STORIA

Il business degli animali per le arene

Il business degli animali per le arene

MilanoPlatinum Voci antiche

In collaborazione con la pagina Voci Antiche: pagine dal mondo classico.


Il business degli animali per le arene

Gli anfiteatri, numerosi in tutte le terre dell’impero, erano per i romani di qualsiasi estrazione sociale, dall’imperatore al nullatenente, luoghi di svago, uno svago che ai nostri occhi risulta alquanto macabro. Non c’era spettacolo, infatti, che non prevedesse la morte spesso atroce di qualcuno, uomo o animale.

Mynt - Skokloster Castle - Miguel Herranz - CC BY-SA [CC BY-SA 3.0 o Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Mynt – Skokloster Castle – Miguel Herranz – CC BY-SA [CC BY-SA 3.0 o Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Se seguitissimi erano gli incontri tra i gladiatori, che di solito si tenevano nel pomeriggio, altrettanto apprezzati erano gli spettacoli con gli animali, organizzati per la mattina. Si trattava di cacce oppure di combattimenti veri e propri tra specie diverse(leoni contro leopardi, tori e orsi, bufali contro rinoceronti), nella maggior parte dei casi di provenienza esotica. Avere a disposizione gli esemplari da far uscire nell’arena significava disporre di un’ampia rete organizzativa, che si occupava della cattura e del trasporto fino al luogo di destinazione.

Tutto iniziava con il calcolo di quanti animali dovevano servire per lo spettacolo, calcolo che spettava all’organizzatore dei giochi e che teneva sempre conto della possibilità che alcune fiere morissero durante il viaggio, ragion per cui si procedeva alla cattura di un numero maggiore di quello necessario. Fatte queste considerazioni, venivano chiamati in causa i governatori delle province, i quali, appurata la presenza di un numero sufficiente di animali sulle loro terre, davano il via alle battute di caccia, che impegnavano sia i cacciatori locali sia unità dell’esercito addestrate allo scopo.

Mosaico de Las Tiendas - Helen Rickard [CC BY 2.0], attraverso Wikimedia Commons
Mosaico de Las Tiendas – Helen Rickard [CC BY 2.0], attraverso Wikimedia Commons
Gli animali catturati erano poi rinchiusi in recinti fino al momento della partenza, quando, chiusi in gabbie, giungevano al porto e venivano caricati sulle navi o nella stiva o sul ponte di coperta. Non è difficile pensare ai disagi della traversata: se il cibo era garantito e a volte si cercava anche di riprodurre l’habitat degli animali (gli ippopotami, per esempio, viaggiavano in cisterne riempite di acqua), gli spazi erano comunque angusti e non era insolito il verificarsi di tempeste con conseguenti mareggiate.

Transport d'animaux exotiques - Di sconosciuto (from Le Musée absolu, Phaidon, 10-2012) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Transport d’animaux exotiques – Di sconosciuto (from Le Musée absolu, Phaidon, 10-2012) [Public domain], attraverso Wikimedia Commons
Arrivati a destinazione, le bestie venivano fatte scendere, operazione altrettanto faticosa, perché poteva capitare che si spaventassero mentre percorrevano la passerella che dalla nave li conduceva sulla terraferma. Così, racconta Plinio il Vecchio, poteva essere necessario fargliela percorrere a ritroso. Se il porto era quello di Ostia, poi, da qui occorreva farle salire sulle chiatte che percorrevano il Tevere fino a Roma.

Solo la notte prima dello spettacolo tutto questo enorme carico giungeva nell’arena (dobbiamo immaginare con che frastuono di barriti, ululati, ruggiti i cittadini venissero tenuti svegli!). Affamato e incattivito, era ormai pronto per combattere. Quegli animali che riuscivano a vincere negli scontri erano destinati alle “venationes”, che non lasciavano scampo. Così, alla fine della mattinata, l’arena era coperta di sangue e di carcasse.

Milano - Antiquarium - Terracotta con venatio - Di Giovanni Dall'Orto. (Fotografia autoprodotta) [Attribution], attraverso Wikimedia Commons
Milano – Antiquarium – Terracotta con venatio – Di Giovanni Dall’Orto. (Fotografia autoprodotta) [Attribution], attraverso Wikimedia Commons
Che fine facevano queste? O erano trasportate, ammucchiate sui carri, in luoghi isolati e gettate in fosse appositamente scavate o servivano a nutrire altri animali o finivano sulle tavole dei poveri, che attendevano i giochi anche per integrare la loro magra dieta con carne e quindi proteine animali. La distribuzione non era lasciata al caso, soprattutto per evitare disordini e tafferugli tra il popolino affamato. Prima che gli spettacoli avessero fine, venivano gettate tra il pubblico delle palline di legno, con inciso un numero. A questo era abbinato un articolo da ritirare all’uscita: era una sorta di lotteria, che permetteva ai fortunati di portare a casa ora un vaso, ora dell’olio, ora una certa quantità di grano, perché no, anche la carne dell’arena, da preparare per cena! Con buona pace dell’ordine pubblico.