per la sua forma conica. Era considerata il “betilo” della dea, ovvero una pietra alla quale era attribuita una funzione sacra in quanto identificata con una divinità. La pietra era inoltre una dei sette “pignora imperii”, uno degli oggetti che secondo le credenze erano alla base del potere di Roma. Questa pietra nera non va tuttavia confusa con il Lapis Niger, il luogo del Foro Romano che è così chiamato per via della copertura in marmo nero, e che secondo la leggenda sarebbe la sepoltura di Romolo.
Il culto della dea era officiato da sacerdoti eunuchi noti come “galloi” o “galli”. Dal momento che i cittadini romani erano esclusi da questo particolare sacerdozio, poiché la legge romana proibiva di sottoporre a castrazione uomini liberi, i galli erano quindi schiavi o provenienti dall’Oriente.
Tra il 15 e il 28 marzo aveva luogo la principale celebrazione connessa al rito di Cibele, il Sanguem. A dare il via alle celebrazioni, il 15 marzo, era una processione, nota come “Canna intrat” (“Entra la canna”), che si dirigeva verso il tempio della dea sul Palatino. I partecipanti, detti “cannofori”, portavano alcuni fusti di canne, come commemorazione di Attis.
Il 22 marzo aveva luogo la processione nota come “Arbor intrat” (“Entra l’albero”), per commemorare la morte di Attis, durante la quale veniva tagliato il pino (simbolo del dio), che era poi ornato con bende sacre in lana rossa, viole e strumenti musicali.
Il 24 marzo le celebrazioni culminavano quindi nel “Sanguem” o “Dies sanguinis” effettivo. Durante i rituali l’arcigallo, ovvero il gran sacerdote, si infliggeva tagli con cocci o pugnali per spargere il suo sangue sull’albero sacro, a ricordare il sangue versato da Attis, che era poi conservato nei sotterranei del tempio. Nel corso della celebrazione i galli indossavano abiti femminili e una sorta di turbante, oltre a orecchini e pendenti. L’aspetto femmineo era accentuato dai capelli lunghi e da una pesante cosmesi. Così abbigliati i sacerdoti percorrevano le strade eseguendo danze per poi iniziare a fustigarsi reciprocamente.
Ad aprile, tra il 4 e il 10, si svolgevano invece i “Ludi Megalenses”, che celebravano l’arrivo a Roma dell’effigie della dea Cibele con una serie di giochi di carattere scenico, e non circense, organizzati dagli edili curuli.
I culti legati alla Dea Madre sarebbero durati fino al 389, quando l’Editto di Teodosio dichiarò religione ufficiale dell’impero il cristianesimo, vietando i culti pagani.
Tra le testimonianze iconografiche ricordiamo la cosiddetta Patera di Parabiago, un piatto in argento finemente lavorato a sbalzo che risale alla seconda metà del IV secolo d.C., rinvenuto a Parabiago nel 1907 e oggi esposto presso il Museo Archeologico di Milano. Nel centro di Madrid, invece, si trova la Plaza de Cibeles, nella quale sorge la Fuente de Cibeles, una fontana che ritrae la dea sul suo carro rituale e che è divenuta una dei simboli di Madrid.