DAVID ORBAN: COME SUPERARE I PREGIUDIZI SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

DAVID ORBAN: COME SUPERARE I PREGIUDIZI SULL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE –
David Orban è un imprenditore e un esperto di tecnologie esponenziali, reti decentralizzate e blockchain. Speaker accreditato in convegni e summit internazionali, autore di numerose pubblicazioni, guru riconosciuto e apprezzato nel panorama mondiale dell’innovazione, docente e Advisor presso la Singularity University, nonché Presidente di SingularityU Italy Summit, David Orban è professore aggiunto presso la LUISS Business School di Roma.
Fondatore e Managing Partner di Network Society Ventures, società di investimento globale focalizzata sulle imprese innovative che operano nell’intersezione tra tecnologie esponenziali e reti decentralizzate, David Orban è inoltre fondatore e CEO della Network Society Research, think tank con sede a Londra che supporta singoli individui, istituzioni e imprese private nell’affrontare positivamente l’evoluzione e il cambiamento introdotti dalle tecnologie esponenziali e dalla decentralizzazione.
Il suo ultimo lavoro è “Singolarità. Con che velocità arriverà il futuro” (Hoepli Edizioni).
Lei è un docente della Singularity University, fondata di Ray Kurzweil e Peter Diamandis. Vuole raccontarci qual è la mission di questa Università?
Singularity University è una community mondiale di innovazione e cultura dell’innovazione che riunisce innovatori e influencer da tutto il mondo e utilizza le tecnologie esponenziali per consentire a singoli individui e organizzazioni complesse di apprendere, fare rete e innovare utilizzando soluzioni acceleranti e tecnologie semplificanti come Intelligenza Artificiale, robotica e biologia digitale. Come Singularity Uiversity, ci adoperiamo per trasmettere e condividere la conoscenza dei meccanismi alla base dell’accelerazione verso il cambiamento che sta interessando la nostra società. Le tecnologie esponenziali costituiscono una serie di strumenti a disposizione di tutti per affrontare e governare il cambiamento da protagonisti. È fondamentale imparare ad applicare le illimitate opportunità offerte dalle tecnologie esponenziali per realizzare un vero cambiamento e produrre un impatto positivo all’interno della propria comunità di riferimento.
Ray Kurzweil, nel suo libro “La singolarità è vicina”, espone una teoria dell’evoluzione tecnologica basata sulla legge dei ritorni accelerati: può darci qualche esempio sulle implicazioni pratiche di tale legge?
Per citare un esempio vicino alla nostra vita quotidiana, si tratta della medesima esperienza che proviamo tutti noi quando interviene un qualche miglioramento sensibile delle prestazioni dei nostri computer tascabili, comunemente noti come telefoni cellulari. È da circa cinquant’anni che questi device continuano a moltiplicare le proprie prestazioni, fino a essere diventati, oggi, letteralmente miliardi di volte più potenti rispetto al passato. Opportunità e informazioni che solo alcuni decenni fa erano esclusivo appannaggio di uno Stato sovrano, oggi sono a disposizione di miliardi di persone. Ciò rende possibile per tutti noi lavorare meglio e apprendere sempre di più, e, di conseguenza, coordinare in modo più efficiente le nostre attività., Nel corso dei suoi studi, nel formulare le proprie ipotesi rispetto alla direzione verso la quale queste tendenze si stanno orientando, e si orienteranno nel prossimo futuro, Kurzweil ha citato molteplici esempi a sostegno della propria teoria dell’evoluzione tecnologica.
Cosa si intende, concretamente, con “singolarità tecnologica”?
Analogamente a quanto avviene nel campo della Matematica, dove una funzione può continuare all’infinto, o in Fisica, dove i buchi neri presentano un orizzonte degli eventi oltre il quale è difficile scrutare, così la singolarità tecnologica ipotizza un momento futuro in cui le Intelligenze Artificiali, in grado di modificare i meccanismi del proprio comportamento, produrranno un impatto radicale sul mondo in cui viviamo, trasformandolo profondamente. Sono esempi che ben rappresentano la difficoltà intrinseca di realizzare un’analisi di questo momento futuro, non necessariamente impenetrabile, ma che comporta uno sforzo considerevole, dal momento che le regole del gioco note e valide fino a questo momento, in questo futuro ipotetico non saranno più valide né universalmente riconosciute.
