DONNE “DECOLLATRICI”: GIUDITTA, SALOMÈ, TOMIRI

DONNE “DECOLLATRICI”: GIUDITTA, SALOMÈ, TOMIRI –
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In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC parliamo oggi di tre personaggi accomunati dall’immagine totemica della testa mozzata: Giuditta, Salomè e la meno conosciuta Tomiri. Le loro iconografie, a volte molto simili, possono in qualche caso anche essere scambiate.
DONNE “DECOLLATRICI”: GIUDITTA, SALOMÈ, TOMIRI

Scambi di personaggi all’Ambrosiana
Nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano è conservato un dipinto di scuola emiliana della seconda metà del Cinquecento che il documento della donazione (del 1618) registra come Erodiade con la testa di San Giovanni Battista del Parmigianino. Successivamente l’identificazione del soggetto è stata corretta in Giuditta con la testa di Oloferne e anche l’attribuzione è cambiata più volte. La presenza del piatto su cui Salomè offrì alla madre Erodiade la testa di Giovanni Battista depone a favore della prima interpretazione, mentre il riferimento a Giuditta è legato alla presenza della spada con cui l’eroina ebrea decapitò il generale assiro per poi portarsi via la sua testa in un sacco. La confusione delle iconografie, soprattutto in rappresentazioni sommarie, è un aspetto curioso ma non infrequente. Le storie di Salomè e di Giuditta (vedi anche Dal mito alla tela: Giuditta, Antigone, Medea) sono accomunate dall’immagine totemica della testa mozzata; a confondere ulteriormente le acque si aggiunge in alcuni casi lo scambio tra Erodiade e Salomè.

Nei depositi dell’Ambrosiana è stato riscoperto e recentemente restaurato un altro dipinto raffigurante Giuditta. In questo caso non c’è nessun dubbio nell’identificazione grazie alla presenza del sacco, legato inequivocabilmente all’iconografia di Giuditta (a differenza del piatto, tipico di Salomè).

L’eroina Giuditta
Avvicinatasi alla colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, ne staccò la scimitarra di lui; poi, accostatasi al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e disse: «Dammi forza, Signore Dio d’Israele, in questo momento». E con tutta la forza di cui era capace lo colpì due volte al collo e gli staccò la testa. Indi ne fece rotolare il corpo giù dal giaciglio e strappò via le cortine dai sostegni. Poco dopo uscì e consegnò la testa di Oloferne alla sua ancella, la quale la mise nella bisaccia dei viveri e uscirono tutt’e due, secondo il loro uso, per la preghiera; attraversarono il campo, fecero un giro nella valle, poi salirono sul monte verso Betulia e giunsero alle porte della città. (Giuditta 13, 6-10)
La storia di Giuditta è raccontata nel libro omonimo, escluso, insieme ad altri, dal canone della religione ebraica e quindi considerato apocrifo dalle Chiese protestanti, ma accettato come canonico dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa. La città di Betulia era assediata dagli Assiri: la vedova Giuditta si presentò, bellissima, al loro generale Oloferne, che la invitò a banchetto e si ubriacò. Fu allora che l’eroina del popolo ebraico ne approfittò per decapitarlo. Quando Giuditta è ritratta nell’atto di tagliare la testa a Oloferne non ci sono dubbi di identificazione, mentre in altri casi la raffigurazione lascia adito a qualche dubbio, come nel dipinto conservato all’Ambrosiana.
La misteriosa Salomè
La notissima e suggestiva vicenda di Salomè, ripresa nell’arte, nella musica, nel cinema e nella letteratura innumerevoli volte, sta tutta nelle poche righe dei Vangeli di Matteo (14, 3-11) e Marco (6, 17-28), sufficienti ad accendere l’immaginazione di artisti e comuni mortali per secoli e secoli, fino a oggi:
Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla!». Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta. Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodiade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato. Ed essa, istigata dalla madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data e mandò a decapitare Giovanni nel carcere. La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre. (Matteo 14, 3-11)
Erodiade, madre di Salomè, aveva abbandonato il marito Erode Filippo I per il cognato, il re Erode Antipa, e Giovanni Battista aveva condannato pubblicamente i due adulteri. Nei Vangeli, Salomè non è mai nominata: è semplicemente la figlia di Erodiade; il suo nome viene riferito dallo storico Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche (XVIII, 136). In un racconto così avaro di particolari, il dettaglio del vassoio (simbolo dell’offerta alla tirannica madre) rimane impresso come attributo originario di Salomè, figura poi assurta a simbolo supremo dell’immaginario collettivo e rapita in un caledoscopio di proiezioni oniriche, desideri, reinterpretazioni legate a temperie culturali e mode diverse, oggi talmente fuse insieme che raramente si pensa ai sette veli come a un’invenzione moderna (dell’opera di Strauss).
Donne fatali
Sia Giuditta che Salomè sono rappresentate come donne bellissime e riccamente vestite: di qui anche l’ambiguità di alcune iconografie. A differenza delle laconiche notizie su Salomè, nella Bibbia la preparazione di Giuditta per l’incontro con Oloferne è descritta con dettagli carichi di erotismo:
Qui si tolse il sacco di cui era rivestita, depose le vesti di vedova, poi lavò con acqua il corpo e lo unse con profumo denso; spartì i capelli del capo e vi impose il diadema. Poi si mise gli abiti da festa, che aveva usati quando era vivo suo marito Manàsse. Si mise i sandali ai piedi, cinse le collane e infilò i braccialetti, gli anelli e gli orecchini e ogni altro ornamento che aveva e si rese molto affascinante agli sguardi di qualunque uomo che l’avesse vista. (Giuditta 10, 3-4)

