GIUSEPPE GRANDI, LE CINQUE GIORNATE E IL LEONE BORLEO

GIUSEPPE GRANDI, LE CINQUE GIORNATE E IL LEONE BORLEO –
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In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC ricostruiamo la curiosa storia del Monumento alle Cinque Giornate del geniale scultore Giuseppe Grandi.
GIUSEPPE GRANDI, LE CINQUE GIORNATE E IL LEONE BORLEO
Vincere rompendo gli schemi
Le Cinque Giornate di Milano, episodio molto noto del Risorgimento, sono un’insurrezione popolare che, tra il 18 e il 22 marzo 1848, portò alla cacciata degli austriaci dalla città, preludio alle guerre d’indipendenza e alla successiva Unità d’Italia. Nel 1873 Milano non ha ancora un monumento che celebri quei giorni di lotta eroica, così i redattori e i direttori dei giornali si uniscono per per reclamare una commemorazione degna dell’evento. Viene eletto un comitato per la costruzione di un monumento, che raccoglie la non disprezzabile (ma non sufficiente) cifra di 105.868.26 lire. Il testimone passa a una nuova commissione, della quale fanno parte anche molti veterani: con grande abnegazione organizzano tombole, fiere e brindisi patriottici, incassando altre 80.208.92 lire. Il sindaco decide allora che è arrivato il momento di indire un concorso per scegliere il progetto del monumento: proclamato nel giugno 1879, il concorso si chiude il 31 dicembre dello stesso anno senza vincitori. Il bando richiedeva espressamente un monumento architettonico, perché si pensava che fosse più adatto a esprimere il concetto di epopea, ma tra progetti di colonne, propilei, archi, cappelle in stile greco, romano, lombardo o gotico, non ce n’era nemmeno uno convincente. Il concorso viene quindi rinnovato nel giugno del 1880 per il marzo del 1881. I progetti hanno sempre gli stessi difetti. Tranne uno, che, però, non rispetta le regole del bando. Infatti non è un progetto architettonico:
Dovette venir dichiarato contrario al programma il modello in rilievo numero 75, col motto Le Cinque Giornate. Il suo carattere non è punto di monumento architettonico; anzi è tutto di monumento statuario. E nondimeno la Commissione si trattenne lungamente ad esaminarlo. L’idea è potente; intorno ad un piedestallo, ad un obelisco, il quale vorrebbe essere semplificato, vivono, per così dire, respirano, si agitano, fremono le allegorie delle Giornate ansiose ed eroiche. L’autore (cosa tanto difficile e rara) seppe destare nel simbolo la passione della realtà, senza scendere per ciò dall’altezza della rappresentazione ideale del fatto, anzi incarnando codesta rappresentazione con fantasie liberalissime.
Con intelligenza e lungimiranza, tra gli applausi del popolo (e l’irritazione degli altri concorrenti), la commissione sceglie di premiare la proposta fuori dalle regole.

Giuseppe Grandi: vita da scapigliato
Il vincitore è Giuseppe Grandi: da allora, e per i dodici anni successivi, non ha più mente né cuore per altro che non sia il suo monumento. Riuscirà infine a finirlo, ma purtroppo non a vederne l’inaugurazione. Grandi era nato nella misera e pittoresca Val Gana nel 1847. Messo a bottega presso un decoratore di Viggiù, aveva scoperto fin da ragazzino la vocazione di scultore e, non appena gli era stato possibile, era sceso a Milano, città dalle mille opportunità, e si era dato da fare in un’officina specializzata in terrecotte; nel frattempo, frequentava lezioni all’Accademia di Brera. Quando il maestro Vincenzo Vela lo assolda come apprendista, per il povero scalpellino valligiano è una soddisfazione enorme: iniziano il suo riscatto e la sua affermazione come artista. Grandi ha un concetto vasto dell’arte: non gli interessano le statuette, che pure vanno di gran moda, possono essere prodotte in modo semi-industriale e portano soldi facili. Prende in affitto una camera e ne fa il suo studio, dove dare forma libera ai suoi ideali. Nessuno è più spensierato e incurante delle necessità quotidiane: se gli pagano un lavoro, non metteva mai il denaro in tasca, ma lo teneva stretto in pugno come se avesse avuto paura che scappasse, e correva all’osteria a berlo cogli amici; né, finché l’aveva finito, c’era verso si rimettesse al lavoro: così viene descritto da Carlo Romussi, fine giornalista e studioso di storia milanese. Vita di bohème. La corrente artistica e letteraria della Scapigliatura, del resto, nella quale si inserisce anche Grandi e che ebbe il suo fulcro proprio a Milano, prende nome da una libera traduzione del francese bohème, che si riferiva alla vita scapestrata e anticonformista degli artisti parigini.
Un lavoro lungo e maniacale
Giuseppe Grandi aveva già avuto un’altra vittoria: il 19 marzo 1871 era stata inaugurata la sua statua a Cesare Beccaria, un monumento eretto sull’area dove prima si trovava la casa del carnefice e realizzato allo scopo di affrettare l’abolizione della pena di morte in Italia. Sul piedistallo sono incise le parole del giurista e filosofo: Se dimostrerò non essere la pena di morte, né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità. In quel caso, la didascalia che Grandi aveva apposto sul suo progetto era Essere o non essere, questo è il problema, volendo significare che dall’esito di quel concorso sarebbe dipeso il suo futuro. Ora dalla nuova opera in ricordo delle Cinque Giornate dipende qualcosa di ancora più importante: il ricordo del suo nome presso i posteri. Grandi passa mesi interi rinchiuso nello studio; fa, corregge, ricomincia da capo. Sprezzatore del danaro, profuse le migliaia di lire nel monumento senza contarle, pur di fare opera migliore; l’obelisco in pietra sostituì con uno di bronzo; andò in Isvezia a cercare una pietra rosso-bruna che somigliasse al porfido; e siccome nel monumento vi è un’aquila e un leone, così fece venire dalle Alpi una maestosa aquila viva che chiuse in un gran gabbione nel suo studio, sotto ai bastioni di porta Vittoria [nell’attuale via Corridoni], e andò ad Amburgo, mercato di tutti i serragli di belve, per comperare un magnifico leone che portò a far compagnia all’aquila e a un’infinità di gatti e di uccelli d’ogni razza che sono la sua compagnia.

