ARTE

ADOLFO WILDT: IL MARMO E L’ANIMA

ADOLFO WILDT: IL MARMO E L’ANIMA

MilanoPlatinum Storica National Geographic

In collaborazione con la prestigiosa rivista STORICA NATIONAL GEOGRAPHIC scopriamo l’opera dell’artista milanese Adolfo Wildt, presente a Milano con diverse sculture tuttora visibili in molti luoghi della città e attualmente in mostra alla GAM (Galleria d’Arte Moderna) con una raccolta eccezionale.


ADOLFO WILDT: IL MARMO E L’ANIMA

Un visionario nella città d’oro e di ferro

A dispetto del nome di origine germanica, Adolfo Wildt, nato a Milano nel 1868, è un artista tutto italiano: marginalizzato per la sua personalità e il suo stile visionari e indipendenti, per le sue anatomie deformate all’estremo, per la scelta inusuale dei soggetti, è stato riscoperto sono da pochi decenni. Primogenito di sei figli, è di natali modesti (il padre fa il custode a Palazzo Marino, sede dell’amministrazione municipale) e dall’età di nove anni è costretto a lavorare come apprendista, prima presso un barbiere, poi da un orafo e infine da un marmista. Il suo percorso nell’arte inizia in modo insolito, quando, a undici anni, entra nella bottega dello scultore scapigliato Giuseppe Grandi e a tredici in quella di Federico Villa, che gli insegna la lavorazione del marmo. Milano è all’epoca una città in fermento, terreno fertile della Scapigliatura, ma anche della scultura impressionista di Medardo Rosso, poi del movimento futurista affascinato dall’industriale “città d’oro e di ferro”. Grazie all’insegnamento pratico di Villa, Wildt acquisisce capacità tecniche eccezionali, di gran lunga superiori a quelle degli studenti che frequentano le accademie.

Adolfo Wildt (Public domain, via Wikimedia Commons)
Adolfo Wildt (Public domain, via Wikimedia Commons)

Wildt e Franz Rose: amicizia e mecenatismo esclusivo

Nel frattempo, Wildt partecipa ai corsi di Disegno e Figura all’Accademia di Belle Arti di Brera: copia e ammira le statue antiche, studia le opere dell’Antichità e del Rinascimento, soprattutto attraverso riproduzioni fotografiche. Dopo aver lavorato per conto di altri scultori come “finitore” (allo “sbozzatore” era invece affidata la parte iniziale del lavoro), Wildt inizia la sua carriera personale intorno al 1885 con una produzione naturalista, conforme al gusto dell’epoca, in seguito rinnegata. La classicheggiante Atte, detta anche Vedova, esposta nel 1893, è da lui considerata come la sua prima vera opera, per la quale preferisce rifarsi all’esempio di Canova, ignorando lo stile degli scultori del suo tempo. Nel 1894 conosce il mecenate prussiano Franz Rose e firma con lui un contratto che garantisce a Rose la prima copia di tutte le sue opere in cambio di uno stipendio annuo. Si tratta di una svolta nella vita di Wildt, insieme l’inizio di un’amicizia e di un rapporto di mecenatismo esclusivo che per diciotto anni, fino alla morte di Rose (1912), assicurerà allo scultore una solida stabilità finanziaria. Inoltre, l’incontro con Rose permette a Wildt di viaggiare (soprattutto in Germania) e di ampliare il suo sguardo, già eccentrico, oltre il contesto accademico milanese.

Atte, o Vedova. Atte era una liberta di origine asiatica amata da Nerone. Quando l'imperatore si fece uccidere dal liberto Epafrodito, Atte provvide ai suoi funerali.
Atte, o Vedova. Atte era una liberta di origine asiatica amata da Nerone. Quando l’imperatore si fece uccidere dal liberto Epafrodito, Atte provvide ai suoi funerali.

Tre anni di “notte mentale”

Dopo la presentazione al pubblico milanese del gruppo dei Beventi (nel 1906; il gruppo è andato distrutto, ma una parte viene riutilizzata per I Parlatori), accolto freddamente dai critici, Wildt mette in discussione la sua arte e fatica a trovare uno stile e a trasferire nel marmo la sua spiritualità e le sue idee. Cade in un lungo periodo di depressione (1906-1908), che egli stesso descriverà come notte mentale, durante il quale produce poco e distrugge molto. Quando ne esce, I Beventi hanno ceduto il posto alla Trilogia, un gruppo monumentale mistico e visionario, caratterizzato da anatomie nervose, in cui muscoli e ossa sembrano fondersi nel marmo. Wildt ha trovato la sua dimensione in uno stile più tormentato: fine conoscitore dell’anatomia, deforma e trasforma i corpi alla ricerca di un effetto psicologico spasmodico. Questa espressività, che si traduce nelle ossessive insistenze sui dettagli anatomici e nella predilezione per le linee deformate di derivazione secessionista, testimoniano un legame con l’arte germanica, che lo scultore conosce bene grazie a Franz Rose e ai suoi viaggi nell’impero tedesco, soprattutto a Monaco (dove espone).