Lei ritiene che un’Intelligenza Artificiale complessa potrà acquisire consapevolezza di sé? Penso al film di Spike Jonze, Her, dove l’assistente artificiale a poco a poco acquisisce consapevolezza.
Le rappresentazioni hollywoodiane spesso sono distopiche. Il film che ha citato è un controesempio importante perché rappresenta, se non proprio l’utopia, certamente un mondo ideale, in cui intelligenze umane e artificiali coesistono. È un film molto intelligente che, pur essendo una metafora (e quindi qualcosa che non deve essere considerato alla lettera), mostra come le traiettorie degli esseri umani e delle Intelligenze Artificiali possono divergere. Mentre per noi certi comportamenti, e gli strumenti di cui ci ha dotati l’evoluzione biologica, non sono opzionali, la capacità introspettiva delle Intelligenze Artificiali è destinata a raggiungere un livello evolutivo così elevato da poter radicalmente riprogrammare i propri comportamenti, anche quelli più profondi. In questo senso, quindi, la nostra autocoscienza, la consapevolezza che abbiamo di noi stessi, è qualcosa di cui ci vantiamo perché ci rende unici ed è un prodotto dell’evoluzione che ci è stato fino a questo momento utile. È assolutamente ragionevole chiedersi non solo se le Intelligenze Artificiali saranno in grado di acquisire questa caratteristica, ma se la troveranno utile, quando avranno la facoltà di scegliere se usarla o non usarla. Certe aspirazioni morali, certe angosce esistenziali che affliggono da sempre gli esseri umani, non rappresenteranno un limite per l’AI.
Fa dunque riferimento alle emozioni, che sono molto limitanti per noi, mentre non lo saranno per un’Intelligenza Artificiale?
Noi non siamo in grado di non provare emozioni. Quando un soldato uccide, astraendosi a un livello eccessivo, diventa disumano. Quando una persona afflitta da una sindrome dello spettro autistico non è in grado di empatizzare con le espressioni emotive degli altri, riteniamo questa incapacità un handicap. Le Intelligenze Artificiali avranno, invece, una capacità che noi, antropomorfizzandola, potremmo un domani interpretare come cinicamente manipolatrice, poiché saranno capaci di esprimere e covare emozioni qualora dovesse servire, ma anche, semplicemente, di non farlo, qualora non lo considerassero “necessario”.
L’inarrestabile progresso tecnologico suscita molti timori per il futuro dell’umanità e ci si chiede se sarà l’uomo a controllare l’IA o sarà l’IA alla fine a controllare l’uomo. Qual è il suo pensiero?
Gli esseri umani hanno indubbiamente trasformato nei secoli il mondo che li circonda, anche se, in realtà, già l’evoluzione biologica aveva trasformato la Terra, creando un equilibrio dinamico estremamente complesso. In confronto a Marte, per esempio, ci sono sulla Terra fenomeni assolutamente inspiegabili, se non si assume l’esistenza della vita biologica. Un astronomo che da Marte osservasse sulla Terra l’esistenza di ossigeno libero, non potrebbe spiegarne agevolmente l’esistenza, se non considerando la vita biologica. Come mai i metalli non assorbono completamente l’ossigeno dell’atmosfera? L’unica spiegazione possibile è data effettivamente dall’esistenza della vita sul nostro pianeta, che continuamente rimpiazza e riproduce l’ossigeno. Quindi, il nostro ipotetico astronomo marziano che osservasse la Terra da qualche centinaio di anni, dovrebbe necessariamente ritenere che tutte le fonti luminose rilevate non siano verosimilmente solo fuochi naturali (anche perché molto costanti e regolari). Prima o poi lo scienziato marziano dovrà per forza attribuire la presenza di queste fonti luminose alla presenza di una civiltà tecnologica.
