STORIA

AL PARADISO DELLE SIGNORE: LA RINASCENTE

AL PARADISO DELLE SIGNORE: LA RINASCENTE –

MilanoPlatinum Storica National Geographic

In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHICparliamo del primo grande magazzino italiano, aperto nella Milano di fine Ottocento: Alle città d’Italia, poi diventato la Rinascente. Ė l’occasione per riflettere sulle origini storiche della grande distribuzione e del consumismo, che in un tempo relativamente breve hanno completamente cambiato abitudini e comportamenti e trasformato la fisionomia delle città.


AL PARADISO DELLE SIGNORE: LA RINASCENTE

Au Bon Marché: l’imperativo è vendere

Vendere il più possibile e accontentarsi di bassi margini di guadagno; lasciare entrata libera nel negozio per attirare la clientela; non più contrattare singolarmente per gli acquisti, ma applicare il prezzo fisso; dare la possibilità del cambio merce per ripensamento ad acquisto effettuato. Queste le regole del successo del Bon Marché di Aristide Boucicaut, un parigino dal grande talento per gli affari che, partito nel 1852 da un negozio di tessuti e abbigliamento in comproprietà, alla morte, nel 1877, è padrone della più grande impresa mondiale di vendite al dettaglio, vero “inventore” dei grandi magazzini. Le linee guida di questa trasformazione epocale intuite dal fiuto di Boucicaut sono oggi parte della nostra quotidianità, ma al tempo rappresentavano un modello completamente nuovo di negozio: l’ingresso è libero e non bisogna per forza chiedere l’assistenza di un commesso, perché le merci, anziché riposte in scatole, sono esposte a scaffale aperto, a farsi ammirare e desiderare; anche i prezzi sono indicati e fissati una volta per tutte, evitando così la pratica della contrattazione tra commerciante e clientela, in gran parte di sesso femminile; infine, i prezzi sono convenienti, perché le merci sono acquistate all’ingrosso dal magazzino. L’imperativo categorico è “vendere”, e per raggiungere tale scopo si predispone una sede accogliente, luminosa, dotata di una serie di servizi (caffetteria, fumoir, emeroteca) adatti ad appagare anche la clientela di ceto più elevato. Se consumismo, grande distribuzione, catena, franchising sono parole del lessico sociologico ed economico entrate nel linguaggio comune di pari passo con l’espandersi di una dimensione commerciale di massa, è interessante ricordare che la storia di questo fenomeno è stata condizionata non solo da fattori concreti, come le disponibilità economiche, ma anche da elementi più sfuggenti, come il gusto e la mentalità, i pregiudizi e le aspirazioni, la rispettabilità e il decoro.

Veduta dei Grandi Magazzini parigini Au Bon Marché (public domain, via Wikimedia Commons).
Veduta dei Grandi Magazzini parigini Au Bon Marché (public domain, via Wikimedia Commons).

Libero accesso al consumo: il modello degli USA

Gli Stati Uniti divengono il luogo per eccellenza del consumo di massa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, grazie alla presenza di un ceto medio diffuso e alla convinzione democratica che tutti i cittadini americani possano e debbano avere lo stesso stile di vita, fondato su un accesso allargato al consumo. Contro l’elitarismo e il consumo di status, il modello di grande magazzino statunitense inizialmente è diverso da quello francese: propone fasce uniche di prezzi bassissimi, cinque o dieci centesimi, e gli ambienti, ampi e luminosi, sono spartani nell’arredo e privi dei servizi del tipo francese.

Market Street a San Francisco, con i grandi magazzini sulla destra (public domain, via Wikimedia Commons).
Market Street a San Francisco, con i grandi magazzini sulla destra (public domain, via Wikimedia Commons).

L’impero dei fratelli Bocconi: Alle città d’Italia

Questi due modelli di commercio su ampia scala arrivano in Italia con un certo ritardo, quello francese nel 1877, l’altro solo negli anni Venti del Novecento. Il primo grande magazzino viene aperto in Italia a Milano dai fratelli Ferdinando e Luigi Bocconi. Ha un nome francese, Aux villes d’Italie, che diventerà Alle città d’Italia, con sede prima in via Tommaso Grossi, poi di fianco al Duomo. La lezione del Bon Marché è stata studiata dai Bocconi: merci esposte e ben visibili dalle vetrine sulla strada, colori scelti per attirare gli sguardi. Quale città migliore di Milano per dare l’avvio all’impresa? Proprio in questi anni il capoluogo lombardo muove passi decisivi verso la modernità, ed è già illuminato dall’elettricità alla fine dell’Ottocento. L’iniziativa incontra successo e all’inizio del Novecento i Bocconi contano 9 filiali nelle maggiori città e 3000 dipendenti controllati da una direzione centrale. Hanno aperto persino una sede a Parigi. Nel 1882 Luigi Bocconi si ritira e al timone resta Ferdinando, che per la successione conta sul figlio Luigi. Ma nel 1896 Luigi muore nella battaglia di Adua: nel 1906, Ferdinando fonderà l’Università Bocconi e la dedicherà proprio alla memoria del figlio. Gli altri figli non sono interessati a continuare l’attività paterna: nel 1917 l’azienda è venduta al rampante industriale milanese Senatore Borletti, che ha costituito una cordata di investitori supportata dalla potente Banca di Sconto.

