ARTECULTURA

Flesh and Blood – In Texas capolavori dal Museo di Capodimonte

Flesh and Blood – In Texas capolavori dal Museo di Capodimonte – Il Kimbell Art Museum di Fort Worth, in Texas, espone in questi giorni un’incredibile raccolta di capolavori provenienti dal Museo di Capodimonte di Napoli che offrono un viaggio nella pittura del Rinascimento e del Barocco italiano, e che narrano storie affascinanti, dal martirio cristiano alla mitologia, dalle ambientazioni intime e devote alla grandiosità dei ritratti ufficiali.

Gli artisti che hanno dipinto queste scene, a volte commoventi, a volte imponenti, violente, seducenti, sono Tiziano, Raffaello, El Greco, Annibale Carracci, Artemisia Gentileschi, Spagnoletto e Luca Giordano.

I dipinti fanno parte della collezione della famiglia Farnese, che fu una delle più importanti cultrici d’arte del Rinascimento italiano, nonchè una delle più potenti dinastie dell’epoca.

La loro supremazia fu assicurata ulteriormente quando Alessandro Farnese divenne Papa Paolo III nel 1534.

I Farnese erano dei mecenati, accoglievano gli artisti dell’epoca, commissionando loro opere eccezionali. Alla fine, molti di quei dipinti, per motivi dinastici, arrivarono a Napoli, inclusi i ritratti di Alessandro Farnese per mano di Raffaello e quelli di Tiziano, che lo raffigurano già papa.

Il Museo di Capodimonte ospita inoltre diverse opere barocche, che hanno origini locali, in quanto Napoli nel XVII secolo era una delle città europee più grandi, più ricche e più vivaci, addirittura più cosmopolita di Parigi e Londra.

Gli artisti, sia locali che stranieri, erano ovviamente stimolati da questa situazione, che rendeva la Scuola Napoletana tra le più ambite anche all’estero.

La mostra si apre con il famoso ritratto di Antea del Parmigianino e con la Danae dipinta da Tiziano per il nipote del Papa.

Antea rappresenta la bellezza femminile idealizzata, che porta lo spettatore a incontrare un personaggio sublime, enigmatico, eppure con tratti dolci e quasi fanciulleschi.

L’identità della modella non è certa, ma secondo molti si tratta di una cortigiana romana di cui Parmigianino si era invaghito, e che aveva colpito il cuore anche di Pietro Aretino e Benvenuto Cellini.

Tra le diverse ipotesi, c’è anche quella che fosse una semplice serva, in quanto indossa un grembiule, ma analisi successive hanno riscontrato che quest’indumento era molto comune tra le nobildonne, specialmente in Italia settentrionale. D’altronde, gli ornamenti propendono per quest’ultima ipotesi, dato che la donna indossa perle, rubini e pelliccia, come una giovane sposa dell’aristocrazia.

Quel volto pulito è però accompagnato da un atteggiamento quasi erotico, con il gesto della mano nuda che gioca con una catena d’oro all’altezza del cuore, quasi a voler intendere che ha accettato l’offerta amorosa del pretendente che le ha regalato il gioiello, mentre l’altra mano, guantata, sfiora una pelliccia di martora che le scende dalla spalla destra.

La veste si muove leggermente e, come in altri ritratti di Parmigianino, crea un trucco pittorico che da’ l’impressione che la figura si stia avvicinando all’osservatore.

Antea è, per Parmigianino, l’incarnazione della Laura di Petrarca, poeta da lui molto amato, al punto che talvolta ne trascriveva versi accanto alle sue opere.

La Danae di Tiziano risale al 1545, ed è la prima raffigurazione di Danae eseguita dal grande maestro, a cui seguì una seconda versione, conservata al Museo del Prado di Madrid ed una terza, conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Il mito racconta che Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, fu rinchiusa dal padre in una torre, perchè, secondo la profezia, era destinata a dare alla luce un figlio che lo avrebbe ucciso.

Zeus però riesce a raggiungerla, sotto forma di pioggia d’oro, e la mette incinta; il figlio Perseo avvererà la profezia, uccidendo Acrisio.

Danae è ritratta nel momento in cui osserva languidamente la discesa della pioggia d’oro, con sullo sfondo un piccolo Cupido, che richiama la mitologia classica.

L’assenza del disegno e del chiaroscuro rende le tonalità cromatiche ancora più accese, e tutto l’insieme fluido e compatto allo stesso tempo.

Andando avanti, incontriamo la Pietà di Annibale Carracci (1.600 circa), sicuramente il suo capolavoro indiscusso, che si ispira alla Pietà di Michelangelo, pur non scadendo mai nella semplice citazione classicista, ma permeando l’opera di emotività e di pathos, con un Cristo completamente abbandonato alla morte, mentre la Madonna lo guarda, e con quel gesto della mano aperta vuole raccontare a tutti il dolore più grande del mondo, quello della perdita di un figlio.

Questo racconto è ancor più sottolineato dall’ambientazione notturna e dai due blocchi di pietra del sepolcro sulla destra.

Molte altre sono le opere da ammirare, ma il prestito più prezioso è sicuramente rappresentato dalla Flagellazione di Cristo di Caravaggio.

La Flagellazione fu commissionata a Caravaggio da Tommaso de’ Franchis, un alto magistrato, la cui famiglia possedeva una cappella in San Domenico Maggiore.

In una prima versione, il committente aveva chiesto di essere inserito nel quadro, e Caravaggio lo aveva dipinto con un volto pieno di lacrime mentre guardava il viso insanguinato di Gesù.

Il volto di de’ Franchis – non si sa bene perchè – fu poi cancellato ed ora è coperto dalla spalla dell’aguzzino di destra. Certamente, questa scelta riesce a mettere a fuoco meglio il tema centrale della composizione, quella della contrapposizione tra la luce che emana dal corpo ben tornito di Gesù e la lugubre ombra in cui sono posti i volti dei tre aguzzini, uno dal corpo possente appoggiato sulla gamba destra, mentre con la sinistra sferra un calcio al polpaccio di Cristo, quello di sinistra, più smilzo, mentre impugna nella mano destra il flagello e con la sinistra tira i capelli di Gesù; e il terzo, che si intravede a mala pena, inginocchiato a terra a raccogliere le fruste.

Il trucco pittorico di Caravaggio è il cono di luce che si irradia dall’alto, quasi un tutt’uno con la colonna, che rende Gesù ancor più dalla parte del giusto, mentre i torturatori, simbolicamente, sono immersi in un buio che rappresenta l’empietà del loro terribile atto.

Altro punto luce fondamentale è il panno che avvolge i fianchi di Cristo, di un bianco straordinario che rende palpabili anche le più piccole pieghe della stoffa.

Le dimensioni originali della tela, già di per sé molto grande, erano diverse: le analisi hanno dimostrato che il pittore, in un secondo tempo, ha allargato di ben 17 centimetri il lato destro del quadro, inducendo lo spettatore a soffermarsi più a lungo ad osservare.

E’ da notare che l’uso dei colori è molto limitato, basato sulle sole tonalità color terra; l’opera risulta anche per questo austera ed essenziale, nonostante la resa teatrale determinata dall’impareggiabile uso della luce.

Questo viaggio virtuale in Texas è servito sicuramente a farci venire voglia di andare ad ammirare questi capolavori al loro rientro al Museo di Capodimonte di Napoli, ed a farci ricordare di quanta bellezza possiamo andare fieri.

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Flesh and Blood

Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas

Dal 1 Marzo al 14 Giugno 2020