Danilo Paura, un’icona del mondo streetwear

Danilo Paura, un’icona del mondo streetwear – Chi è Danilo Paura? Iniziamo un breve viaggio alla scoperta di uno dei più giovani innovatori dello stile street. Considerato nel suo paese natale quello “un po’ più matto e un po’ più strano”, Danilo Paura si è presto fatto largo nel mondo della moda streetwear. Conosciamolo insieme.
Come è nata la tua passione per la moda streetwear e perché hai deciso di fare questo lavoro?
È nata un po’ per gioco, nel negozio di Riccione, in cui ho lavorato per 8 anni. Capitavano personaggi famosi di ogni sorta e presto diventai un punto di riferimento, soprattutto per via delle sneakers. Venivano Jovanotti, Albertino, Bob Sinclair, e io in trenta secondi riuscivo a capire il tipo di sneaker che desideravano, e loro impazzivano. Riuscire a indovinare la scarpa più adatta a un personaggio conosciuto pochi secondi prima mi ha reso consapevole della mia innata capacità di interpretare la personalità di chi avevo davanti.
Quando è nato il brand Paura e, soprattutto, come?
Ti racconto un aneddoto: porto un cognome abbastanza pesante, ma che oggi ho scoperto essere la mia fortuna. Da piccolo era per me un fardello e non passava settimana che non facessi a botte perché qualcuno mi prendeva in giro. Con il tempo invece ho iniziato a capirne l’ importanza intrinseca. Dipingevo (e dipingo ancora) e ho cominciato a firmare le mie tavole con una sigla seguita dal cognome, “Da. Paura”, che stava per “Danilo Paura”. Poi ho realizzato che “da paura” aveva un’accezione positiva. Quella è proprio la chiave delle mie collezioni: quando una cosa ti turba, puoi farla diventare la tua forza e da quel momento nessuno ti può battere. “Paura”, il logo del nostro marchio, è un Helvetica normalissimo, però tagliato a metà, per far capire proprio il concetto del “non ti fermare all’apparenza”, “non è come credi, o quantomeno dubita che quello che vedi sia quello che è”.
Come nascono le tue collezioni?
In realtà io concepisco le collezioni in maniera molto semplice: immagino la collezione come se fosse il mio armadio e inserisco all’interno dal primo all’ultimo capo che desidero avere e indossare nell’arco di un anno intero. Non guardo a quello che vuole il mercato, cerco di fare quello che mi soddisfa. Da qui inizio a costruire le mie collezioni: disegno i concetti, che diventano la mia guida, poi sviluppo il resto in corso d’opera. Durante la progettazione reale della collezione, io sono una persona insopportabile. Io sono la parte creativa ma, se non fosse per Christian e per mio fratello Marco, non riuscire a trasformare i miei pensieri in collezioni. La cosa che faccio spesso è ricondurre tutto a un unico filo conduttore. Non mi sono mai fermato ai colori e agli accostamenti che in genere impone il mercato, ho sempre cercato quelli che mi potessero rappresentare, perché non è detto che un colore non vada assolutamente bene con un altro. Quando parlo con i rappresentanti, con i venditori, a volte mi viene posta la domanda: “ma come fai a mettere questo con questo?”. Io pongo loro la domanda inversa: “prova a darmi tu due pezzi della mia collezione che non possano stare insieme” e li metto in crisi perché per vestire Paura devi avere personalità. Posso vestire chiunque abbia il coraggio e la personalità di indossare qualcosa che per altri può risultare eccessivo. Noi nella moda abbiamo un ruolo: io posso dare personalità a persone che magari non ne posseggono una particolarmente sviluppata. È solo grazie ad alcuni dettagli che puoi risultare riconoscibile all’interno di un gruppo: è qualcosa che ti dà la forza di mostrarti, di farti vedere. Ci sono tante persone estremamente timide, introverse, che non riescono ad esternare le proprie qualità, e sentirsi se stessi dentro un capo di abbigliamento, ricevendo magari anche un complimento, diventa fondamentale. Facendo il discorso inverso: se a me in alcuni momenti avessero dato una divisa nella quale non mi fossi sentito me stesso, sicuramente non avrei dato il meglio di me. Quindi, quando si dice che l’abbigliamento non è importante, non è assolutamente vero: l’abbigliamento è fondamentale.