Illustrazione da "La femme chic", 1910 (public domain, via Wikimedia Commons).
Illustrazione da “La femme chic”, 1910 (public domain, via Wikimedia Commons).

La Rinascente di Borletti e la “democratizzazione” del lusso

Borletti è una delle figure più dinamiche dell’imprenditoria italiana nella prima metà del secolo scorso. Già impegnato sia nella produzione di orologi sia nell’industria tessile, la sua strategia di diversificazione degli investimenti è all’origine dell’avventura del nuovo magazzino, ribattezzato la Rinascente dall’inventiva di Gabriele d’Annunzio. Borletti infatti si rivolge al “vate” per la sua capacità di comprendere al volo ciò che colpisce la folla, si tratti di letteratura, gesti plateali o parole efficaci. Certo, è anche paradossale che proprio il rappresentante dell’estetismo nemico del “popolo bue” abbia trovato il nome per la catena milanese, emblema della clientela di massa, ma d’Annunzio è un abilissimo creatore di slogan e la mente imprenditoriale di Borletti non si lascia sfuggire l’occasione. Dietro il progetto della Rinascente ci sono il modello francese e la sua evoluzione statunitense. Borletti vuole mantenere il requisito della convenienza dei prezzi, basilare nella logica della grande distribuzione, ma affiancarlo a un alto standard qualitativo, in cui il pregio dei materiali si accompagni a uno stile riconoscibile e ispirato al buon gusto. La sfida è conquistare un pubblico con esigenze diversificate e pregiudizi radicati, convincendo la clientela di ceto più elevato che il prezzo contenuto non significa necessariamente mediocrità della merce; allo stesso tempo, è fondamentale indurre una fascia più ampia possibile di pubblico ad abbracciare il “buon gusto” di cui la Rinascente si fa promotrice, lanciando nuove mode e orientando i consumatori nella scelta di uno stile. La Rinascente offre poi intrattenimento e servizi: l’ufficio postale, telegrafico e telefonico, il coiffeur per uomo e donna, la sala da tè con orchestra. Si tratta di una vera e propria “democratizzazione del lusso”.

Pubblicità di Marcello Dudovich per i grandi magazzini Mele di Napoli. Per un quarantennio Dudovich curò l'immagine della Rinascente con i suoi manifesti. (public domain, via Flickr).
Pubblicità di Marcello Dudovich per i grandi magazzini Mele di Napoli, fondati sul modello del Bon Marché e delle Città d’Italia. Per un quarantennio Dudovich curò l’immagine della Rinascente con i suoi manifesti. (public domain, via Flickr).

La diffidenza del pubblico e le difficoltà economiche

La resistenza dei consumatori, soprattutto della determinante clientela femminile, nei confronti dell’abito pronto confezionato in serie è un ostacolo difficile da superare: i primi esemplari compaiono nei grandi magazzini di Borletti non prima della metà del secolo scorso, osteggiati dalla convinzione che l’eleganza e il buon gusto siano inevitabilmente legati all’abito cucito su misura. Pionieristica, ma sul momento non di grande successo essenzialmente per motivi di prezzo, anche la collaborazione tra la Rinascente e l’architetto Giò Ponti, ideatore di una serie di mobili denominata Domus Nova, esempio di innovazione, praticità e qualità. Oltre a questi ostacoli, per tutta una fascia di pubblico i prezzi del grande magazzino rimangono comunque troppo alti. Borletti mette nuovamente in campo la strategia della diversificazione e crea la Upim, acronimo di “Unico Prezzo Italiano Milano”, destinata a sua volta a strutturarsi in una catena di magazzini a prezzo molto contenuto, come indica il nome. Nata in un periodo sfortunatissimo, nel 1928 alla vigilia del crollo di Wall Street, la Upim incontra un buon successo di pubblico, pur dovendo adeguare il modello americano del prezzo unico alle esigenze e alle abitudini del pubblico italiano, sospettoso rispetto alla politica dei prezzi troppo bassi. Partita con un “listino prezzi” di quattro indici, la Upim progressivamente amplia il proprio spettro fino a ben cinquanta prezzi unici secondo la tipologia di merce. Tuttavia, anche dopo la creazione di Upim e della rivale Standard (1931, poi Standa per motivi di autarchia), fino alla seconda guerra mondiale la quota di mercato dei grandi magazzini resta limitata, in quanto una fascia importante di pubblico, i lavoratori manuali, non ha i mezzi per diventare clientela vera e fedele, e così la modesta ma significativa crescita della Rinascente si deve soprattutto al ceto medio impiegatizio, favorito dalla politica economica mussoliniana.