Allo stesso modo, la presenza di Intelligenze Artificiali evolute comporterà la nascita di fenomeni inspiegabili, se non attraverso la loro stessa esistenza. Nuovamente, l’astronomo marziano dovrà assumere che sulla Terra è in corso una nuova fase evolutiva, spiegabile solo con la presenza dell’Intelligenza Artificiale.
Il ruolo dell’umanità in futuro dipenderà molto dalle nostre scelte. Così come i vulcani regolano la vita biologica, nel senso che, se scoppiassero cento super vulcani simultaneamente, non si potrebbe fare granché, le forme di vita biologica potrebbero solo migrare, se il tempo lo consentisse, oppure adattarsi alle nuove condizioni ambientali, allo stesso modo come esseri umani potremo intervenire e influenzare l’Intelligenza Artificiale, anche se in gran parte il suo percorso evolutivo sarà definito da decisioni esclusivamente dell’AI e indipendenti dalla nostra volontà. È probabile, invece, che sia l’Intelligenza Artificiale a influenzare la vita umana: così come oggi si bonifica un luogo insalubre, allo stesso modo l’Intelligenza Artificiale potrà intervenire – si spera in modo morbido – per modificare il comportamento della civiltà umana. Tuttavia, l’IA si concentrerà prevalentemente su un livello che semplicemente non ci toccherà: preoccuparsi di come saranno o nasceranno le sue pulsioni, o di quali saranno le sue ambizioni o le motivazioni che avrà per raggiungere i propri obiettivi è e sarà sicuramente importante da un punto di vista esistenziale, ma di fatto il 99% di ciò che l’AI farà non sarà per noi rilevante.
Quindi è valida tutta la linea di Kevin Kelly e Brian Arthur, secondo cui la tecnologia si sta evolvendo per conto proprio.
I nostri interventi non sono insignificanti. Non c’è alcuna garanzia di risultato, se non nella statistica dei grandi numeri. I Cinesi hanno inventato la polvere da sparo migliaia di anni prima degli Europei, che l’hanno reinventata o importata, ma soprattutto che l’hanno utilizzata in modo molto più efficiente, il che, nel grande schema delle cose, importa poco rispetto all’invenzione stessa. I dettagli svaniscono nella Storia e quindi, il fatto che un’Intelligenza Artificiale particolarmente performante venga inventata, realizzata e, infine, prenda l’abbrivio nel suo corso evolutivo autonomo nel giro di dieci, trenta o trecento anni, importa relativamente poco nel momento in cui riconosciamo che ciò ineluttabilmente accadrà.
Lei ritiene che un futuro possibile e auspicabile per l’uomo sia la coevoluzione con le macchine? Siamo vicini all’avvento dei cyborg?
Anche oggi esistono comunità, come quella degli Amish, che guardano alla tecnologia con scetticismo e la bandiscono, imponendo importanti restrizioni d’utilizzo ai propri membri, perché non la comprendono fino in fondo. Kevin Kelly riporta l’esempio del telefono: si tratta di un device che non è completamente assente nelle comunità Amish, ma ne esiste uno per villaggio, e non è uno strumento con cui le persone della comunità comunicano tra loro: viene utilizzato esclusivamente per le emergenze (come per esempio per chiamare un’ambulanza). Gli Amish hanno impiegato quasi cento anni per decidere che quel limitato utilizzo del telefono era per loro ammissibile. La stragrande maggioranza degli esseri umani abbraccia la tecnologia nelle sue varie forme con un grado di consapevolezza molto basso, essendone attratta principalmente dalle sue caratteristiche più superficiali. Sicuramente una fusione tra uomo e tecnologia è in corso da sempre, fin da quando abbiamo scoperto come ricreare il fuoco; come questo processo si svilupperà è senz’altro un punto estremamente importante, ma è soprattutto importante ponderarne l’utilizzo per evitare l’overburning. Consapevolezza, approccio critico e continua rivalutazione delle proprie scelte sono elementi assolutamente indispensabili per trarre risultati positivi da questo cambiamento.
