STORIA

I GRECI ANTICHI, UN POPOLO CON LA PASSIONE PER L’ARTE

I GRECI ANTICHI, UN POPOLO CON LA PASSIONE PER L’ARTE

MilanoPlatinum Voci antiche

In collaborazione con la pagina Voci Antiche: pagine dal mondo classico.


I GRECI ANTICHI, UN POPOLO CON LA PASSIONE PER L’ARTE

I greci erano circondati da manufatti artistici: statue, templi, decorazioni in rilievo erano ovunque nelle città. Perciò possiamo ritenere a ragione che quotidiana fosse la loro esperienza estetica: sia in casa, dove abbondavano, per esempio, vasi di ceramica dipinti sia fuori casa, dove ci si trovava – diremmo oggi – in un vero e proprio museo a cielo aperto. Del resto l’arte e le immagini erano fondamentali, in mancanza di altri strumenti e a causa della limitata capacità di leggere della popolazione, per veicolare messaggi politici e religiosi, che potessero arrivare in maniera diretta agli spettatori.

Krater by the Painter of Louvre - Di Marcus Cyron (photo) (Opera propria (Testo originale self made photo)) [GFDL o CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia
Krater by the Painter of Louvre – Di Marcus Cyron (photo) (Opera propria (Testo originale self made photo)) [GFDL o CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia
Ma che cosa attraeva l’uomo greco di fronte all’arte? Quali fattori lo colpivano maggiormente, producendo un’impressione forte e duratura? Prima di rispondere a queste domande, è necessario fare una precisazione importante: il pubblico dell’arte greca, anche perlopiù analfabeta, aveva molta più dimestichezza di noi con le storie i cui protagonisti erano dei, eroi e mostri. Pertanto, di fronte a una statua o a un fregio, non avevano bisogno di chiedersi di che mito si trattasse: prima perché alcuni miti ricorrevano spesso (Eracle e le sue fatiche, Atena e Poseidone che lottano per il possesso dell’Attica, la lotta tra centauri e lapiti…), poi perché li conoscevano a priori per averli sentite narrare sin da quando erano piccoli. Questo consentiva loro di dedicare maggior attenzione alla resa artistica di ciò che stavano osservando.

Dunque, passiamo a considerare quei fattori che facevano di un prodotto, uscito dalla bottega di un artigiano, un’opera degna di essere ammirata.

In primo luogo, gli occhi degli antichi si soffermavano sulla materia con cui gli oggetti erano fatti: si trattava sempre di materiali preziosi come oro, argento, bronzo, avorio, elettro, che avevano anche un’altra proprietà, quella di riflettere la luce facendo brillare i manufatti. Non a caso, nelle parole di quegli autori che descrivono, spesso in versi, le bellezze dell’arte antica, aggettivi come “splendente”, “brillante”, “lucido”, “scintillante” sono frequentissimi e si ripetono continuamente. Naturalmente, la preziosità dei materiali e la loro bellezza li rendevano adatti a essere usati per creare oggetti importanti, legati spesso al culto o usati per fare doni.

Statua di Zeus o Poseidone - Di Lillus (Opera propria) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Statua di Zeus o Poseidone – Di Lillus (Opera propria) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
In secondo luogo, lo stupore dello spettatore era generato dall’abilità con cui l’artigiano sapeva lavorare la materia e la trattava. Questa abilità nasceva sia dalla conoscenza dei materiali e di come reagivano in fase di lavorazione sia dalla padronanza della tecnica lavorativa, che naturalmente variava da materiale a materiale. Senza conoscenze tecniche adeguate da parte dell’artigiano, nessun tipo di materiale, neanche il più prezioso, poteva sperare di attirare l’attenzione e destare meraviglia nello spettatore. Che la tecnica fosse importante al pari della materia è testimoniato dal fatto che era protetta dalla divinità, in modo particolare da Atena ed Efesto. Ancora una volta è la letteratura a permetterci di conoscere questo secondo fattore: infatti, nelle descrizioni di opere artistiche che sono giunte fino a noi, è facile trovare spesso espressioni come “ben lavorato”, “sapientemente forgiato”, che danno l’idea di come la perizia dell’artigiano sia indispensabile al successo artistico del manufatto.

E veniamo così al terzo fattore, non meno importante e indispensabile degli altri due: la naturalezza, intesa non tanto come la resa realistica dell’opera, ma come la presenza di vita in essa. A dispetto della materia, dura e, una volta lavorata, destinata ad assumere quella forma per sempre, l’oggetto a cui dava vita, per essere davvero ritenuto bello e quindi apprezzato, doveva sembrare vivo e, paradossalmente, in movimento. In questo modo e solo così, era possibile abbattere la barriera che separa l’opera d’arte e lo spettatore e dare vita a un’esperienza estetica che fosse anche esperienza emotiva, capace dunque di suscitare emozioni (stupore, commozione, pianto…). Ecco perché sui frontoni dei templi, per esempio, erano raffigurate scene che erano al contempo azioni, spesso di lotta: la vivacità dei movimenti faceva sì che lo sguardo si spostasse continuamente da un punto all’altro, rendendo in tal modo viva una rappresentazione che per sua natura era imprigionata nella materia per sempre.

By Carole Raddato from FRANKFURT, Germany (British Museum Uploaded by Marcus Cyron) [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons
By Carole Raddato from FRANKFURT, Germany (British Museum Uploaded by Marcus Cyron) [CC BY-SA 2.0], via Wikimedia Commons
Se vogliamo, i primi due fattori erano condizioni indispensabili al terzo: lo splendore della materia e l’abilità con cui veniva lavorata portavano lo spettatore a spostare, in maniera spontanea, il proprio sguardo su ogni particolare e a conferirgli quell’idea di vita che la materia da sola non avrebbe potuto creare.


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