Paradisi senza Adamo

Per quanto Mussolini guardi con diffidenza e fastidio al consumismo, manifestazione di un individualismo pericoloso, tuttavia la sua abituale duttilità ideologica lo porta ad accettare un consumo “italiano”, cioè di prodotti della penisola, del quale i grandi magazzini, in particolare la Rinascente, possono essere un tramite significativo. Emblematico a questo proposito l’interessamento del Duce per l’apertura di una Rinascente a Bolzano come strumento di italianizzazione. Ma solo con la fine della seconda guerra mondiale e della politica fascista dei bassi salari, i grandi magazzini hanno un vero e proprio decollo. Il consumo all’americana, tendenzialmente standardizzato, comincia lentamente a coinvolgere tutti i settori, compreso quello alimentare (si diffondono i supermercati). L’abito pronto, prodotto in serie, e le taglie, vero superamento del vestito cucito su misura, non sono più disprezzati dalla clientela. I grandi magazzini si affiancano alla chiesa come luogo pubblico femminile, facendo registrare ovunque una delle massime concentrazioni possibili di donne riunite in uno stesso luogo, diventando dei “paradisi senza Adamo”. Infatti, nel secondo dopoguerra la Rinascente si preoccupa di coinvolgere la clientela maschile con iniziative commerciali mirate, per non perdere una fascia di consumatori consistente.

Nel dopoguerra cominciano a diffondersi i supermercati (public domain, via Wikimedia Commons)
Nel dopoguerra cominciano a diffondersi i supermercati (public domain, via Wikimedia Commons)

La “rinascentina”

La forte presenza femminile non si limita a chi sta al di là dei banchi di vendita: nasce la commessa, una nuova figura professionale che deve essere avvenente ma rassicurante nell’abbigliamento e nei modi, come spiegano i manuali degli anni Cinquanta rivolti a formarle. Le apprendiste, più facilmente licenziabili, sono in numero maggiore rispetto alle commesse assunte a tempo indeterminato. Il ricambio del personale è frequente, a causa dei turni di lavoro molto pesanti e della clausola di nubilato, che resiste nei contratti del grande magazzino fino al 1963, anno in cui viene dichiarata illegittima. Eppure, nonostante tali condizioni, il posto di commessa presso la Rinascente è molto appetibile: le condizioni di lavoro, infatti, sono più massacranti e meno garantite presso le botteghe; inoltre, ci sono due mezze giornate libere e la quattordicesima (a partire dagli anni Sessanta). In più, le commesse della Rinascente si sentono parte di un mondo elegante e raffinato, tra divise disegnate da Schiaparelli e il parrucchiere una volta la settimana. E l’azienda, secondo una strategia paternalistica e funzionale di gestione del rapporto di lavoro, organizza fin dagli anni Trenta una vera e propria scuola interna per le sue commesse, spesso ragazze senza esperienza provenienti dai borghi limitrofi alla città. In questi corsi sono presenti materie commerciali, ma anche esercizi di esposizione in italiano corretto ed elementi di storia, matematica, addestramento all’uso delle macchine contabili, stenografia, dattilografia, moda. Nella stessa strategia rivolta a consolidare il senso di appartenenza aziendale si inseriscono le iniziative dopolavoristiche, le gite, le serate danzanti, il periodico interno (Cronache della Rinascente), con l’obiettivo di creare e mantenere una categoria particolare di lavoratrice: la “rinascentina”.

Il legame tra i Borletti e la loro creatura dura per più di cinquant’anni, prima del passaggio di proprietà, al termine degli anni Sessanta, alla Ifi, finanziaria della Fiat. Nella primavera del 2005, la Rinascente viene acquistata da una cordata imprenditoriale comprendente anche Maurizio Borletti, nipote del fondatore.

Campagna anticonsumismo (public domain, via Wikimedia Commons)
Campagna anticonsumismo (public domain, via Wikimedia Commons)

PER APPROFONDIRE – AL PARADISO DELLE SIGNORE: LA RINASCENTE


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