El Pòer Borleo
Il popolo avrebbe voluto che il monumento fosse costruito il più in fretta possibile. Si diffondono voci assurde, per esempio che Grandi si stia impegnando a bella posta a non finire il monumento anti-austriaco finché duri la triplice alleanza; altri insinuano che non sia capace di portare a termine l’impresa. Si diffonde così anche la leggenda urbana del Pòer Borleo, riportata da Francesco Ogliari. Sembra infatti che il povero leone Borleo, comprato in saldo da un circo di Amburgo, fosse ben più che addomesticato: vecchio e mansueto, non si sognava nemmeno di ruggire, mentre nel monumento avrebbe dovuto rappresentare tutta l’irruenza dell’insurrezione popolare. In più, era ghiotto di carta, matite e pennelli che lo scultore gli lanciava contro inferocito sperando di stimolarlo a essere più aggressivo: divorava tutto e stava infine per morire di occlusione intestinale. Pare allora che Grandi abbia riunito gli amici scapigliati, Emilio Praga, Carlo Dossi e Luigi Conconi, e che tutti insieme, con un complicato marchingegno, abbiano praticato un clistere a Borleo, che li avrebbe infine gratificati con un clamoroso ruggito.
Un monumento vivo
La più evidente smentita di questa storia è che il leone non ruggisce. Si sveglia dal letargo, piuttosto: è il popolo che insorge. Una donna prosperosa, con la fronte fasciata per una ferita già ricevuta, incita i cittadini a combattere; una giovane a seno nudo percuote la campana per chiamare il popolo a raccolta: sta sul lato che guarda fuori città, proprio per attirare anche l’attenzione di chi vive più lontano. Una vedova piangente ha perso lo sposo: il valore del sacrificio. Due fanciulle celebrano la vittoria con la bandiera e la tromba. Le cinque donne seminude che rappresentano le Cinque Giornate riproducono le grazie autentiche di modelle vere: la Maria, la Giovannina, la Luigina, l’Innocentina e la Tacita. L’aquila audace trattiene negli artigli lo scudo con le antiche insegne milanesi della scrofa e delle sei porte storiche. In alto splende la stella dell’ideale e sull’obelisco sono scolpiti, in lettere d’oro, i nomi dei caduti, che riposano nella cripta scavata sotto il monumento. Un monumento talmente vivo da ispirare la Danza macabra di Felice Cavallotti, in cui le sculture si animano;
Del leone / lì carpone / raspa l’ugna: / a intervalli / la campana / batte lenta. / Della pugna / la tormenta / oltre valli / s’allontana.

Gli scapigliati sparsi per le vie
Giuseppe Grandi, che morì alla fine del 1894, a pochi mesi dall’inaugurazione della sua grandiosa opera, viene ricordato oggi più che altro per la piazza a lui dedicata, a poca distanza da piazza Cinque Giornate. Al centro campeggia una bizzarra fontana-monumento (opera di Werther Sevèr e di Emil Noël-Winderling, 1932-1936): sul bordo della vasca, un uomo primitivo dalla testa ricciuta, in bronzo, piega il ginocchio a terra in atteggiamento di stupefatta ammirazione di fronte alla cascata che gli precipita di fronte. Il nesso di questa scultura suggestiva con Giuseppe Grandi rimane misterioso.
Come naturalmente non si sa che fine abbia fatto il leone Borleo: sarà tornato in qualche circo, speriamo, perché è la cosa migliore che possa essergli capitata. Una curiosità finale: nella topografia milanese, le vie dedicate agli scapigliati sono lontanissime tra loro. Giuseppe Rovani, Cletto Arrighi (al secolo Carlo Righetti), Carlo Dossi, Emilio Praga, Tranquillo Cremona, Daniele Ronzoni, Iginio Ugo Tarchetti, Arrigo Boito, Giuseppe Grandi sono dispersi per la grande Milano come il loro movimento artistico, che movimento organizzato non fu mai. Contro ogni regola.

PER APPROFONDIRE
- Le cinque giornate di Milano nelle poesie, nelle caricature, nelle medaglie del tempo. Memorie raccolte da Carlo Romussi, C. Ronchi, Milano, 1894
- Francesco Ogliari, Questa nostra Milano. Quando le statue parlano, Mursia, Milano, 1972
- Guido Lopez, Silvestro Severgnini, Milano in mano, Mursia 2015
- Riccardo Mainardi, Aria di Scapigliatura in Guida ai misteri e segreti di Milano, Sugar, 1967
GALLERY GIUSEPPE GRANDI, LE CINQUE GIORNATE E IL LEONE BORLEO
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In collaborazione con STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC