CARLO DALESSI, UN ARCO PER LA VITA

CARLO DALESSI, UN ARCO PER LA VITA –
Carlo Dalessi è un grande conoscitore dell’arceria e ha maturato nel corso di un’intera vita un approccio che travalica la “semplice” tecnica. Qui si parla di vera e propria filosofia dell’arco. Tutto il suo bagaglio di esperienze di studioso e costruttore di archi storici, oltre a una spiccata passione per la storia antica e medievale, è confluito nella pagine della sua opera prima, un volume intitolato Frecce dal passato.
In questa intervista, che lo studioso ha reso a Milano Platinum in occasione dell’evento “Medioevo a Cusago”, cui ha partecipato sia come autore sia come capofila del gruppo Arcieri nel tempo, Dalessi svela con dovizia di particolari, curiosità e aneddoti i retroscena e le motivazioni della sua fatica letteraria e a quali conclusioni è giunto dopo uno studio durato una vita intera.
Iniziamo dalla fine, e cioè dal risultato di vent’anni di studio dell’arcieria: come introdurresti la tua opera prima Frecce dal passsato?
Vorrei precisare che questo libro non è un manuale. Non è un riportare notizie ed eventi della storia, ma è un’esperienza ventennale. Per realizzarlo ho certamente dovuto avvalermi anche di testi storici, ma in linea di principio ho voluto privilegiare in questo volume in particolar modo le mie esperienze dirette, perché tutto lo studio svolto in questi anni è esclusivamente incentrato sugli arcieri. Non voglio quindi che si pensi che questo sia un saggio storico o la soluzione ai problemi dell’arcieria, che può essere trovata solo dai singoli arcieri.
Il libro è solo una guida per i tanti che vogliono iniziare un discorso nuovo, e soprattutto per contribuire alla creazione di un preciso bagaglio culturale sull’arcieria, che oggi purtroppo manca ancora. Tante cose che riguardano l’arcieria, e che si riscontrano anche nella vita di tutti i giorni, noi non le conosciamo, o perlomeno non del tutto.
Vorrei provare a individuare con te un parallelismo tra il “Medioevo a Cusago” e l’esperienza di Carlo Dalessi in qualità non solo di studioso ed esperto dell’arceria, ma anche come appassionato di storia e di ricostruzioni e rievocazioni medievali. Qual è il filo conduttore tra Carlo Dalessi, Frecce dal passato e il “Mediovo di Cusago”?
In tema di rievocazione storica in chiave arcieristica, Cusago è stata una di quelle esperienze che, in particolar modo, è servita proprio a trasmettere agli arcieri il significato dell’essere un arciere storico. Noi conosciamo il mondo dell’arcieria di oggi, soprattutto attraverso le competizioni che si tengono di frequente. Ma in realtà la vera “costruzione” dell’arciere si fa quando questi deve rispondere a comandi, eseguendo un tiro immediato senza la possibilità di calcolarlo o studiarlo. Quello che voglio dire è che la preparazione degli arcieri finalizzata al tiro con l’arco storico è abbastanza impegnativa, perché se si vuole veramente capire ed entrare nello spirito di quello che erano gli arcieri del tempo che fu, bisogna saper rispondere agli ordini di un “comandante” e colpire senza poter riflettere su ciò che si sta facendo. In questo modo, l’arciere, finalmente senza lo stress della gara, può liberare quella che è la sua capacità di arciere.
Si potrebbe parlare, utilizzando un termine che tuttavia non è corretto, di “arcieria istintiva”. Prendere un arco e scoccare una freccia è un movimento che viene inquadrato come arcieria istintiva. In realtà di istintivo non c’è niente. Ci sono invece un grande allenamento e una grande scuola per creare quell’arciere che non ha più bisogno di pensare mentre sta eseguendo il tiro. Deve solo liberare l’arciere che è in lui, deve aprire l’arco e scoccare la freccia, e tutto questo lo deve fare a livello inconscio, senza dover richiamare le sue capacità e preoccuparsi se riuscirà o meno a colpire il bersaglio. In quest’ottica, Cusago è stato un ottimo banco di prova, perché qui abbiamo avuto la possibilità, attraverso la rievocazione di battaglie storiche, di avere diversi armati, uomini di spada preparati e pronti a ricevere frecce; abbiamo avuto la possibilità di ricevere degli arcieri nel modo giusto, cioè preparati militarmente, perché seguivano e rispondevano a ordini molto precisi.