Autoritratto (Maschera del dolore, 1909 (Public Domain, via Wikimedia Commons)
Autoritratto (Maschera del dolore), 1909 (Public Domain, via Wikimedia Commons)

Purezza e simbolismo

A partire dal 1915, nella scultura di Wildt compare una nuova tendenza: gli eccessi espressionistici vengono progressivamente dismessi per lasciare il posto a un’estetica pura e impalpabile, sempre più slegata dalla realtà anatomica. Intrisi di spiritualità, temi e soggetti rappresentano concetti immateriali, in consonanza con le teorie dello scultore tedesco Adolf von Hildebrand, secondo il quale l’arte deve “vestire” un contenuto astratto e non limitarsi all’apparenza. Questa tendenza all’epurazione delle forme e alla semplificazione delle linee ha una vena arcaica che si ritrova, per esempio, nell’oro usato per suggerire un’aureola o sottolineare il simbolismo sacro di certi motivi, come le stelle. Credente senza essere cattolico praticante, Wildt coltiva una religione personale, che spiega il suo modo particolare di trattare e reinventare le iconografie tradizionali: un’Acquasantiera sormontata dal volto di Gesù, un San Francesco emaciato ed estatico, una Santa Lucia con le orbite degli occhi vuote.

San Francesco, 1926 (Public domain, via Wikimedia Commons)
San Francesco, 1926 (Public domain, via Wikimedia Commons)

Ritratti ideali

Finita la guerra, Wildt comincia a ricevere consensi dalla critica, anche se gli acquirenti scarseggiano. Stringe però alcuni rapporti importanti, come quelli con il pittore e critico Vittore Grubicy de Dragon e con Arturo Toscanini; è inoltre sostenuto da critici influenti come Ugo Bernasconi e Margherita Sarfatti, che si legherà a Benito Mussolini. La Sarfatti porta Wildt a unirsi al movimento da lei costituito nel 1922, il Novecento italiano, che promuoveva un rinnovamento dell’arte italiana nell’ambito del “ritorno all’ordine” europeo. Il successo arriva nel 1919, quando la personale alla Galleria Pesaro lo fa conoscere a un pubblico più vasto e gli assicura una stabilità economica. In questo periodo Wildt si dedica soprattutto a due tipi di produzione: i ritratti e i monumenti. La somiglianza fisica non è mai per lui una dimensione assoluta e lavora spesso a partire da fotografie. Seguace del “ritratto di idee”, mette a punto uno schema di busto monumentale in cui il soggetto non è rappresentato in quanto individuo ma come archetipo. Lo stile di Wildt appaga l’ideale dell’élite fascista di un’arte glorificatrice e commemorativa, tuttavia il suo stile singolare, a causa della sua eccentricità, non riscuoterà mai un vero consenso e la sua non può essere definita un’arte ufficiale.

Busto in bronzo di Benito Mussolini (Public Domain, via Wikimedia Commons)
Busto in bronzo di Benito Mussolini (Public Domain, via Wikimedia Commons)

La Scuola del marmo

Dopo aver scritto L’Arte del marmo nel 1921, Wildt apre l’anno seguente la Scuola del marmo, per insegnare un sapere tecnico ai giovani artisti di formazione accademica, che ne erano sprovvisti. Destinata a un grande successo, la Scuola viene ospitata dal 1923 all’interno della prestigiosa Accademia di Brera. L’insegnamento di Wildt cominciava con un esercizio originale: la rappresentazione di un uovo, forma perfetta, essenziale e moderna. Fra i numerosi allievi del maestro milanese figurano Eros Pellini e due artisti che hanno fondato l’arte del dopoguerra: Fausto Melotti e Lucio Fontana. Fontana entra nell’atelier di Wildt a 28 anni, dopo averlo scoperto in una mostra milanese. Scrive in questa occasione: Wildt è l’unico, veramente meraviglioso. Nonostante le loro ricerche plastiche prendano poi direzioni diverse, fino all’astrazione, entrambi riconoscono il debito verso il maestro: Melotti afferma che tutti e due devono la loro formazione esclusivamente a Wildt.

Wildt a Milano: itinerari

Alcune opere di Wildt sono visibili per le strade e nei palazzi di Milano. Nei giardini della Galleria d’Arte Moderna in via Palestro, per esempio, si trova la Trilogia: il Giovane, il Santo e la Saggezza; nel Teatro alla Scala il ritratto di Arturo Toscanini; al Cimitero Monumentale il Monumento Körner; in Largo Gemelli, il Tempio della Vittoria con il Sant’Ambrogio; sulla facciata di Palazzo Sola-Busca, in via Serbelloni 10, il grande orecchio.

Et ultra (1929), Monumento Körner, Cimitero Monumentale, Milano (Public Domain, via Wikimedia Commons)
Et ultra (1929), Monumento Körner, Cimitero Monumentale, Milano (Public Domain, via Wikimedia Commons)

GALLERY ADOLFO WILDT: IL MARMO E L’ANIMA

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VIDEO ADOLFO WILDT: IL MARMO E L’ANIMA


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