Archetipi di amore e morte, Giuditta e Salomè non a caso furono volutamente sovrapposte da Gustav Klimt, che anche della casta ed eroica Giuditta diede un’interpretazione sensuale e decadente. La sua Giuditta II, un’esplosione di erotismo gelido e tremendo, è infatti nota anche come Salomè.

Tomiri, la sconosciuta
L’icona macabra della testa maschile mozzata è legata anche a un personaggio meno noto: Tomiri, regina dei Massageti, un popolo iranico che viveva nell’Asia centrale, a est del mar Caspio. La sua vicenda è raccontata da diversi storici e scrittori antichi (Strabone, Pompeo Trogo, Polieno, Cassiodoro, Giordane), il primo dei quali fu Erodoto (nel primo libro delle Storie), ed è menzionata anche da Dante, nella prima cornice del Purgatorio, come esempio della punizione della superbia (con il nome di Tamiri: XII, 55: sangue sitisti, ed io di sangue t’empio). L’ambizioso Ciro, re dei Persiani, attaccò i Massageti dopo aver chiesto invano la mano di Tomiri; sconfitto nel primo attacco, fu costretto alla ritirata. I suoi consiglieri gli suggerirono di ordire una trappola alle truppe scitiche che lo inseguivano: i Persiani lasciarono un accampamento apparentemente abbandonato, fornito di abbondanti provviste di vino. Gli Sciti, popolo di pastori, non ne avevano mai bevuto e si ubriacarono immediatamente. I Persiani allora piombarono su di loro e li massacrarono, catturando Spargapise, figlio di Tomiri e generale dell’esercito, che poco dopo si suicidò. Tomiri mandò un messaggio a Ciro, disprezzando la vigliaccheria del suo gesto e sfidandolo in una battaglia vera. I Persiani accettarono ma ne uscirono di nuovo sconfitti: anche Ciro cadde ucciso. Tomiri cercò il suo cadavere sul campo di battaglia e, trovatolo, dopo aver pronunciato le parole Saziati del sangue di cui fosti assetato, gli immerse la testa decapitata in un otre pieno di sangue. Si narra che poi tenne per sé la testa del sovrano ucciso e la usò come coppa per il vino.
Sebbene molti artisti l’abbiano rappresentata, Tomiri è assai meno nota rispetto alle altre due “decollatrici”. Tomiri è facilmente riconoscibile quando appare in abiti regali, in un accampamento di guerra e circondata dal proprio seguito, e ancor più quando in questo contesto appare un recipiente colmo di sangue, nel quale la testa di Ciro sta per essere immersa, come nel dipinto di Rubens.

Quando, molto più raramente, Tomiri viene rappresentata con pochi altri personaggi in scena si può creare qualche possibilità di confusione con le analoghe raffigurazioni di Giuditta o Salomè, ma il dubbio di solito si risolve facilmente per la presenza del recipiente concavo.

Vale però anche il fraintendimento opposto, ovvero che la presentazione della testa del Battista venga scambiata con l’immersione del capo di Ciro, soprattutto quando, al posto del più classico piatto, la testa sta per essere posta in un recipiente, come in questo dipinto di Andrea Solario.

Andrea Solario, Salomè con la testa del Battista, 1520-24, Kunsthistorisches, Vienna (public domain, via Wikimedia Comons).
PER APPROFONDIRE – GIUDITTA, SALOMÈ, TOMIRI
Ho tratto spunto per questo articolo consultando l’interessante sito Antiqua.mi, formidabile fonte di scoperte su antichità milanesi e non. L’articolo al quale ho attinto è di Fausto Riva, Iconografia di Tomiri e possibili fraintendimenti, pubblicato il 7 gennaio 2016. Ringrazio Andrea Bardelli, curatore di Antiqua.mi, e Cristina Arduini per avermi segnalato il sito.