Naturalmente tutta questa costruzione è stata fatta studiando quello che è accaduto nel passato, e Cusago ci ha dato la possibilità di esprimere e liberare quello che gli arcieri avevano imparato. E vi garantisco che ci sono momenti, nelle rievocazioni, dove una linea di arcieri, nella tensione e nella confusione di quella che diventa una battaglia “reale”, si immedesima totalmente nella rievocazione, mettendo da parte l’emozione e seguendo soltanto gli ordini impartiti: solo così gli arcieri combattenti sono in grado di colpire sempre il bersaglio che veniva loro indicato. Gli stessi arcieri, in un momento di relax o in allenamento, molto probabilmente non sarebbero riusciti a colpire quel bersaglio, perché si sarebbero posti domande e interrogativi, che li avrebbero distolti dal portare avanti l’azione.
La rievocazione storica, quindi, serve proprio a questo: a eliminare la parte speculativa e nel contempo a fare subentrare la personalità e la preparazione dell’arciere nel momento giusto.
Che cosa lega gli arcieri alle macchine belliche, che sono spesso presenti nelle rievocazioni?
Bisogna tornare al discorso di prima: gli arcieri sono legati alle macchine belliche perché il funzionamento di una di queste macchine crea una situazione emotiva tale da fare provare all’individuo, in quel particolare momento, l’emozione di una vera battaglia. Per esempio, quando un trabucco lancia una palla infuocata, il rumore che emette il proiettile di fuoco mentre è in volo è qualcosa di nuovo, a cui non siamo abituati e che suscita una grande emozione. Arriva quindi il momento in cui ci si chiede se è solo un “gioco” oppure se è vero. È questa l’importanza delle macchine da guerra.
Per me la cosa importante della rievocazione, come ho scritto anche in Frecce dal passato, è avere la possibilità di mettere in pratica il livello d’arcieria che pensiamo di avere raggiunto. Quindi se costruiamo la dimensione, l’appagamento per l’arciere raggiunge i massimi livelli. Fare l’arciere storico non è, come purtroppo avviene talvolta, un semplice “teatrino”.
Addentriamoci ora maggiormente nell’arcieria e quindi nel tuo libro. Tracce dell’utilizzo dell’arco si riscontrano già agli albori dell’umanità: quali sono le migliorie, anche a livello filosofico oltre che tecnico, che sono intervenute per migliorare l’arco storico dalle origini a oggi?
