STORIA

ANTONIO BOGGIA: IL MOSTRO DI VIA BAGNERA

ANTONIO BOGGIA: IL MOSTRO DI VIA BAGNERA 

MilanoPlatinum Storica National Geographic

In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHICripercorriamo un antico caso giudiziario: Antonio Boggia, detto “il mostro di via Bagnera”, è considerato il primo serial killer italiano. Fu anche l’ultimo civile giustiziato a Milano, nel 1862.


ANTONIO BOGGIA: IL MOSTRO DI VIA BAGNERA

Primo serial killer, ultimo impiccato

Via Bagnera, annidata nel cuore di Milano, è poco più di un vicolo, che forse prende nome dalla presenza lì vicino dei bagni pubblici in epoca romana. Al tempo della nostra storia, nella prima metà dell’Ottocento, era detta “stretta Bagnera”, per la sua caratteristica di budello che collega via Santa Marta a via Nerino, nei pressi della centralissima via Torino. Nel 1831 Antonio Boggia, originario di un paese sul lago di Como, va ad abitare in via Nerino al numero 2, in uno stabile di proprietà di Ester Maria Perrocchio, un’anziana quanto stravagante signora che sarà poi una delle sue vittime. Antonio Boggia è non solo il primo serial killer italiano, ma anche l’ultimo civile a essere giustiziato a Milano. Nel Regno Lombardo-Veneto si ricorreva alla pena di morte solo raramente, a differenza di quanto accadeva negli altri Stati dell’Italia preunitaria. Infatti, altre esecuzioni di civili a Milano si registrano solo con la seconda guerra mondiale. A Milano allora non c’era nemmeno un boia: ne vennero fatti venire due, da Torino e da Parma. Antonio Boggia, il “mostro di Milano” o “della stretta Bagnera”, dove nascondeva i corpi delle sue vittime in un magazzino, finisce impiccato l’8 aprile 1862, in uno slargo tra Porta Lodovica e Porta Vigentina anticamente adibito alle pubbliche esecuzioni, veri e propri spettacoli per la folla inferocita, tra la quale, come registra la stampa del tempo, non mancano purtroppo i ragazzini.

Via Bagnera [credits Giuseppe Preianò]
Via Bagnera [credits Giuseppe Preianò]

Il sogno borghese di un muratore

All’origine della scoperta dei delitti di Boggia c’è la denuncia di scomparsa di Ester Maria Perrocchio presentata il 26 febbraio 1860 da Giovanni Maurier, il figlio, decoratore presso la Richard ceramiche. Maurier dichiara che, preoccupato dall’improvvisa sparizione della madre, ha indagato presso i custodi, scoprendo che la vedova ultrasettantenne si sarebbe ritirata sul lago di Como delegando amministratore unico del suo stabile in via Nerino Antonio Boggia, muratore e capomastro già suo inquilino e con il quale da tempo era entrata in confidenza. Da quando Ester è scomparsa, Boggia si comporta come se il palazzo fosse suo: aumenta gli affitti, esegue lavori di manutenzione, fa sparire dal cortile la colonia di gatti che la signora amava tanto. Interrogato da Maurier, Boggia esibisce delle lettere scritte da Ester dal suo buen retiro sul lago, nelle quali gli vengono fornite istruzioni sull’amministrazione del condominio. Inizialmente Maurier, abituato alle stranezze della madre, con la quale, peraltro, non è in buoni rapporti, crede alla storia, ma in seguito scopre che la procura con la quale Ester ha delegato Boggia è un falso e che un notaio scrupoloso si era infatti rifiutato di rilasciarla. È a questo punto che decide di sporgere denuncia.

Max Ernst, da Una settimana di bontà (creative commons)
Max Ernst, da Una settimana di bontà (creative commons)