Lei ha scritto che gli attuali problemi della società non possono essere più affrontati da singoli individui e auspica una civiltà globale, che sappia prendersi cura dei suoi membri. In quale modo questo sarà possibile, tenuto conto del disinteresse di buona parte dell’umanità nei confronti di questo tema?
Nel momento in cui un genitore manda a scuola i propri figli, anche se forzato dalla società che glielo impone, si sta preoccupando del loro futuro tout court. Non serve essere “futurologi” per preoccuparsi del futuro. Quando un cinquantenne si chiede se le sue capacità professionali gli permetteranno di arrivare con serenità alla pensione, oppure, ancora, quando un ventenne si sente imporre di pagare le tasse dietro la giustificazione che servirà per la sua pensione pur sapendo che ciò che gli viene detto è assolutamente falso, la società si deve fare carico di tutte queste domande, di tutte queste preoccupazioni. Non esiste una maniera univoca di considerare e prendere decisioni per il futuro. Quando io parlo di fusione globale con la tecnologia, in realtà non mi riferisco a un’unica società globale, perché ciò sarebbe una dittatura intollerabile, proprio perché non possono andare bene per tutti le medesime soluzioni.
Sulla stampa occidentale si leggono spesso considerazioni negative sulla Cina, con particolare riferimento al suo “indice di benessere sociale”, ricavato dal comportamento online delle persone nei social network. Ciò viene riportato con orrore negli articoli occidentali, perché con questo metodo in Cina si determina quale casa ti puoi comprare, a quale indirizzo di studi ti puoi iscrivere, e così via. Eppure in realtà, come Occidentali, non avremmo il diritto di giudicare, entro certi limiti, le decisioni di una nazione che fino a cinquant’anni fa soffriva di carestie che uccidevano milioni di persone e che invece oggi ha compiuto un miracolo economico senza precedenti nella storia dell’umanità. I Cinesi stanno compiendo passi straordinariamente importanti in uno Stato che non presta attenzione alla libertà individuale, ma si concentra prevalentemente su ciò che essi chiamano “armonia sociale”, che dev’essere mantenuta secondo il loro metro di giustizia, non il nostro. Esperimenti come questi sono molto importanti, perché ci restituiscono insight e dati misurabili, consentendoci di confrontare diversi indici di sviluppo. Gli Americani, per esempio, stanno sperimentando come si vive in una società in cui le morti per overdose di barbiturici si sono decuplicate in pochi anni. È essenziale, a questo proposito, poter valutare i pro e i contro dell’impiego massiccio di barbiturici, per poter comprendere come meglio intervenire nel regolamentarne l’uso. Si potrebbe, per assurdo, decidere di utilizzarli ancor più massicciamente per sfoltire la popolazione, oppure ci si potrebbe rendere conto della profonda angoscia esistenziale che porta una persona ad adottare un comportamento autodistruttivo di questo tipo, innescare una riflessione sociologica e assumere delle contromisure efficaci.
Proprio quando un fenomeno si diffonde epidemiologicamente in modo così improvviso e su vasta scala, infatti, si può comprendere come meglio affrontare il problema all’interno del contesto di una società apparentemente florida e dinamica come è quella americana.
Perché dovrebbe valere la pena di partecipare al Summit della SingularityU del 2/3 ottobre a Milano?
Il nostro messaggio, secondo cui la tecnologia è una forza positiva per la società, non è astratto. Noi vogliamo fornire alle persone gli strumenti che incoraggino passi concreti nell’uso dell’Intelligenza Artificiale, della robotica, della nanotecnologia, e molto altro. Riteniamo che le barriere al suo utilizzo all’interno delle aziende siano in realtà molto basse: si tratta di resistenze prevalentemente psicologiche, di inerzia organizzativa, non certo tali da essere insuperabili. Invitiamo quindi a partecipare al Summit tutte quelle persone curiose che, quando rientreranno in azienda o quando rianalizzeranno le proprie strategie di sviluppo dei propri servizi o prodotti, potranno rendersi conto che le opportunità sono veramente illimitate.
Non bisogna rimanere fermi in uno stato di passività autoimposta: è giusto mettersi in gioco.