Sicuramente la miglioria che si è avuta sull’arco riguarda esclusivamente i materiali. È chiaro che, nelle varie discipline che contempla l’arco moderno, ci sono svariate migliorie che favoriscono il lavoro dell’arciere. Gli archi della preistoria invece erano semplicemente dei pezzi di legno. Si tende a definire gli archi moderni super tecnologici, anche se in realtà questo non è del tutto vero. Gli ultimi studi archeologici che sono stati condotti (e che sono ancora in corso) hanno riportato alla luce archi risalenti al Paleolitico, che sono la copia esatta degli archi ricurvi moderni: sono fatti esattamente allo stesso modo. Ho condotto un grande studio e una ricostruzione in merito a questi archi, che hanno fatto emergere che comunque la logica dell’arco di allora è identica a quella dell’arco di oggi. Quindi non ci sono stati grossi cambiamenti. Il principale cambiamento è stato di uso e di crescita dell’arco, perché tra gli ultimi reperti studiati sono stati trovati archi molto piccoli. Confrontandomi con altri costruttori, sono emerse anche ipotesi divertenti: secondo alcuni, infatti, l’arco era piccolo perché lo usavano per pescare sulla canoa, e quindi, se troppo lungo, poteva dare fastidio. Questa può essere un’interpretazione; peccato però che l’arco piccolo si rompe e quindi non è utilizzabile. La verità è che i bambini crescevano con l’arco in mano, e quindi gli archi, che venivano elaborati in un modo e con attrezzi simili a quelli che usiamo noi, venivano costruiti con un legname che non era stagionato, perché avevano bisogno di un arco di un arco pronto in breve tempo. Gli archi erano realizzati con del legno che veniva lavorato e sagomato allo stesso modo degli archi ricurvi americani, che veniva scaldato sul fuoco. Dobbiamo tenere presente che si tratta di popolazioni “giovani”, perché la vita media all’epoca raggiungeva al massimo i 25 anni. Il loro unico scopo era di procurarsi del cibo. Per esempio, l’arco di Ötzi, l’uomo del Similaun, è esattamente come un moderno arco lombow, non cambia di una virgola; anzi, ha delle soluzioni tecniche che sono usate ancora oggi dagli arcieri del Rio delle Amazzoni. Anche i rapporti di costruzione erano perfetti per l’altezza di Ötzi, che raggiungeva appena 1,60 metri. Poteva quindi sviluppare una forza notevole senza tuttavia rompersi perché era studiato per lui. Il famoso nodo a strozzo, chiamato solitamente nodo gallese perché molto usato per i longbow, era già ampiamente in uso, come dimostrato dalla corda rinvenuta insieme a Ötzi, che altro non che la corda dell’arco.
Certamente oggi gli arcieri sono avvantaggiati perché possono usufruire di tutte le migliorie che l’arciere storico tende a eliminare, perché la costruzione deve essere solo ed esclusivamente dell’arciere. Nell’attività dell’arcieria moderna, sono invece presenti altre logiche. Io stesso ho iniziato a tirare, nel 1973, quando facevo parte di una compagnia di arcieri olimpionici, tuttavia la mia ricerca mi condusse verso un cammino differente e quindi intrapresi un percorso radicalmente diverso.
Il mondo dell’arcieria è quindi tutto connesso e legato, non c’è alcuna differenza: è solo una questione di approccio e di voler capire quale ricerca conduce l’arciere su se stesso, per capire dove vuole arrivare. La cosa più importante è la preparazione psicologica.
Quando si inizia a parlare di arco con persone che non sono del settore, ma sono semplicemente curiose, salta subito all’occhio che l’arco storico non è dotato di mirini, pesi e contropesi per bilanciarlo alla perfezione. Un arco storico, agli occhi di un profano, può sembrare un semplice pezzo di legno: e allora, come si colpisce il bersaglio?
In realtà si colpisce il bersaglio sempre nello stesso modo. Alla base c’è il fatto che ognuno di noi usa l’arco adattandolo a se stesso, come avviene in particolare nell’arcieria storica; lo usa al punto di entrare in simbiosi e a fondersi con l’arco. Quindi, il tendere l’arco diventa una capacità dell’arciere, che non ha più bisogno di guardare o di mirare, anzi l’arciere non considera nemmeno la freccia, guarda semplicemente il bersaglio e lo colpisce. Gli arcieri bravi non sono i campioni, ma sono quelli che si allenano tanto, divenendo un corpo unico con l’arco e riuscendo così a colpire il bersaglio. È difficile dire come un arciere che tira con l’arco lungo, quello che sembra solo un “pezzo di legno”, riesca a colpire il bersaglio.
