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I mille volti del centro Milano: dal Castello a Sant’Ambrogio

I mille volti del centro Milano: dal Castello a Sant’Ambrogio – Termina qui il terzo itinerario alla scoperta delle meraviglie del centro Milano.

Palazzo della Regione

Costruito in tempi record in piena età comunale, il Palazzo della Ragione, all’imbocco di via Mercanti, in pieno centro Milano, è il più vasto e famoso tra i palazzi pubblici medioevali lombardi. Lo schema architettonico è quello classico dell’area lombarda con divisione in due fasce: la parte alta chiusa (e in questo caso costituita da un unico grande salone) e la parte bassa porticata, destinata alle funzioni pubbliche e alle attività commerciali. Questo, in effetti, era il cuore non solo simbolico, ma anche commerciale della città: non a caso qui convergevano a raggiera le strade di collegamento alle sei porte principali d’ingresso alla città, che a loro volta mettevano in comunicazione Milano con il resto della regione. All’interno del Palazzo si riuniva il Consiglio regionale dei Novecento, che poi lasciò il posto al tribunale, fino al XVIII secolo. Sulla facciata che dà sulla piazza, un altorilievo rimanda a Oldrado da Tresseno, il podestà che nel 1228 diede ordine di costruire il Palazzo, nel più ampio progetto di definizione del centro cittadino. Si tratta di un’importante testimonianza di quello che è stato il passaggio dalla scultura a rilievo al tuttotondo, esploso, come esemplificato nelle sculture della Loggia degli Osii, con il Trecento. Le nove statue in marmo bianco a grandezza naturale raffigurano la Madonna col Bambino e Santi, accuratamente definite nei dettagli. La Loggia che le ospita è senza dubbio la costruzione più importante della piazza, eretta nel 1316 per volere di Matteo Visconti su forme e materiali del Trecento toscano (come del resto era toscana la famiglia Osii, proprietaria dei terreni).

Sempre da un Visconti, e sempre seguendo la tipologia porticata, nel 1336 accanto alla Loggia sorge il Portico dei Banchieri, poi sostituito con le Scuole Palatine. Nonostante nella piazza convivano architetture anche molto diverse tra loro, la scelta di mantenere la tipologia del porticato è riuscita a creare un certo collante.

Castello Sforzesco

Passando per il Cordusio, così come comunemente lo chiamano i Milanesi, nonostante si tratti di una piazza, ci si ritrova in via Dante, aperta negli ultimi anni del XIX secolo per collegare l’area più centrale al Castello Sforzesco, con un lungo rettilineo sul quale si susseguono edifici che abbinano la destinazione residenziale a quella commerciale. Si arriva quindi in piazza Castello, dominata dal forte trecentesco che ha seguito e vissuto la storia della città plasmandosi in continue modificazioni. Accoglie i turisti la moderna fontana che precede la Torre del Filarete, ricostruita nell’Ottocento da Luca Beltrami sui disegni quattrocenteschi dell’architetto fiorentino. Costruito nel 1368 da Galeazzo II Visconti con il nome di Castello di Porta Giovia (dalla vicinanza con l’omonima porta), il forte si presentava in tutt’altre forme, avendo come unica destinazione quella prettamente difensiva (i duchi abitavano a Palazzo Ducale, poi Reale). L’attuale costruzione rivestita da bozze di sarizzo a punte di diamante risale alla metà del Quattrocento, quando il condottiero Francesco Sforza prese in sposa la sedicenne Bianca Maria Visconti, unica figlia di Filippo Maria, dando così anche il nome all’attuale Castello. La nuova fortezza sorse sulle preesistenti fondazioni, con pianta quadrata e quattro torrioni angolari, ma fu solo con il figlio Galeazzo Maria che i duchi spostarono qui la loro residenza, occupandosi quindi di aprire la Corte Ducale e avviando un ricco progetto decorativo, poi proseguito con Ludovico il Moro, che a corte invitò poeti e pittori, intellettuali e artisti, tra cui Leonardo Da Vinci (che qui affrescò la Sala delle Asse) e Bramante. Con gli spagnoli, a Milano dal 1535, il Castello perse connotazione residenziale, e anzi vide aumentare notevolmente le strutture difensive, soprattutto con la caratteristica fortificazione a forma di stella a sei punte, che successivamente divennero 12. Napoleone non dovette troppo apprezzare il Castello, di cui, appena entrato in città nel 1796, ne ordinò la emolizione, che fortunatamente si fermò alle cortine e ai baluardi. Ma neanche i Milanesi apprezzarono Napoleone: dopo la sua sconfitta, l’arco trionfale che l’imperatore aveva fatto costruire alla fine di Corso Sempione in perfetta asse col Castello, venne ribattezzato Arco della Pace, e la quadriga che dall’alto guardava verso la Francia venne girata in direzione di Milano. Le correzioni apportate da Luca Beltrami sul finire dell’Ottocento hanno pesantemente rimaneggiato la fisionomia del Castello, che comunque rimane uno dei luoghi prediletti da milanesi e turisti, anche per la privilegiata collocazione nel verde.