Avete un target di riferimento particolare per il vostro marchio di abbigliamento?
Ovviamente noi non abbiamo alcun target, anzi, la nostra forza è quella di non essere mai riconducibili a un genere preciso: è facile considerare il nostro brand come streetwear, ma in realtà ci sono alcuni capi della nostra collezione che per noi non lo sono per niente. Sono io a essere “street” dalla testa ai piedi ed è questo l’unico motivo per cui accetto che la mia collezione venga definita streetwear.
Come sei riuscito a diffondere il tuo brand e a farlo conoscere al grande pubblico?
Avendo studiato Costume e Moda, so che è importante divulgare il tuo messaggio a più persone possibile, altrimenti non diventa niente. Io immagino un bravo cantante, un dj, un bravo comunicatore: se davanti a questa persona si ritrovano dieci persone, si tratterà di dieci fortunati, ma fondamentalmente questa persona non potrà divulgare efficacemente il genio che ha dentro di sé.
Volevo avere la possibilità di comunicare e di riscontrare consenso e riflessione da parte delle altre persone. Quindi io, egocentrico, esaltato che non sono altro, volevo cambiare il linguaggio nella moda, fare diventare Paura una “religione”. Volevo cambiare il linguaggio nella maniera più paradossale del mondo. Il mio brand di massima aspirazione è sempre stato “Prada”, fin da piccolo; io ho trovato in Prada semplicemente un’associazione di lettere che compongono la mia parola, la parola “Paura”, e mi sono detto: “adesso voglio fare un gioco”. Il gioco è questo: prendo il marchio di Prada e invento una grafica che loro non farebbero mai. Così ho cambiato le lettere alla parola “Prada” per trasformarla in “Paura” e ho ottenuto un logo simile, con un concetto però ribaltato rispetto al loro, perché la forza di Prada non è il logo, è lo stile. Non era un copiare qualcosa, ma estremizzare il lusso. All’inizio vedevi una persona con le prime t-shirt Paura, ne incrociavi una e vedevi qualcosa di familiare, ma che comunque ti lasciava un dubbio, perché notavi in una frazione di secondo che non era proprio quello avvi creduto di vedere. Questo era ciò che volevo. La gente ti vede passare, si gira e legge la scritta “Fake” sulla mia schiena. Ero riuscito a far diventare Fake il nostro simbolo di autenticità. Siamo riusciti a far diventare “Fake”, che significa il contrario di autentico, il mio marchio-pubblicità e in quel momento sono riuscito a cambiare un linguaggio imposto dalla moda.
Da lì è nata per me l’esigenza di diventare autoironico e iniziare a divertirmi: quindi Paura fuckin’ brand, Paura sucks, Paura was here, tutte cose che eliminavano “paura”come significato, facendolo nel contempo diventare brand. Se credi nelle tue possibilità, se credi nelle tue potenzialità, se credi di avere un’idea giusta sulla quale costruire il progetto della tua vita, fallo. Magari all’inizio non ci riuscirai, ma se usi veramente la mente per comunicare, forse non ti capiranno oggi, però prima o poi sfonderai sicuramente.
Ci sveli qualche segreto sulla prossima collezione?
Mi chiedi di anticipare quelle che saranno le prossime collezioni, ma non lo posso fare in maniera proprio diretta: ti dico semplicemente che si noterà un po’ di maturità in più. Tecnicamente dalle prossime collezioni si noterà l’utilizzo di tessuti che prima non potevamo permetterci, si vedrà anche una maturità mia personale, e quindi una crescita. Sarà una collezione divertente perché ci sarà una scelta cromatica abbastanza inusuale e un uso dei tessuti diversamente consoni al nostro target.
Ora è anche possibile scaricare l’applicazione “Paura” per i vostri smartphone iOS e Android
Non ci resta che aspettare la nuova collezione…
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