L’estro del male

A occuparsi delle indagini è il giudice Crivelli. Boggia è apparentemente irreprensibile: prima muratore, poi capomastro, ha prestato servizio a palazzo Cusani, sede del comando militare austriaco, come addetto all’accensione delle stufe. Gode di una buona reputazione: frequenta la chiesa di San Giorgio al Palazzo e chi lo conosce lo considera uomo religioso e generoso con il prossimo. Tuttavia dagli archivi riemerge una denuncia contro di lui sporta da Giovanni Comi, un anziano contabile che era stato attratto nel magazzino di via Bagnera (che Boggia usa come ufficio) e lì colpito con una scure. Comi era riuscito a fuggire e Boggia, arrestato, era stato giudicato folle e rinchiuso nel manicomio della Senavra, dal quale era uscito dopo pochi anni. Il cerchio si stringe. Dopo vari interrogatori agli inquilini, che ricordano di aver visto Boggia con una grossa gerla sulle spalle proprio il giorno in cui la Perrocchio era sparita, il corpo ormai decomposto della donna viene ritrovato, senza gambe e senza testa, murato nel sottoscala del palazzo di via Nerino al numero 2. Boggia confessa il delitto: Successe che alla mattina discorremmo della guerra. Contrastavamo fra noi: vincevano i tedeschi, i francesi o i piemontesi? Eravamo presso il piccolo uscio che mette nel solaio, ch’ella teneva per suo uso. C’era una scure e una sega. Lì mi saltò un estro: d’un tratto presi la scure e la vibrai con tutta la forza sulla testa della Perrocchio. Il giudice Crivelli non è convinto che si tratti di un omicidio isolato. Tra le carte di Boggia vengono trovate altre false procure e il giudice si convince che, oltre a Ester Perrocchio, Boggia deve aver fatto sparire almeno altre tre persone. Si scava allora nel magazzino della stretta Bagnera, dove effettivamente vengono ritrovati i cadaveri di altre tre vittime: il manovale Angelo Ribbone, il ricco mercante di granaglie Giuseppe Marchesotti e il fabbro Pietro Meazza, tutti frodati e derubati.

Il cortile della casa in via Nerino al n. 2 [credits Giuseppe Preianò]
Il cortile della casa in via Nerino al n. 2 [credits Giuseppe Preianò]

Il demone del riscatto economico e sociale

Il processo si apre il 18 novembre 1861 e dura cinque giorni. Boggia gioca la carta dell’infermità mentale fingendosi pazzo e sperando di tornare all’ospedale psichiatrico della Senavra, ma non gli viene dato credito. Il Tribunale di Milano lo descrive come Di modi calmi, con un esteriore aspetto quasi di bonarietà, esatto osservatore delle pratiche religiose, estraneo, almeno apparentemente, da viziose tendenze. Gli omicidi sono stati tutti premeditati con cura e le truffe ordite con grande astuzia. Il Marchesotti, per esempio, era un uomo d’affari esperto e navigato e non doveva essere stato facile ingannarlo. Il fatto è che Boggia non è affetto da nessun disagio psichico, né è segnato da traumi infantili o violenze. A guidare i suoi delitti è una lucida volontà di rivalsa economica nei confronti delle sue vittime e, più in generale, della società. La sua ascesa sociale è descritta molto bene da Alberto Paleari nel romanzo L’estro del male: muratore, carpentiere, imprenditore edile, amministratore. La volontà di riscatto sociale ha fatto di lui un assassino.

Porta Lodovica, 1897. In uno spiazzo fuori dai bastioni venivano eseguite le sentenze capitali - (wikimedia commons)
Porta Lodovica, 1897. In uno spiazzo fuori dai bastioni venivano eseguite le sentenze capitali – (wikimedia commons)

Una testa donata alla scienza

Sepolto il corpo di Boggia nel cimitero del Gentilino, fuori Porta Lodovica, la testa, spiccata dal corpo, viene invece donata al Gabinetto anatomico dell’Ospedale Maggiore, affinché possa essere studiata da medici e scienziati, tra i quali vi è anche Cesare Lombroso, che vi riconobbe la fisionomia tipica dell’assassino. Le teorie di Lombroso si inserivano nella più vasta corrente del positivismo, incline a inquadrare il comportamento umano nel contesto sociale, familiare ed ereditario: dichiarare che “assassini si nasce” era una teoria laica e umanitaria negli intenti del suo autore, perché svincolava l’assassino dalla responsabilità del crimine; portata alle sue estreme conseguenze, aboliva persino il concetto di colpa. La testa di Boggia fu successivamente inumata a Musocco nel 1949.

Esempi di fisiognomica secondo Lombroso (wikimedia commons)
Esempi di fisiognomica secondo Lombroso (wikimedia commons)

Considerato il primo assassino seriale italiano, Boggia presenta un quadro anomalo: iniziò tardi la sua attività criminale, a 52 anni, e uccise sempre per motivi di interesse, anche se con ferocia e infierendo sui corpi. Per quanto, secondo Lombroso, il suo cranio rivelasse un’atavica propensione all’omicidio, possiamo dire che il suo male fu il desiderio di riscossa sociale che gli mangiava il cuore.

Esempio di cranio lombrosiano. Firenze, Museo di storia naturale, sezione biomedica
Esempio di cranio lombrosiano. Firenze, Museo di storia naturale, sezione biomedica

VIDEO ASSASSINO NATO: IL MOSTRO DI VIA BAGNERA


PER APPROFONDIRE – ANTONIO BOGGIA: IL MOSTRO DI VIA BAGNERA

  • Giovanni Luzzi, Il giallo della stretta Bagnera, Libreria Milanese, Milano, 1999.
  • Alberto Paleari, L’estro del male, Edizioni e/o, Roma, 2014.

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