Basilica di Sant’Ambrogio

Il suo nome di battesimo è Basilica Martyrum, ma da subito i Milanesi la rinominarono Basilica di Sant’Ambrogio, a testimonianza del legame col proprio vescovo.

Le forme in cui oggi si presenta la basilica non sono quelle ambrosiane del IV secolo, di cui però l’attuale struttura romanica conserva le linee strutturali, nonostante le continue manipolazioni e i restauri. La storia di questa chiesa, la più meneghina tra tutte, è indissolubilmente legata all’immagine del suo padre fondatore, Ambrogio, nato come uomo politico (arrivò infatti a Milano in qualità di Governatore) ma poi voluto dai milanesi al comando della propria chiesa dopo essere riuscito a placare le discordie tra ariani e cristiani. A conferma di questo sodalizio, il corpo del Santo giace (per sua volontà) da sempre nella cripta, insieme alle reliquie dei santi Gervaso e Protasio che il vescovo aveva rinvenuto nelle vicinanze, nel luogo in cui sorgeva il cimitero ad Martyres. La Basilica sorprende innanzitutto per la sua posizione, un poco nascosta rispetto a quanto accade normalmente, protetta da un ingresso che in origine serviva a filtrare l’ingente numero di pellegrini che facevano visita ai santi martiri qui custoditi, accompagnandoli nell’atrio di Ansperto, il cortile porticato che fa tutt’uno con la chiesa. Tutto, nella basilica, parla della migliore tradizione architettonica romanica locale, dal materiale utilizzato (il cotto), alla facciata a capanna, alle sobrie decorazioni ad archetti pensili lungo tutto il profilo dell’architettura, fino alla scansione interna dei volumi, ritmati sul modulo di un quadrato.

Scomparsa l’originaria copertura a capriate lignee, l’interno si sviluppa in tre navate absidate, con presbiterio sopraelevato sulla cripta e sormontato dal tiburio. Motivi vegetali e animali, spesso a valore simbolico, si alternano nei capitelli lavorati dagli scalpellini locali, mentre sulla superficie della conca absidale si stendono le tessere dell’antico mosaico (poi rimaneggiato nell’VIII e nel XVIII secolo, e in ultimo nel secondo Dopoguerra), che a fianco dell’immagine centrale del Redentore presenta il miracolo della bilocazione del Santo patrono. Preziosissimo l’altare d’oro di Vuolvino, maestro orafo del IX secolo che diede vita alla pregevole opera carolingia, donata alla chiesa dall’arcivescovo Angilberto II. Ma il vero tesoro della Basilica è certamente quello conservato nella cripta, del tutto rifatta nel 1740 con colonnine in marmo rosso e intonaci pastello: i corpi dei santi Ambrogio, Gervasio e Protasio, collocati in un’arca di fine Ottocento in argento e cristallo. È forse questo uno dei pochi “punti fermi” dell’intera struttura, che in tutti i rifacimenti subiti ha sempre conservato le sacre reliquie nella cripta, in corrispondenza dell’altare, fulcro simbolico della chiesa.