In questo periodo sto mettendo a punto un percorso di preparazione psicologica al tiro. Abbiamo dimostrato che se l’arciere si concentra sul bersaglio, al punto da riuscire a isolare tutto ciò che gli sta attorno, sicuramente colpisce il bersaglio. Anche allo sport è stato applicato questo metodo. Ora ci si concentra più che mai sul pensare e vedere un’azione da compiere. L’azione pensata e vista in anticipo diventa più facile da eseguire, perché alla base esiste una preparazione psicologica. Questa, spesso, è però la piega dove maggiormente si annida l’errore: si prepara l’azione, ma non si sa perché succede. Per noi invece l’importante è sapere perché succede. L’arciere deve quindi riuscire a capire qual è la chiave per poter fare una data cosa. È fondamentale che l’arciere storico segua un percorso storico, perché così riesce a immaginare le condizioni di un determinato momento, e automaticamente sente dentro di sé la capacità di essere proprio nel momento giusto. È chiaro che questo è un discorso che va applicato nel tempo.
Come si fa a spiegare tutto questo ai bambini, tu che sei particolarmente impegnato nel campo dell’infanzia?
Io sono un convinto sostenitore del bagaglio genetico, e sono convinto che nei bambini esista una parte che è anche dentro di noi. Vanno lasciati liberi di esprimersi. Sappiamo tutti che chiunque veda un arco sente subito la voglia di scoccare una freccia: è una cosa innata. Il bambino, quando prende un arco, si vede già come Robin Hood: apre l’arco e scocca la freccia. È in quel momento che bisogna studiare, perché in quel momento vediamo quella che erroneamente chiamiamo l’“istintività”. Il bambino, 99 volte su 100, ripete il gesto istintivo di tirare la freccia nel modo giusto, anche se non se ne rende conto. Quando i ragazzini arrivano al nostro campo di tiro, dopo 10 minuti riescono già a colpire il bersaglio. Vanno quindi accompagnati, e non corretti, altrimenti si perde questa capacità. È così che nascono gli arcieri. Quando insegno, non dico mai all’arciere quello che deve fare, ma gli dico quello che è meglio che non faccia. Studiando in questo modo arriverà a tirare nel modo giusto e si accorgerà di ripetere i movimenti che fanno tutti coloro che tirano con lui. Perché allora il movimento diventa suo.
Tornando a Frecce dal passato, per far capire l’importanza di quest’opera, quanto tempo ti ci è voluto per mettere a punto questo tomo?
In realtà non ci è voluto molto, ma è stato necessario un passaggio di esperienze. Ci è voluto molto per capire che era il momento di scriverlo. Da quando ho iniziato a stendere le prime righe sono passati quasi 20 anni, perché in questo libro c’è il percorso ventennale di attività con questo tipo di arco. Soprattutto, bisognava arrivare a capire.
Io ho avuto un maestro molto particolare, che non c’entrava con il mondo dell’arcieria, e che mi ha insegnato tante cose che non ho capito subito, ma che ho colto appieno con il passare del tempo. Mi sono accorto, nel corso degli anni, che questa persona mi ha fatto capire a fondo cosa vuol dire essere un arciere, che non è solo prendere l’arco e tirare una freccia. Sulla base di questo ho potuto stendere il mio libro.
Mi spiace che questo lavoro non sia stato capito da tante persone “del settore”, perché è stato interpretato come un saggio storico, pensando quindi fosse meglio parlare di alcune cose piuttosto che di altre. Il motivo di questo fraintendimento risiede soprattutto nel fatto che questi “estimatori” non hanno capito realmente cos’è l’esperienza di un arciere, che andava scritta in questo modo e che reputo essere la chiave d’ingresso di un mondo incredibile. La storia dell’arco non è ancora finita.
Quali sono i progetti per il futuro, in ambito letterario? Bolle qualcosa in pentola?
Certamente, perché questo lavoro che sto portando avanti con i bambini, a parere mio, dev’essere divulgato: si tratta di una parte importantissima dell’arcieria; è un arricchimento dell’arciere stesso. Secondo me, un vero arciere contempla il mondo e gli eventi storici in costante rapporto con l’arcieria.
Questo è il programma futuro, anche letterario, di quello che stiamo portando avanti come gruppo. È chiaro che non è un discorso facile, anzi è di nicchia, ma è un elemento importantissimo che serve per arricchire l’arciere.
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- Sito web Arcieri nel tempo